Ricordi di un vecchio scolaro
Il vecchio scolaro era allora un povero ragazzo smilzo e
scialbo. Veniva dalla Romagna, da una casuccia dove una famiglia
di ragazzi, di ragazzi e bambine soli soli, fatti orfani da
un delitto tuttora impunito, e poi abbandonati e lasciati
soffrire soli soli (era indifferenza della gente? era viltà?);
una famiglia che aveva per capo il ragazzo più grande,
sedicenne appena quando ebbe tutta la nidiata da imboccare;
una famiglia che faceva economia.
Il ragazzo più grande (ora non vede e non sente più
nulla, di là dove da un pezzo dimora, tra Savignano
e San Mauro, a mezza strada), il ragazzo che faceva da babbo
credeva scorgere in uno de' suoi figlioli-fratelli una certa
disposizione alle lettere. Poi, in quell'anno, era bandito
per la prima volta il concorso a sei sussidi per chi studiasse
lettere nell'Università di Bologna. Era una liberalità
di questo Comune, di questa nobile città, liberalità
vera e larga in quanto ammetteva al concorso tutti gli italiani,
non i bolognesi soli; sicché anche dall'umile villaggio
della Romagna, dove era quella casuccia nella quale faceva
economia quella famigliola tutta di ragazzi e di bambine,
il ragazzo più grande udì il buono invito: fornì
il suo minore (il vecchio scolaro: oh! dolcezza amara di ricordi!)
di poche lire, troppe per chi le dava, un po' pochine per
chi le riceveva; lo imbarcò solo soletto in una terza
classe del treno e gli disse: Tuo babbo ti aiuti! Era il giorno
avanti il primo esame. La mattina dopo, il povero ragazzo
smilzo e scialbo si trovava tra una ventina d'altri ragazzi,
venuti da tutte le parti d'Italia, o sorridenti o rumorosi,
aspettando... Aspettando chi? Carducci. Egli doveva venire
a dettare il tema d'italiano. Proprio Carducci? Carducci in
persona.
Oh! il povero ragazzo aspettava col forse maggior palpito.
Egli non aveva nel suo ingegno e nei suoi studi la fede che
aveva il suo fratello maggiore; egli prevedeva, ahimè!
di doversene tornare a casa, di lì a pochi giorni,
come era venuto... cioè, non come era venuto, ma senza
quelle lire, o troppe o troppo poche; e trovare più
freddo il freddo focolare quando si fosse spenta quell'ultima
speranza. Ma non per questo palpitava, allora, il ragazzo:
egli palpitava per l'aspettazione di colui che doveva apparire
tra pochi minuti.
Nel collegio, donde era uscito anni prima (un collegio di
scolopi), egli aveva sentito parlare di Carducci; come, si
può imaginare: aveva cantato Satana! Un bel giorno,
il professore d'italiano, ingegno elegante e ardito, anima
e fiera e gentile, il Padre Donati, nella sua cella gli mostrò
un ritratto: un ritratto di giovane avventuriere, cospiratore,
soldato o che so io; una testa pugnace audace di ribelle indomabile.
Il ragazzo pensò forse a un prigione di Aspromonte,
a un caduto di Mentana. «Questo» disse il frate
«è il poeta più classico e più
novatore, lo scrittore più antico e più moderno,
che abbia l'Italia: è Carducci.» Al frate lucevano
gli occhi azzurrissimi, e al ragazzo si cominciò a
colorir l'anima di non so qual colore nuovo. Ricordò;
e lesse poi quel che poté: ben poco; pure assai perché
nel momento che dissi, egli palpitasse come forse non altri.
A un tratto un gran fremito, un gran bisbiglio: poi, silenzio.
Egli era in mezzo alla sala, passeggiando irrequieto, quasi
impaziente. Si volgeva qua e là a scatti, fissando
or su questo or su quello, per un attimo, un piccolo raggio
ardente de' suoi occhi mobilissimi. «L'opera di Alessandro
Manzoni» dettò. Poi aggiunse con parole rapide,
staccate, punteggiate: Ordine, chiarezza, semplicità!
Non mi facciano un trattato d'estetica. Una pausa di tre secondi;
e concluse: Già non saprebbero fare. Sorrise a questo
punto? Chi lo sa? s'indugiò ancora un poco e uscì.
Oh! il povero ragazzo stette più d'un'ora senza nemmeno
provarsi a intingere la penna! Il suo vicino, un bel fanciullone
piemontese, con una sua grossa e buona testa dondolante, gli
domandò con gentile atto di pietà: Non scrive?
L'altro si svegliò dal suo torpore e cominciò
a scrivucchiare. Che cosa, Dio mio? O piccolo padre lontano!
o dolci bambine preganti a quell'ora per lui! E' fatta: nella
testa non c'è nulla di buono; nel calamaio, qualche
paroletta a quando a quando. E questa ragnata tessitura di
grame parole l'avrà a leggere lui? Avanti avanti! come
spinto a furia, per le spalle, inertemente! E qualche giorno
dopo ci fu l'esame orale. E il giovinetto romagnolo entrò
avanti il consesso giudicante, come se vi fosse travolto da
una ventata; e rivide lui e si sentì interrogare. Ma
egli qualche cosa doveva aver letto nel viso smunto e pallido
del ragazzo: leggeva forse il pensiero che appariva tra uno
sforzo e un altro per rispondere; pensiero d'assenti, pensiero
di solo al mondo, pensiero d'un dolore e d'una desolazione
che al Maestro non potevano essere fatti noti se non dagli
occhi del ragazzo, che pregava forse con essi più che
non rispondesse con la bocca; dagli occhi di lui soli, perché
nessuno aveva parlato e pregato per lui: certo il Maestro
interrogava con non so qual pietà e ascoltava le risposte
impacciate con una specie di rassegnazione cortese, accomodandole
e spiegandole e giustificandole. Passò questo doloroso
quarto d'ora; passarono gli altri. Il ragazzo fu richiamato
a dare qualche schiarimento sul suo attestato di licenza:
sentì o credé sentire che il Carducci, proprio
il Carducci, ampliava le sue spiegazioni comunicandole agli
altri professori. Questo lo sollevò un poco; ma ogni
barlume di speranza era spento quando due o tre giorni dopo
aspettava nell'Università la sentenza che doveva essere
lì per lì fatta pubblica dagli esaminatori.
Egli si vergognava al pensiero che altri credesse che egli
sperasse ancora e fosse lì per un'ultima pertinace
illusione. No no: egli era ben certo di non essere de' sei
primi: tutto al più sarebbe giudicato degno dell'ammissione
(la legge era allora così); ma per lui era lo stesso
che esserne giudicato indegno; perché senza il sussidio
doveva tornarsene a casa e lasciarsi... vivere o morire? O
vivere o morire, era lo stesso per lui. E de' buoni giovani
gli facevano coraggio: Sono sei posti... chi sa? Basta: a
uno squillo di campanello tutti entrarono. Gli esaminatori
erano tutti lì: la fiera testa del poeta si volgeva
da parte, come indifferente.
Gandino, il severo e sereno Gandino, con quel volto che sembra
preso a una medaglia romana, scandendo le parole con la sua
voce armoniosa ammonì: Leggerò i nomi dei candidati
secondo l'ordine di merito; i primi sei s'intende che hanno
conseguito il sussidio comunale. Pausa.
Al ragazzo romagnolo batteva il cuore; ma solo, per così
dire, in anticipazione del palpito che avrebbe sofferto in
quel momento che avrebbe separato il quinto nome dal sesto.
Sonò il primo nome nel silenzio della sala... era il
suo. In quell'attimo egli, il povero ragazzo, vide lampeggiare
un sorriso. Sì: la testa del poeta si era illuminata
d'un sorriso subito spento.
Oh! il povero ragazzo è diventato un vecchio scolaro
e potrà divenire un vecchio, senz'altro; si è
trovato ad altre traversie, ha provato altre gioie, sebbene
rade, ad altre si troverà, altre ne proverà,
come vorrà il suo destino; ma non ha dimenticato e
non dimenticherà mai quel sorriso! Egli sentì
poi Carducci risuscitare e rievocare dalla cattedra le morte
età e le anime svanite; lo sentì migliorare
(pare e non è esagerazione) con una frase, con una
parola, con un gesto i grandi poeti; lo vide nel suo studio
preparare, con movenze di leone, le saette lucide e mortali
per ferire questo e quel nemico, non di lui ma dell'idealità
sua; lo vide tra le coppe misurate improvvisare, con giovani
amici ammiranti, piccoli stornelli, fiori di grazia; ascoltò
dalle sue labbra nella religiosa ombra della scuola, la prima
ode barbara; ascoltò dalle sue labbra, azi dalla sua
anima, di sul manoscritto, il Canto dell'amore...
Ella è un'altra Madonna, ella è un'idea
Fulgente di giustizia e di pietà:
Io benedico chi per lei cadea,
Io benedico chi per lei vivrà...
lo sentì piangere recitando
Di cima a 'l poggio allor, da 'l cimitero,
Giù de' cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia...
lo sentì tra cento bandiere, avanti tutto un popolo,
cui egli impose di non applaudire e che non poté ubbidirgli
sino all'ultimo, parlare di Garibaldi morto in un modo...
con una voce... con una eloquenza... che mai Garibaldi fu
più vivo nelle anime nostre; tante cose sentì
da lui e di lui vide, belle, nobili, alte, mirabili, gloriose,
ora d'una semplicità di fanciullo, ora d'una grandezza
di eroe, tante, tante! Ma in questo giorno della sua festa
solenne, nella quale riceve un'attestazione di reverenza e
di amore e di gratitudine dalla sua patria e da tutto il mondo
civile, il suo vecchio scolaro non ha trovato ricordo più
soave da evocare, che questo, di quel sorriso! di quel sorriso
che si compiaceva d'un dolore che egli leniva, d'una vita
che egli conservava.
Poiché il poeta, il maestro, tutti sanno che è
grande; ma soli quelli che gli vissero e vivono da presso,
soli specialmente i suoi vecchi e giovani scolari sanno che
egli è anche più buono che grande.
Giovanni Pascoli
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