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Giuseppe Garibaldi: l'avventuriero e l'eroe

EDOARDO MATANIA dis., CENTENARI e SABATTINI inc., Garibaldi fugge da Caprera sul "Beccacino"
Xilografia, tav. XCV, p. 753 (ripr.)

"Eccolo, a sessant'anni, solo, in mezzo al mare, di notte, entro un guscio, che un nonnulla, il minimo frangente di un'onda può capovolgere; e va ad atterrare il papato"

(Alberto Mario, incipit capitolo LIII, p. 719).

L'illustrazione rende con palpabile suspense il modo in cui il 14 ottobre 1867 si svolse la fuga rocambolesca di Garibaldi, proprio sotto il naso di una squadra navale italiana mandata a sorvegliare Caprera. La posta in gioco era sempre quella: la liberazione di Roma e/o la possibile rovina del fragile nuovo Regno d'Italia.
Infatti, in séguito all'incresciosa vicenda che ad Aspromonte nell'agosto del 1862 aveva - temporaneamente, agli occhi del Generale e dei suoi seguaci - posto un freno all'ostinato proposito garibaldino di completare a Roma la spedizione meridionale interrotta due anni prima a Teano, nel settembre 1867 il Governo italiano (presieduto da Urbano Rattazzi, che però venne presto sostituito da Luigi Federico Menabrea proprio per le accuse di connivenza con i volontari garibaldini), impaurito di fronte ai palesi preparativi di una nuova iniziativa armata, aveva fatto arrestare Garibaldi a Sinalunga (Siena) e poi lo aveva confinato a Caprera, fra l'altro allora in quarantena per colera, dopo aver cercato invano di ottenerne la promessa di non lasciare la sua isola. Fatica inutile, poiché il Generale mise in atto un'ardita, avventurosa evasione: utilizzando come suo sosia Luigi Gusmaroli, lascia l'isola nottetempo stendendosi su un vecchio beccaccino, ossia un'imbarcazione a vela comprata anni prima e nascosta; sbarca in Sardegna, poi in Toscana, il 20 ottobre giunge a Firenze, da dove, dopo avere arringato la folla da un balcone di piazza Santa Maria Novella, parte con circa 8.000 volontari alla volta di quella che venne riconosciuta come "Campagna dell'Agro Romano per la liberazione di Roma". Vince a Monterotondo contro i francesi e occupa Velletri, ma la città non insorge nonostante il sacrificio dei fratelli Cairoli a Villa Glori: ha contro le truppe pontificie, francesi, italiane, è in dissidio con Mazzini che pone le esigenze della rivoluzione sopra quelle militari. Costretto ad accettare battaglia a Mentana, solo quando arrivano i rinforzi francesi con i nuovi fucili a retrocarica, gli chassepots che hanno fatto "meraviglie", si arrende alle truppe italiane. Nuova prigionia, nuova liberazione, nuovo ritorno a Caprera, questa volta "ferito al cuore", come scrive in una lettera a Edgard Quinet. Come deputato si dimette nell'agosto del 1868. Lascerà Caprera solo tre anni dopo, per accorrere in Francia in difesa della Repubblica contro le truppe prussiane, a vendicare Mentana sui campi di Digione.

 

 

Vittorio Emanuele II

 

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