LA SECONDA VITA
Un evento tragico, la morte del marito il 31
luglio 1908, segnò per Teresita il passaggio alla sua "seconda
vita". Domenico non aveva maturato il diritto alla pensione per i
suoi incarichi accademici e Teresita, rimasta vedova con due figli
ancora studenti, si trovò in difficoltà economiche.
Decise di tornare a Bologna dove non abitavano più
il fratello e la madre, che si erano trasferiti a Roma nel 1906, ma
dove poteva contare sull'appoggio della famiglia Zanichelli: nel
1908 sopravvivevano ancora due fratelli di Domenico, Cesare e
Carlo. Nel 1906 la casa editrice era diventata una S.p.A. e Cesare,
benché avesse ancora un ruolo nelle scelte editoriali, non
controllava più l'azienda.
Lo status sociale di Domenico Zanichelli era
elevato, ma la sua era una famiglia più colta che ricca. La
condizione economica era agiata, ma dipendente dal lavoro del
capofamiglia. Non è noto se Teresita e i suoi figli ricevettero
sostegno economico dai famigliari, ma la ricchezza di una famiglia
era costituita anche da relazioni sociali alle quali ricorrere per
fronteggiare i problemi economici. La soluzione fu un impiego,
modesto ma decoroso, in Archiginnasio. I dettagli dell'assegnazione
dell'incarico non sono documentati, ma sicuramente i solidi legami
con esponenti del mondo politico e intellettuale bolognese, a
partire dal direttore Albano Sorbelli, furono determinanti. Anche
grazie a questo impiego, Giuseppe e Maria poterono completare gli
studi. Alla morte del padre, il figlio maggiore aveva vent'anni e
avrebbe quindi avuto l'età per cercarsi lui stesso un lavoro, ma
evidentemente in una famiglia di intellettuali, il completamento
degli studi dei figli era prioritario. Per raggiungere questo
risultato, nei primi anni del Novecento, era appropriato che anche
una signora borghese potesse entrare nel mondo del lavoro, ma
probabilmente solo qualche decennio prima sarebbe stato
impensabile. Gli studi e le carriere dei fratelli Zanichelli, come
era stato per Teresita e il fratello Pietro, erano adeguati al
sesso e alla condizione: Giuseppe, come il padre e lo zio, si
laureò in giurisprudenza, mentre Maria si laureò in pedagogia,
conseguendo un titolo di studio superiore al diploma di maestra
della madre.
In Archiginnasio Teresita non ebbe un incarico di
rilievo. Come la quasi totalità delle donne in quegli anni, era
inquadrata nei gradi più bassi del lavoro impiegatizio: la signora
che aveva invitato a pranzo Carducci copiava atti d'ufficio e
redigeva schede catalografiche. Inoltre, proprio come la
maggioranza delle donne dell'epoca, svolse questa attività come
precaria, "avventizia" come si diceva allora, con uno stipendio
inferiore a quello degli uomini e senza diritto alla pensione. Di
questa "seconda vita" rimangono alcune testimonianze dirette: le
tracce del suo lavoro, i libri del marito venduti
all'Archiginnasio, e soprattutto le sue inascoltate richieste per
essere assunta di ruolo dall'Amministrazione comunale. Non è dato
sapere come Teresita vivesse la sua condizione di lavoratrice,
tuttavia è certo che continuò a lavorare anche ben oltre la
raggiunta autosufficienza dei figli, fino all'età di 71 anni,
quando fu licenziata.
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