Dalla mole di materiali che compongono il fondo speciale
"Teatri e spettacoli" della Biblioteca dell'Archiginnasio, oltre
alle molteplici informazioni sugli allestimenti operistici, sull'organizzazione
e sui repertori delle compagnie comiche, sulla natura delle esibizioni
circensi, sulle convenzioni e le predilezioni degli spettatori, emergono
in particolare due dati: il primo riguarda l'abbondanza e l'eterogeneità
dell'offerta spettacolare a Bologna tra la fine del XVIII e la prima metà
del XIX secolo, in grado di soddisfare tutte le esigenze, culturali, mondane,
di puro intrattenimento; il secondo concerne l'espansione degli spazi
destinati ad accogliere gli spettacoli, resa anche possibile dalla disponibilità
di edifici ed aree a basso costo, verificatasi a séguito della
soppressione delle corporazioni religiose (1799).
Alcuni dei nuovi teatri che vennero costruiti in questo periodo risultarono
pregevoli esempi di architettura e decorazione neoclassica, altri vennero
concepiti secondo criteri del tutto innovativi, come le arene e lo Sferisterio.
Dei tre principali teatri pubblici di cui era dotata Bologna ancora alla fine del Settecento (teatro Comunale, teatro Zagnoni già Formagliari, teatro Marsigli Rossi) il solo Comunale si mantenne in vita, anzi continuò ad essere considerato un vanto cittadino, un ambiente raffinato ed elitario, a costituire l'oggetto di cure assidue e onerose da parte dall'amministrazione municipale. Gli altri due erano destinati in breve tempo a scomparire: a causa di un devastante incendio il teatro Zagnoni (1802), a causa dell'incuria il Marsigli Rossi (1825). Ma vennero tempestivamente sostituiti dal teatro del Corso (1805) e dal teatro Contavalli (1814), entrambi assai frequentati grazie ad una programmazione varia e quasi ininterrotta per tutto l'anno.
Ai due teatrini sistemati all'interno delle omonime dimore
un tempo gentilizie e già in funzione nella seconda metà
del XVIII secolo, il teatro Felicini e il teatro Legnani, si affiancarono
dapprima il teatro Taruffi e in séguito il teatro Loup, costruito
nel salone d'onore del palazzo Calderini, mentre altri teatri di ridotte
proporzioni, destinati ad ospitare spettacoli di marionette, compagnie
di giro di second'ordine o formazioni di dilettanti, venivano ricavati
da ex oratori, come il San Gabriele in via dei Giudei, da ex chiese conventuali,
come il teatro Privat di via Saragozza e il teatro di via Nosadella, da
ex collegi gesuitici, come il San Francesco Saverio di via Cartoleria
Vecchia. Quest'ultimo fu il più fortunato e longevo perché,
più volte restaurato dalla famiglia Brunetti che ne era proprietaria,
è ancora oggi in funzione con il nome di teatro Duse.
Pure i chiostri e gli orti monastici ebbero talora destinazione
teatrale, come accadde con la costruzione di due arene, quella di San
Lorenzo (1809) e quella detta del Sole (1810), che davano spettacoli diurni
a basso costo e a destinazione popolare. Un'arena di dimensioni e forma
particolari, chiamata ufficialmente "del Gioco del Pallone"
e dalla gente "Sferisterio", venne invece ideata dall'ingegner
Tubertini (1822) e riservata alle partite disputate dagli eroi dell'attività
sportiva più appassionante e seguìta del tempo.
Contemporaneamente crebbe il numero delle sale riservate alle esecuzioni musicali private oppure aperte al pubblico per tenervi a pagamento veglioni carnevaleschi, mirabolanti esperimenti di ottica e di fisica e incontri di scherma, per accogliere una folla di acrobati, prestigiatori e ventriloqui che un tempo esibivano nelle piazze, per esporre infine animali ammaestrati e quant'altro di esotico potesse solleticare la curiosità.
Il gioco del pallone
Antenato del calcio come sport "classico degli italiani",
a detta del Burckhardt, ma più simile alla 'palla a mano' o al
'baseball', il gioco 'del pallone al bracciale' veniva praticato già
nel Rinascimento dai nobili nei palazzi e nei giardini. Conquistato
rapidamente anche il favore popolare, si era trasferito nelle piazze
e lungo le mura cittadine, giungendo ad attirare alle partite migliaia
di spettatori. Agli inizi dell'Ottocento si cominciò a sostituire
i precari recinti lignei, ormai insufficienti, con strutture permanenti,
appositamente studiate: nacquero così le varie Arene, la più
tipica delle quali fu appunto a Bologna quella detta 'del pallone' o
'Sferisterio'.
Il gioco, nelle due varianti del 'cordino a terra' o 'cordino in aria',
a seconda della posizione della fune divisoria del terreno di gara,
prevedeva due squadre di tre-quattro giocatori ciascuna, con un battitore,
una spalla e un terzino, più un mandarino per lanciare la palla
al battitore, caratterizzati da una fusciacca in vita, rossa o azzurra,
e da un bracciale di legno con punte di diamante, che battevano alternativamente
i giochi, cercando di lanciare il pallone di cuoio oltre la linea di
fondo.
Testimone autorevole del tifo e della gloria che i campioni del gioco
suscitavano e riscuotevano concordemente presso tutti i ceti e le categorie
sociali fu addirittura il Leopardi dell'Ode a un vincitore del pallone,
nella fattispecie Carlo Didimi, che si esibì con successo anche
a Bologna negli anni Trenta e Quaranta dell'Ottocento.
Per approfondire
Storie di teatri, teatranti e spettatori
Bibliografia