CARLO CESARE MALVASIA, Marmora felsinea, antiporta
Il nostro percorso dedicato all'archeologia
bolognese, attraverso i documenti conservati dalla Biblioteca
dell'Archiginnasio, inizia nel XVII secolo, prendendo in esame
da un lato il collezionismo privato di appassionati come Ferdinando
Cospi e Carlo Cesare Malvasia
e dall'altro il costituirsi di una cattedra di Umane Lettere,
a testimonianza dell'inizio dello studio delle civiltà
antiche.
Tuttavia, le materie insegnate all'università nell'ambito
delle Umane Lettere erano ancora indifferenziate fra loro, tanto
che un filosofo e medico come Ovidio
Montalbani poteva occuparsi anche delle usanze del mondo
romano, di una moneta di età imperiale e della forma
della città di Bologna nell'antichità.
I professori gareggiavano nello sfoggio di erudizione, cioè
nel mostrare le loro conoscenze del mondo antico, ma anche nel
proporre ricostruzioni della vita politica, religiosa, sociale
nonché materiale nelle civiltà che più
affascinavano, l'etrusca e la romana.
Attraverso le vaste conoscenze dei collezionisti
come Ferdinando Cospi, vissuto
per lungo tempo a Firenze a contatto con l'ambiente cosmopolita
che gravitava attorno ai Medici, il piccolo mondo degli eruditi
bolognesi veniva a conoscenza delle opere d'arte frutto dei
rinvenimenti archeologici.
D'altro canto, l'insegnamento nello Studio di Thomas
Dempster, che derivava dalla sua ampia conoscenza
del mondo della Toscana antica, anche in relazione al suo
precedente insegnamento nell'Università di Pisa, metteva
in contatto Bologna con la grande circolazione delle idee
dell'Italia centrale e con le scoperte fatte a Roma, in Etruria
e nell'Italia meridionale.
Le ampie e diversificate passioni di
Carlo Cesare Malvasia,
che spaziavano dall'arte e dalla pittura, alle vite degli
artisti, alla raccolta di antiche iscrizioni, mostrano ancora
la figura di intellettuale interessato a vari aspetti della
vita culturale. La raccolta di oggetti preziosi o di valore
artistico avviata da questi intellettuali contribuiva a
formare l'idea imperante che solo i monumenti scritti (lapidi
appunto, ma anche monete) fossero degni di essere usati
per la ricostruzione delle istituzioni, delle credenze religiose,
dei riti e delle strutture sociali antiche.
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