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Augusto
Majani
«Egli era conosciutissimo specialmente fra il popolo,
perché, oltre ad avere grandi doti di ingegno e di
cultura, fu uomo buono e virtuoso, fino alleccesso
si potrebbe dire qualora sia ammissibile che anche
lonestà e la nobiltà danimo possano
avere dei limiti. Il suo disinteresse, il suo altruismo e
la sua generosità furono tali che, per avere egli costantemente
e scrupolosamente praticato queste virtù, trascorse
in grande povertà la maggior parte della lunga vita,
che si chiuse a 82 anni in unumilissima cameretta dospedale.
[...]
Filopanti (ripetendo quasi il gesto e le parole di Gesù
lasciate che i fanciulli vengano a me) paternamente
amava intrattenersi con noi durante le sue frequenti venute
in paese. A scopo educativo volle averci, dunque, vicini anche
nel podere dove vennero messi in azione certi strani meccanismi
che ricordo vagamente, mentre mi è rimasta bene impressa
la caratteristica figura del loro caro ideatore e sperimentatore.
Filopanti portava ancora vigorosamente, per non dire, giovanilmente,
i suoi 60 e più anni, la cui azione logorante era invece
ben palese sul nero soprabito e sulla tuba che portava ben
calcata allindietro e sotto la cui tesa sporgeva copiosa
ed arruffata la bianca chioma. Candidi i baffi, spioventi
agli angoli della bocca; il naso un po schiacciato e
gli occhi dolci e cerulei in un viso colorito, aperto e sereno.
[
]
Il caro vegliardo, così come lho descritto nella
figura, nel portamento e nel modo di vestire (con in più
uno scialle scozzese che nella stagione invernale gli copriva
le spalle a guisa di mantello) fu visto dai bolognesi per
oltre venti anni aggirarsi nelle vie centrali della città,
della quale era considerato una delle personalità più
onorate e della quale costituiva nel tempo stesso una delle
macchiette più simpatiche e tipiche.
Gli teneva spesso compagnia Torquato Uccelli, suo vecchio
e fedele compagno darmi; un omuncolo che camminava rispettosamente
alla sua sinistra e lo guardava di sotto in su, pendendo dal
suo labbro, senza comprendere, il più delle volte,
la profondità delle idee, osservazioni e giudizi che
lo scienziato e filosofo andava esponendo, noncurante se il
suo ascoltatore fosse in grado o meno di capirlo».
Testo tratto da Augusto Majani, Ricordi
fra due secoli. Memorie illustrate di un caricaturista bolognese,
Milano, Academia, 1950.
Giulio
Padovani
«Lenorme cappello a cilindro allindietro
sul capo, donde gli pioveva giù fino a ricoprire il
solino nullaffatto inamidato, la lunga zazzera grigia,
fitta e riccioluta: il pesante scialle a grandi quadrettoni
e a fondo cenere sulle spalle larghissime: gli occhi placidi
e turchini come il mare quando il vento tace, rivolti per
lo più in alto postura alla quale anche lo costringeva
il mozzicone di sigaro che teneva tra le labbra, e che non
mandava fumo quasi mai il buon Quirico Filopanti si
distingueva lontano un chilometro e il suo passo diseguale,
distratto come il pensiero, permetteva ai curiosi tutti i
più vari commenti sulluomo che si avvicinava
indifferente a tutto quanto gli si volgeva intorno, inconsapevole
delle attestazioni di stima ondera fatto segno. [
]
Io andavo contemplando quel dolce aspetto di uomo in preda
ad una forte ispirazione che si rivelava in tutto il visibile
disordine di una mente senza dubbio superiore, ma nella quale
le infinite cognizioni apprese cogli studi delle scienze più
astruse accusavano evidenti lacune, insufficienza di opportuna
colleganza, assoluto difetto di quel logico e chiaro ordinamento,
di quella facoltà di perspicua intuizione e di epurazione
che contraddistingue luomo di genio».
Testo tratto da Giulio Padovani, A vespro.
Memorie di università e di giornalismo, Bologna,
Zanichelli, 1901.
Riccardo
Bacchelli
«È da dir di lui, di Giuseppe Barilli da Bagnarola
di Budrio, detto Quirico Filopanti: duno cioè,
del quale convien rispettare la bontà gentile, che
gli visse profonda e caritatevole veramente nellanimo;
e lonestà specchiata; e la nobile povertà,
a sé frugale quanto altrui prodiga; e il coraggio schietto,
e la fedeltà animosa delle idee e degli atti, e la
generosità rara e candida dellamor degli uomini
e della giustizia, che innalzò non una volta sola la
sua ingenuità sopra personaggi senza comparazione maggiori
di lui, poiché in quellamore egli non ebbe fra
costoro nessun superiore, né forse pari in sincera
spassionatezza. E del Filopanti ancora fu rispettabile ed
ammirevole la singolarità umanissima ed intrepida,
che lo mischiava, intrepido ed inerme, nelle battaglie garibaldine
a offrire il suo, non a spargere laltrui sangue. Ma
non soltanto queste qualità chegli ebbe, son
da considerare nel Filopanti, ma pure essere lui stato il
semplice, linnocente, il pazzerello del Risorgimento;
ché scarso giudizio è da fare su molti attivi
didee e di principii morali, che non giungano a far
presa anche sugli ingenui, o vuoi sui pazzerelli. Ché
certo i suoi libri, la Bibbia Sociale, il Dio Liberale, Miranda;
la scienza che vi professa, bizzarro enciclopedico; le verità
che vi si sogna di svelare, mistico vaneggiante in un sistema
panteistico e, diceva lui, razionale, di armonie astronomiche
e armonie cronologiche, fondate sopra unastronomia e
cronologia strampalate come la storia di suo conio e come
la mnemotecnica e la metempsicosi che le affiancano nel suo
sistema; certo coteste armonie riverberano il
chiarore quieto e lunatico, chè delle miti e
caste follie.
Matematico e filantropo, era pure, naturalmente, inventore
di macchine, fra laltre, se ben ricordo, dun girarrosto,
che doveva far andare nel contempo il macinino da caffè
e non so che altro per alleggerire la fatica delle buone massaie.
Più efficace il suo soccorso al prossimo, quando, come
gli accadde una volta, trovandosi senza un soldo ma con un
paio di brache nuove, unico capo da poterne cavar qualche
lira, ne fece la carità a un miserabile; e gli amici
lo trovarono segregato in casa per la mancanza dellindispensabile
indumento. E allegra memoria in Bologna rimase delle lezioni
dastronomia popolare chegli teneva al Giuoco del
Pallone e dalla ringhiera del Podestà in piazza; dei
bizzarri compromessi a cui veniva la sua scienza collincredulità
popolare».
Testo tratto da Riccardo Bacchelli, Il Mulino
del Po. Volume II, Capitolo VI: La rotta, Milano, Mondadori,
1958.
«
Io, lho conosciuto Quirico Filopanti. Dicono, che sostenesse
che Romolo, in riva alla palude, fu fatto saltar per aria
dagli aristocratici di quel tempo, i Senatori, con un sacco
di polvere pirica accesa sotto il sedere.
Io non lho mai sentito, a dirlo. Fu Quirico che mise
il cannone di mezzogiorno a San Michele in Bosco. Mi pare
di vederlo. Aveva un grande scialle. Era pieno di miseria
e di carità. Faceva delle conferenze astronomiche al
popolo. Tutti volevano un gran bene al Professor Filopanti
Era uno del 48. Se nè perso la sementa.[
]
Filopanti volle insegnare, una volta, ai Bolognesi
a che distanza sia il sole. Ma quando lebbe detta, nessuno
ci credeva. Tutti protestarono, e allora...
Era uno di quelli che credono che gli uomini saran
felici quando conosceranno le leggi del pendolo e lastronomia.
In quel punto, sparò il cannone di mezzogiorno, che
Quirico Filopanti aveva voluto per un pensiero di carità
e di gentilezza verso quelli che non hanno orologio. E tutte
le argentine devote sorelle del vecchio cannone di Quirico
Filopanti, del compagno di Garibaldi, che stava in prima fila
in tutte le battaglie senza unarma, del triumviro mazziniano,
Tredicesima, come diceva lui, Incarnazione di Gesù
Cristo, e morto nobilmente allospedale, sposarono nellaria
pura, su dalla città rossa e giù dai colli verdi,
le loro voci pie al rombo ereticale».
Testo tratto da Riccardo Bacchelli, Il filo
meraviglioso di Lodovico Clò. Romanzo, in Memorie
del tempo presente, Milano. Mondadori, 1961.
Alfredo
Testoni
«Appena seppi che il professore Filopanti si era preso
lincarico di istruire il popolo nella piazza della Montagnola
senza spendere niente, ci andai una sera anchio con
la migliore volontà di imparare qualche cosa.
Egli stava su di un palco certamente poco solido a giudicare
dal continuo traballio, illuminato da due sole lampade a petrolio,
per modo che nelloscurità della piazza, appena
appena lo si vedeva scuotere la lunga zazzera e agitare una
bacchetta che aveva in mano. Faceva la spiegazione del cielo,
ma che vuole? quel benedetto uomo cambiava nome
a tutte le stelle: Quella là, la più
lucente, è Garibaldi! Laltra a destra è
Mazzini! Quel gruppo di stelle a sinistra è la famiglia
Cairoli!
Ed era tanto condiscendente verso gli ascoltatori, che appena
sentiva voci e risa incredule sullenorme distanza di
una stella da noi, veniva subito a patta con il pubblico per
non disgustarselo: Vi sembrano molte cento mila miglia?
Ebbene dirò settantacinque mila! È troppo
! si seguitava a urlare È troppo!
Ed egli, allargando le braccia : Ebbene facciamo cinquantamila
e non se ne parli più !
Anche in quelloccasione il buon cuore di Filopanti non
si smentiva!
Ma venni via di là con una confusione tale in testa,
che finii per persuadermi che era troppo tardi per diventare
una donna istruita».
Testo tratto da Alfredo Testoni, Il romanzo
della Sgnera Cattareina, Milano, Mondadori,
1922.
Alfredo
Panzini
«Quirico Filopanti ogni anno, arringava il popolo. Rivedo
una folla di popolo e, sopra la folla, labito nero e
la tuba di Quirico Filopanti. La sua miseria era spettrale:
ma abito nero e tuba. Doveva essere ancora labito che
indossò quando era deputato della Costituente della
Repubblica Romana nel 1849. Ma non importa: abito nero e tuba!
Patria, onore, eroi, repùblica classica
erano le sue parole, E poi le stelle, perché
Quirico Filopanti si occupava anche di Dio e delle stelle.
Tutte cose che non usano più. [
]
Mi scosse un colpo di cannone.
Era il cannone del mezzodì. E allora fu un correr di
popolo che smette il lavoro e un gridare gioioso: Lè
Filopanti, Filopanti!.
Perché! Perché dite Filopanti?
Ma il popolo aveva fretta per andare a mangiare.
Ho poi saputo che il popolo di Bologna chiama col nome di
Filopanti il colpo di cannone del mezzodì».
Testo tratto da Alfredo Panzini, Viaggio
di un povero letterato, Milano, Treves, 1919.
Giuseppe
Garibaldi
«Illustre sacerdote del vero, voi portate la luce alle
cieche popolazioni, che dovrebbero, ascoltandovi, scuotere
le meschine superstizioni che le deturpano moralmente e materialmente.
Io ben vi ricordo difendendo Roma colla parola e col fucile,
e mio compagno a Mentana, e dovunque sia un pericolo da affrontare
per questo popolo infelice».
Testo tratto da una lettera inviata da
Giuseppe Garibaldi a Filopanti, Caprera, 12 gennaio 1869.
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