Le memorie

Antonio MERENDA

(Forlì, 1578 - 1655)

Il forlivese Antonio Merenda fu l'ultimo lettore eminente di diritto civile dello Studio bolognese, dove venne chiamato nel 1647, dopo 18 anni di vacanza della cattedra, e dove insegnò fino al 1655. Aveva fatto i suoi studi a Roma, dove presumibilmente si era laureato. Aveva insegnato per sedici anni diritto feudale a Pisa ed era poi ritornato per un anno a Roma, dove era entrato nella cerchia del cardinale Francesco Barberini, grazie alla cui protezione aveva ottenuto una cattedra a Fermo. Era stato poi chiamato a Pavia. In quegli anni il Merenda era conosciuto e stimato in tutta Italia e, come ricorda l'iscrizione, diverse università avrebbero voluto averlo come docente. Probabilmente aveva deciso di accettare la cattedra bolognese anche in ragione dell'altissimo stipendio (6000 lire) offertogli dal senato. Un altro prezzo pagato alla sua fama potrebbe essere stata l'assegnazione di una cattedra giuridica ai due nipoti di cui l'iscrizione fa cenno, Giuliano e Giuseppe Merenda: il primo lesse diritto civile dal 1647 al 1653, il secondo dal 1653 al 1662. Da due indici di quaestiones da lui presentate al senato come programma del suo corso, dove si presenta come allievo di Andrea Fachinetti, egli appare da un lato ancora legato alla scuola ormai inaridita di Bartolo, dall'altro al corrente delle nuove tendenze della scuola umanistica inaugurata da Andrea Alciato, che aveva insegnato come lui a Pavia, ma soltanto in Francia aveva trovato un terreno favorevole alle sue idee. Egli cita non solo Alciato, ma anche Jacopo Cujacio, che alla fine del secolo precedente aveva sviluppato un metodo di interpretazione del diritto che ne prendeva in considerazione gli aspetti storici e filologici, oltre a quelli strettamente giuridici. Malgrado il suo tentativo di conciliare Bartolo e Cuiacio, Antonio Merenda continuava a ispirare il suo studio delle leggi a principi eterni e immutabili, quegli stessi dogmata di cui i glossatori ricercavano la definizione, dimostrando in tal modo la sua lontananza dalle nuove tendenze che, soprattutto con l'opera di Grozio, stavano ponendo le basi della moderna concezione del diritto. Nelle sue opere si occupò del diritto di possesso e sostenne la tesi, molto contestata, che esso derivi dalla condizione dei popoli nomadi e dal loro rapporto col suolo. Fu inoltre autore di pareri e consulti giuridici molto ricercati ed apprezzati.

G. ROSETTI, Vite degli uomini illustri forlivesi, Forlì, 1838, p. 311-321.
S. MAZZETTI, Repertorio di tutti i professori antichi e moderni della famosa Università di Bologna e del celebre Istituto delle scienze, Bologna, 1848, p. 200.
G. VERNAZZA, La crisi barocca nei programmi didattici dello Studio bolognese, "Studi e memorie per la storia dell'Università di Bologna, n.s., 2, (1961), p. 105-108.