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In occasione
delle celebrazioni per lanniversario di insegnamento
di Giosue Carducci, Pascoli rievoca la prova di concorso
bandita molti anni prima dal Comune di Bologna per sei
borse di studio, vincendo la quale ebbe la possibilità
di frequentare lUniversità. Centrale è
il ritratto dello stesso Carducci, che in quella occasione
aveva fatto parte della commissione esaminatrice e che
larga parte aveva svolto nellammettere il povero
ragazzo smilzo e scialbo al beneficio. La minuta
dellarticolo consiste di otto foglietti vergati
in scrittura finissima, dei quali si espongono il primo
e lultimo.GN
Giovanni
Pascoli, Ricordi di un vecchio scolaro
Il vecchio scolaro era allora un povero
ragazzo smilzo e scialbo. Veniva dalla Romagna, da
una casuccia dove una famiglia di ragazzi, di ragazzi
e bambine soli soli, fatti orfani da un delitto tuttora
impunito, e poi abbandonati e lasciati soffrire soli
soli (era indifferenza della gente? era viltà?);
una famiglia che aveva per capo il ragazzo più
grande, sedicenne appena quando ebbe tutta la nidiata
da imboccare; una famiglia che faceva economia.
Il ragazzo più grande (ora non vede e non sente
più nulla, di là dove da un pezzo dimora,
tra Savignano e San Mauro, a mezza strada), il ragazzo
che faceva da babbo credeva scorgere in uno de' suoi
figlioli-fratelli una certa disposizione alle lettere.
Poi, in quell'anno, era bandito per la prima volta
il concorso a sei sussidi per chi studiasse lettere
nell'Università di Bologna. Era una liberalità
di questo Comune, di questa nobile città, liberalità
vera e larga in quanto ammetteva al concorso tutti
gli italiani, non i bolognesi soli; sicché
anche dall'umile villaggio della Romagna, dove era
quella casuccia nella quale faceva economia quella
famigliola tutta di ragazzi e di bambine, il ragazzo
più grande udì il buono invito: fornì
il suo minore (il vecchio scolaro: oh! dolcezza amara
di ricordi!) di poche lire, troppe per chi le dava,
un po' pochine per chi le riceveva; lo imbarcò
solo soletto in una terza classe del treno e gli disse:
Tuo babbo ti aiuti! Era il giorno avanti il primo
esame. La mattina dopo, il povero ragazzo smilzo e
scialbo si trovava tra una ventina d'altri ragazzi,
venuti da tutte le parti d'Italia, o sorridenti o
rumorosi, aspettando... Aspettando chi? Carducci.
Egli doveva venire a dettare il tema d'italiano. Proprio
Carducci? Carducci in persona.
Oh! il povero ragazzo aspettava col forse maggior
palpito. Egli non aveva nel suo ingegno e nei suoi
studi la fede che aveva il suo fratello maggiore;
egli prevedeva, ahimè! di doversene tornare
a casa, di lì a pochi giorni, come era venuto...
cioè, non come era venuto, ma senza quelle
lire, o troppe o troppo poche; e trovare più
freddo il freddo focolare quando si fosse spenta quell'ultima
speranza. Ma non per questo palpitava, allora, il
ragazzo: egli palpitava per l'aspettazione di colui
che doveva apparire tra pochi minuti.
Nel collegio, donde era uscito anni prima (un collegio
di scolopi), egli aveva sentito parlare di Carducci;
come, si può imaginare: aveva cantato Satana!
Un bel giorno, il professore d'italiano, ingegno elegante
e ardito, anima e fiera e gentile, il Padre Donati,
nella sua cella gli mostrò un ritratto: un
ritratto di giovane avventuriere, cospiratore, soldato
o che so io; una testa pugnace audace di ribelle indomabile.
Il ragazzo pensò forse a un prigione di Aspromonte,
a un caduto di Mentana. «Questo» disse
il frate «è il poeta più classico
e più novatore, lo scrittore più antico
e più moderno, che abbia l'Italia: è
Carducci.» Al frate lucevano gli occhi azzurrissimi,
e al ragazzo si cominciò a colorir l'anima
di non so qual colore nuovo. Ricordò; e lesse
poi quel che poté: ben poco; pure assai perché
nel momento che dissi, egli palpitasse come forse
non altri.
A un tratto un gran fremito, un gran bisbiglio: poi,
silenzio. Egli era in mezzo alla sala, passeggiando
irrequieto, quasi impaziente. Si volgeva qua e là
a scatti, fissando or su questo or su quello, per
un attimo, un piccolo raggio ardente de' suoi occhi
mobilissimi. «L'opera di Alessandro Manzoni»
dettò. Poi aggiunse con parole rapide, staccate,
punteggiate: Ordine, chiarezza, semplicità!
Non mi facciano un trattato d'estetica. Una pausa
di tre secondi; e concluse: Già non saprebbero
fare. Sorrise a questo punto? Chi lo sa? s'indugiò
ancora un poco e uscì.
Oh! il povero ragazzo stette più d'un'ora senza
nemmeno provarsi a intingere la penna! Il suo vicino,
un bel fanciullone piemontese, con una sua grossa
e buona testa dondolante, gli domandò con gentile
atto di pietà: Non scrive? L'altro si svegliò
dal suo torpore e cominciò a scrivucchiare.
Che cosa, Dio mio? O piccolo padre lontano! o dolci
bambine preganti a quell'ora per lui! E' fatta: nella
testa non c'è nulla di buono; nel calamaio,
qualche paroletta a quando a quando. E questa ragnata
tessitura di grame parole l'avrà a leggere
lui? Avanti avanti! come spinto a furia, per le spalle,
inertemente! E qualche giorno dopo ci fu l'esame orale.
E il giovinetto romagnolo entrò avanti il consesso
giudicante, come se vi fosse travolto da una ventata;
e rivide lui e si sentì interrogare. Ma egli
qualche cosa doveva aver letto nel viso smunto e pallido
del ragazzo: leggeva forse il pensiero che appariva
tra uno sforzo e un altro per rispondere; pensiero
d'assenti, pensiero di solo al mondo, pensiero d'un
dolore e d'una desolazione che al Maestro non potevano
essere fatti noti se non dagli occhi del ragazzo,
che pregava forse con essi più che non rispondesse
con la bocca; dagli occhi di lui soli, perché
nessuno aveva parlato e pregato per lui: certo il
Maestro interrogava con non so qual pietà e
ascoltava le risposte impacciate con una specie di
rassegnazione cortese, accomodandole e spiegandole
e giustificandole. Passò questo doloroso quarto
d'ora; passarono gli altri. Il ragazzo fu richiamato
a dare qualche schiarimento sul suo attestato di licenza:
sentì o credé sentire che il Carducci,
proprio il Carducci, ampliava le sue spiegazioni comunicandole
agli altri professori. Questo lo sollevò un
poco; ma ogni barlume di speranza era spento quando
due o tre giorni dopo aspettava nell'Università
la sentenza che doveva essere lì per lì
fatta pubblica dagli esaminatori. Egli si vergognava
al pensiero che altri credesse che egli sperasse ancora
e fosse lì per un'ultima pertinace illusione.
No no: egli era ben certo di non essere de' sei primi:
tutto al più sarebbe giudicato degno dell'ammissione
(la legge era allora così); ma per lui era
lo stesso che esserne giudicato indegno; perché
senza il sussidio doveva tornarsene a casa e lasciarsi...
vivere o morire? O vivere o morire, era lo stesso
per lui. E de' buoni giovani gli facevano coraggio:
Sono sei posti... chi sa? Basta: a uno squillo di
campanello tutti entrarono. Gli esaminatori erano
tutti lì: la fiera testa del poeta si volgeva
da parte, come indifferente.
Gandino, il severo e sereno Gandino, con quel volto
che sembra preso a una medaglia romana, scandendo
le parole con la sua voce armoniosa ammonì:
Leggerò i nomi dei candidati secondo l'ordine
di merito; i primi sei s'intende che hanno conseguito
il sussidio comunale. Pausa.
Al ragazzo romagnolo batteva il cuore; ma solo, per
così dire, in anticipazione del palpito che
avrebbe sofferto in quel momento che avrebbe separato
il quinto nome dal sesto. Sonò il primo nome
nel silenzio della sala... era il suo. In quell'attimo
egli, il povero ragazzo, vide lampeggiare un sorriso.
Sì: la testa del poeta si era illuminata d'un
sorriso subito spento.
Oh! il povero ragazzo è diventato un vecchio
scolaro e potrà divenire un vecchio, senz'altro;
si è trovato ad altre traversie, ha provato
altre gioie, sebbene rade, ad altre si troverà,
altre ne proverà, come vorrà il suo
destino; ma non ha dimenticato e non dimenticherà
mai quel sorriso! Egli sentì poi Carducci risuscitare
e rievocare dalla cattedra le morte età e le
anime svanite; lo sentì migliorare (pare e
non è esagerazione) con una frase, con una
parola, con un gesto i grandi poeti; lo vide nel suo
studio preparare, con movenze di leone, le saette
lucide e mortali per ferire questo e quel nemico,
non di lui ma dell'idealità sua; lo vide tra
le coppe misurate improvvisare, con giovani amici
ammiranti, piccoli stornelli, fiori di grazia; ascoltò
dalle sue labbra nella religiosa ombra della scuola,
la prima ode barbara; ascoltò dalle sue labbra,
azi dalla sua anima, di sul manoscritto, il Canto
dell'amore...
Ella è un'altra Madonna, ella
è un'idea
Fulgente di giustizia e di pietà:
Io benedico chi per lei cadea,
Io benedico chi per lei vivrà...
lo sentì piangere recitando
Di cima a 'l poggio allor, da 'l cimitero,
Giù de' cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia...
lo sentì tra cento bandiere,
avanti tutto un popolo, cui egli impose di non applaudire
e che non poté ubbidirgli sino all'ultimo,
parlare di Garibaldi morto in un modo... con una voce...
con una eloquenza... che mai Garibaldi fu più
vivo nelle anime nostre; tante cose sentì da
lui e di lui vide, belle, nobili, alte, mirabili,
gloriose, ora d'una semplicità di fanciullo,
ora d'una grandezza di eroe, tante, tante! Ma in questo
giorno della sua festa solenne, nella quale riceve
un'attestazione di reverenza e di amore e di gratitudine
dalla sua patria e da tutto il mondo civile, il suo
vecchio scolaro non ha trovato ricordo più
soave da evocare, che questo, di quel sorriso! di
quel sorriso che si compiaceva d'un dolore che egli
leniva, d'una vita che egli conservava.
Poiché il poeta, il maestro, tutti sanno che
è grande; ma soli quelli che gli vissero e
vivono da presso, soli specialmente i suoi vecchi
e giovani scolari sanno che egli è anche più
buono che grande.
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Giovanni Pascoli,
Ricordi di un vecchio scolaro
«Il Resto del Carlino», 9 febbraio 1896
BCABo, 19/1 |
Giovanni Pascoli,
Ricordi di un vecchio scolaro
BCABo, Collezione autografi, CIII, 23646 |
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A Giosue Carducci i discepoli (1860-1895)
Casa Carducci, Archivio fotografico, A 158
Fotografia di Giovanni Pascoli, con firma autografa,
inserita nella seconda pagina, come quella dellamico
Severino Ferrari (1856-1905), dellalbum allestito in
occasione delle celebrazioni del XXXV anniversario dellinsegnamento
del Maestro nello Studio bolognese. Lalbo composto di
143 ritratti, rilegato in cuoio bulinato con fregi, fu presentato
a Carducci il 24 gennaio 1896 dallallievo Niccolò
Rodolico.GN
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Giosue Carducci nel 1875
Disegno di G. Colussi (Trieste, Litografia Linassi)
Casa Carducci, Archivio fotografico, A 5. 1
Docente di Letteratura italiana nellUniversità
di Bologna dal 1 novembre 1860 all'a.a. 1904-05 e incaricato
di Storia comparata delle letterature neo-latine dall'a.a.
1875-76. SS
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Certificato di licenza liceale rilasciato
dal Liceo Monti di Cesena. 24 novembre 1873.
(Archivio storico dellUniversità di Bologna,
Fascicoli degli studenti di Lettere e Filosofia, Giovanni
Pascoli, n.501)
Giovanni Pascoli conseguì il diploma
al Liceo Vincenzo Monti di Cesena superando gli esami, come
alunno esterno, il 25 ottobre del 1873. Nei giorni immediatamente
successivi egli inoltrò allUniversità
di Bologna i documenti necessari per liscrizione alla
Facoltà di Lettere; nel suo fascicolo sono conservati,
oltre al diploma, latto di nascita, la certificazione
di disagiate condizioni economiche e la richiesta per concorrere
allassegnazione di uno dei sei sussidi elargiti quellanno
dal Municipio di Bologna a studenti di Lettere e Filosofia.DN
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Verbale dellesame di ammissione
alla Facoltà di Lettere e Filosofia di
Giovanni Pascoli. 15 novembre 1873.
(Archivio storico dellUniversità di Bologna,
Fascicoli degli studenti di Lettere e Filosofia, Giovanni
Pascoli, n.501)
Il documento attesta che, per lammissione
al corso di laurea in Belle Lettere, lUniversità
ritenne validi i risultati conseguiti da Pascoli nelle analoghe
prove per il concorso bandito dal Comune per sussidi agli
studenti in disagiate condizioni economiche. Da notare che,
per abitudine, la Facoltà di Lettere nel documento
esposto è ancora menzionata come Facoltà Filologica
(per esteso Facoltà di Filosofia e Filologia), denominazione
scomparsa dallAnnuario dellUniversità nellanno
accademico 1868-69.DN
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Libretto discrizione al secondo
anno di corso della Facoltà di Lettere.
Anno accademico 1874-1875.
(Archivio storico dellUniversità di Bologna,
Fascicoli degli studenti di Lettere e Filosofia, Giovanni
Pascoli, n.501)
Tra i docenti con cui Pascoli sostenne gli
esami nel suo secondo anno di Università spicca il
nome di Giosue Carducci, di cui Pascoli sarà il successore
dal 1905 nellinsegnamento di Letteratura italiana.
Il primo periodo di studi universitari di Pascoli si interruppe
al secondo anno. La vicinanza ai primi movimenti socialisti
ebbe gravi conseguenze personali per il poeta: nel 1876 gli
venne tolta la borsa di studio per la partecipazione ad una
manifestazione studentesca e tre anni più tardi, nel
1879, limpegno politico gli costò alcuni mesi
di carcere.DN
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