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Le due vite di Teresita. Agli inizi del lavoro femminile in biblioteca.

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IL LAVORO (NON MANUALE) DELLE DONNE

Per le donne delle classi popolari lavorare, anche al di fuori delle mura domestiche, è stata una necessità in ogni epoca. Nella seconda metà del XIX secolo, spinte dalle profonde trasformazioni economiche e sociali, cominceranno ad affacciarsi sul mercato del lavoro anche donne appartenenti ad altri strati sociali e, altra novità, saranno impegnate in lavori non manuali, in primo luogo nell'insegnamento, ma anche nell'impiego pubblico e privato e, in alcuni casi, nelle professioni. Iniziò in quegli anni il lungo cammino che porterà alla "femminilizzazione" del terziario dei nostri anni. Le radici di questo processo sono da ricercare nella modernizzazione della società conseguente alla nascita dello Stato unitario, che ridisegnò radicalmente il profilo dell'Italia. Lo sviluppo economico modificò il tessuto produttivo e le trasformazioni non riguardarono solo lo sviluppo industriale. Nel commercio si sperimentarono nuove forme di distribuzione: nacquero ad esempio i grandi magazzini e, con loro, le commesse. Si estesero le attività del terziario: nel settore privato banche, assicurazioni, uffici di professionisti cominciarono a richiedere impiegati, così come lo sviluppo della burocrazia della nuova macchina statale moltiplicò i posti nel pubblico impiego. La diffusione di nuovi servizi e tecnologie, uffici postali, ferrovie, telegrafi, telefoni, contribuì a questo fenomeno in maniera rilevante.

Erano impieghi poco qualificati e mal pagati, per i quali non era richiesta forza fisica, ma oltre a un minimo di istruzione, capacità di applicazione, diligenza e pazienza, tutte caratteristiche associate prevalentemente alle donne. A loro infatti si rivolse il mercato del lavoro per soddisfare le nuove esigenze. Nel 1863 vennero ammesse negli "uffizi sedentari di strade ferrate e di telegrafi elettrici" le vedove e orfane di impiegati benemeriti delle rispettive amministrazioni. Nel 1865 furono gli uffici postali ad aprirsi per vedove, orfane e sorelle di dipendenti. Ben presto l'assunzione non riguardò solo queste particolari categorie e la presenza delle donne negli uffici aumentò. Non solo, ma alcuni lavori divennero quasi esclusivamente femminili, ad esempio quello della centralinista, della telegrafista e, con la diffusione della macchina da scrivere, della dattilografa. La condizione ritenuta naturale per le donne era quella di moglie: per la gran parte delle lavoratrici l'impiego non rappresentava un'occasione di ascesa sociale, ma un'alternativa decorosa alla miseria, soprattutto per le nubili o le vedove. Per le impiegate delle poste il vincolo del nubilato fu abolito nel 1899, ma rimaneva in vigore, come per altri settori, l'istituto dell'autorizzazione maritale per le lavoratrici coniugate, che fu abolito solo nel 1919.

Per sostituire gli uomini impegnati nella Prima Guerra Mondiale, si fece largo ricorso al lavoro femminile. Nel dopoguerra le associazioni combattentistiche organizzarono vere e proprie campagne contro le "signorine dalle calze di seta" che invadevano gli uffici. Tuttavia, oltre ai reduci, la guerra aveva creato anche vedove e orfane che non potevano rimanere senza sostentamento. In generale, però, fu la stessa subalternità delle donne nel lavoro e la loro debolezza economica a rendere impossibile estrometterle dagli uffici pubblici e privati: per i datori di lavoro era difficile privarsi di dipendenti che svolgevano i loro compiti accontentandosi di salari minimi e con minori pretese rispetto agli uomini. Non volendo rinunciare al lavoro femminile si continuò a considerarlo provvisorio e marginale: la maggior parte delle donne non solo dovette accontentarsi di salari più bassi, ma lavorò senza entrare nei ruoli in maniera stabile e, per lungo tempo, senza diritto alla pensione. Il prezzo che le donne pagarono per rimanere nel mercato del lavoro fu quello della precarietà.


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