Testo di Marina Calore
> 1. Introduzione
> 2. Dall'antico al nuovo
regime
> 3. Il regolamento teatrale
> 4. Gli spettacoli diurni
> 5. Le istituzioni musicali
Il fondo denominato "Teatri e Spettacoli", riordinato di recente, integrato e debitamente inventariato, si impone all'attenzione di studiosi e ricercatori di varie discipline innanzi tutto per l'eccezionale quantità dei pezzi, ben oltre il migliaio, in esso contenuti e in secondo luogo per la molteplicità delle informazioni di prima mano che è in grado di offrire. È costituito infatti in prevalenza da avvisi a stampa e programmi di manifestazioni, lettere circolari e convocazioni accademiche, con l'aggiunta di inviti, tessere e biglietti d'ingresso ai teatri, rapportabili tutti a spettacoli d'ogni genere, compresi quelli che oggi definiremmo 'sportivi', dati a Bologna e nel suo circondario in un lasso di tempo che va dagli ultimi anni del XVIII alla prima metà del XIX secolo, suddivisi in base ai luoghi di rappresentazione (teatri, arene, sale pubbliche e private, ecc.) ed ordinati cronologicamente.
Il fondo comprende inoltre un consistente numero dei così detti 'omaggi poetici' (sonetti, odi, epigrafi, ecc.) stampati su fogli volanti e anch'essi disposti in ordine cronologico, composti da ammiratori e diretti ad artisti che si distinsero in quei medesimi spettacoli o, quanto meno, vi presero parte e contribuirono alla loro buona riuscita.
Ciò non esclude che si trovino qua e là fortunosamente inseriti anche dei documenti antecedenti, sia a stampa sia manoscritti, riguardanti in particolare la travagliata vicenda progettuale e costruttiva del così detto teatro 'Nuovo' (odierno teatro Comunale), lo smantellamento del venerando teatro della Sala ricavato all'interno del palazzo del Podestà, l'attività dei teatri Formagliari (poi Zagnoni), Marsigli, Felicini e le recite tenute in qualche aristocratico teatrino privato. Si tratta in questi casi per lo più di frammenti che pure hanno un valore evocativo in quanto testimonianze della costante presenza in città di teatri prestigiosi e frequentati e della tradizionale propensione bolognese per gli spettacoli.
Il nucleo più compatto e consistente del fondo resta, comunque, quello formato dagli 'avvisi teatrali' veri e propri, intestati cioè ai singoli teatri e luoghi teatrali in funzione a Bologna nel primo Ottocento. Si tratta degli avvisi utilizzati abitualmente dagli impresari per presentare ora il programma complessivo delle loro stagioni, ora le singole opere in fase di allestimento, dai capocomici per far conoscere i componenti delle loro compagnie e i capisaldi del repertorio, dai singoli attori per annunciare le serate a proprio beneficio, dalle direzioni stesse dei teatri, infine, per comunicare tempestivamente ogni variazione di programma: sostituzioni, repliche non previste, sospensioni forzate, e ancora estrazioni di tombole, organizzazione di veglioni, ecc.
Molteplici sono poi gli 'avvisi interessanti', 'particolari',
'eccezionali' (e sono anche i più godibili
alla lettura), che venivano distribuiti in gran copia
e non di rado contestualmente riprodotti sulle pagine
della stampa periodica.
Redatti in modo da catturare la generale attenzione,
avevano lo scopo di reclamizzare le esibizioni di artisti
di passaggio (cavallerizzi, ventriloqui, prestigiatori,
virtuosi di qualche strumento, poeti estemporanei e
quant'altro).
E sempre tramite avvisi vengono annunciate di volta
in volta le partite più avvincenti di gioco del
pallone, le corse dei fantini, le ascensioni di mongolfiere,
si decantano le stupefacenti applicazioni dell'ottica
e della meccanica, si elencano le specie di animali
esotici, possibilmente "feroci", esposti nei
serragli provvisoriamente allestiti in città.
Ad un pubblico più circoscritto, composto di abbonati, associati e melomani, si rivolgono per lo più le 'lettere circolari', recapitate a mano, allo scopo di informare i fedeli e abituali utenti sulla scelta di qualificate produzioni drammatiche che i dilettanti di turno si apprestano a recitare o sui brani musicali da eseguirsi durante le periodiche accademie vocali e strumentali e i saggi degli allievi del Liceo filarmonico.
Il valore documentario di tutta questa gran mole di materiali è indubbio, e non solo dal punto di vista specificamente teatrale, dal momento che, coerenti con la loro funzione informativa, gli 'avvisi' sono sempre concepiti in modo da fornire ai destinatari, ovvero al "Rispettabile Pubblico", il maggior numero di notizie utili: sulla natura degli spettacoli proposti come sugli artisti e le maestranze impegnati nella realizzazione, unite ad una serie di ragguagli pratici su luoghi, tempi, orari, prezzi dei biglietti e modalità per acquistarli.
È sufficiente poi uno spoglio anche sommario per notare quanto l'offerta spettacolare si faccia nel corso degli anni sempre più ricca e diversificata, resa accessibile, entro certi limiti, a fasce sociali sempre più ampie, e in grado di soddisfare tutte le esigenze, culturali, mondane o di puro intrattenimento, come indirettamente sembrano confermare i tanti 'omaggi poetici' che fanno parte della raccolta. In proposito va tenuto presente tuttavia che tale multiforme offerta non costituisce di per sé una prerogativa bolognese, ma è piuttosto caratteristica di un periodo storico in cui prende avvio su larga scala quella che viene definita l'industria del teatro, e lo spettacolo si appresta a diventare un rilevante settore della vita sociale, politica ed economica.
Costituisce infine motivo di indubbio interesse e di
curiosità il constatare la crescita numerica
degli spazi teatrali di varia capienza, stabili o provvisori,
pubblici o privati, alcuni dei quali di nuova concezione,
altri a destinazione 'popolare', messi a disposizione
di un pubblico che si prevede ottimisticamente sempre
più numeroso, e che risultano meglio distribuiti,
rispetto al passato, su tutto il tessuto urbano.
Proprio delle vicende dei teatri bolognesi del primo
Ottocento, la gran parte dei quali è scomparsa
senza quasi lasciare traccia, si tratterà delle
pagine che seguiranno e che hanno lo scopo di ricostruire
un plausibile contesto entro cui inserire, come tante
tessere di un mosaico, i materiali conservati nel fondo.
A questo fine, si è ritenuto indispensabile partire
dalla fugace esperienza giacobina che ha creato i presupposti
per una fruizione democratica del teatro e per il rinnovamento
dei repertori. In seguito si è cercato di illustrare
per sommi capi i ripetuti tentativi, da parte delle
autorità, di limitare l'eccessiva intraprendenza
dei nuovi proprietari di teatri e di tenere sotto controllo
i comportamenti del pubblico.
2. Dall'antico al nuovo regime
1. Viene convenzionalmente chiamato 'giacobino' il triennio che va dal giugno 1796 al giugno 1799, che coincide con la prima occupazione francese di gran parte dell'Italia settentrionale e col travagliato tentativo di sostituire l'ordine politico consolidato con un nuovo modello di stampo democratico e repubblicano. Di conseguenza viene detto 'teatro giacobino' tutto quanto si teorizzò intorno al teatro e si produsse per il teatro in questo medesimo tempo anche se in realtà in ambito teatrale i confini tra vecchio e nuovo appaiono piuttosto sfumati e alle affermazioni di principio, ai progetti di riforma elaborati, alle molteplici disposizioni emanate, non sempre per fortuna corrispose una applicazione pratica. Va detto invece che l'attività quasi frenetica impressa ai teatri, il fervore delle iniziative spontanee, la volontà di coinvolgere un pubblico sempre più numeroso, furono fattori positivi e conquiste durature che lasciarono un'impronta nelle società e nelle generazioni future.
Durante questo periodo, dunque, i governi provvisori insediati nei territori 'liberati' dalle armate d'oltralpe, spinti dalla necessità di catechizzare in tempi brevi le masse per motivarne l'adesione all'ideologia rivoluzionaria, si valsero di ogni mezzo e di ogni occasione per fare propaganda: della stampa 'democratica' e dei comizi, delle feste di piazza e degli spettacoli teatrali. Perché il teatro risultasse davvero un mezzo di propaganda efficace sarebbe stato necessario però rinnovare i repertori, coinvolgere impresari e capocomici, rendere gratuito l'accesso ai teatri, ecc. In altri termini, occorreva avviare una riforma radicale i cui effetti non potevano essere immediati.
Fin dal luglio del '96, tuttavia, sul periodico "Il
Termometro politico della Lombardia" era comparso
un lungo articolo di Francesco Saverio Salfi dal titolo
Norme per un Teatro Nazionale, nel quale si illustrava,
attraverso gli immediati precedenti rivoluzionari francesi,
lo stretto legame intercorrente fra teatro e politica,
e si auspicava la costituzione di un 'teatro nazionale',
cioè a servizio della comunità, formato
da dilettanti ed aspiranti drammaturghi di vedute democratiche
e destinato a diventare un insostituibile strumento
di educazione popolare.
La proposta, così formulata, invitava in un certo
senso le formazioni dilettantesche, che fino ad allora
avevano operato in subordine mendicando spazi e protezioni,
ad assumere finalmente un compito primario. Essa suscitò
vivo interesse, fu oggetto di dibattiti, venne rielaborata
ed adattata alle diverse realtà locali per cui,
in luogo di un 'teatro nazionale', si ebbero vari 'teatri
civici', a Milano e Bologna sul finire del 1796,
a Venezia nella primavera del '97, quindi a Modena,
Reggio, ecc.
A Bologna furono sufficienti pochi mesi per costituire una Società dei Patrioti, assicurarsi la piena disponibilità di un teatro ed elaborare delle linee programmatiche che vennero comunicate tramite la stampa periodica. In sintesi, l'attività di questa Società dei Patrioti non aveva come obiettivo solo la 'moralizzazione dei costumi' e la 'pubblica istruzione' ma anche la beneficenza nei confronti degli indigenti ai quali era destinato il ricavato delle recite.(1)
L'appello rivolto alla componente femminile, finora assai scarsa nelle formazioni dilettantesche, era quanto mai opportuno. Detto questo, va subito chiarito che non vi fu nulla di rivoluzionario nell'iniziativa (se si esclude la lettura di 'catechismi' o il canto di 'inni' inseriti tra gli atti delle recite), sia per quanto attiene alla fruizione, troppo elitaria e circoscritta, sia per quanto riguarda la scelta del repertorio, sia per le finalità benefiche stesse.
Ad offrire sede adeguata allo scopo fu Angelo Marsigli attratto, come altri esponenti dell'ex aristocrazia, dal nuovo corso degli eventi e proprietario dell'omonimo teatro che venne ribattezzato per l'occasione Teatro Civico. Fu questa una circostanza unica e fortunata perché altrove le società patriottiche che si dedicarono al teatro dovettero accontentarsi di sistemazioni precarie. Il Teatro Civico di Bologna inoltre dispose di finanziamenti sufficienti e trovò un influente protettore in Carlo Caprara che ne assunse la presidenza.(2)
L'esperienza durò in tutto due anni, passando
dal consenso dell'esordio ad un progressivo calo delle
presenze tanto tra gli spettatori che tra i recitanti,
ma il suo fallimento fu più formale che reale
poiché molti dei componenti la Società
Patriottica continuarono a calcare le scene, dando luogo
a formazioni sempre nuove.
Gli spettacoli presero avvio il 20 gennaio 1797 con
la riapertura del teatro "dipinto di nuovo ed abbellito
a spese del generoso cittadino proprietario".(3)
Il primo corso di recite vide passare sulle scene tre
tragedie alfieriane (Saul, Bruto primo e Sofonisba),
due farse di Francesco Albergati (Il capriccioso
e Il gazzettiere), quindi L'erede fortunato
di Goldoni, Tartufo di Molière, Maometto e Zaira
di Voltaire e un intermezzo in musica intitolato La
cifra. Tra gli ospiti illustri vi fu Napoleone per
il quale la sera del 31 gennaio, dopo la recita, si
diede una festa.
(4) Il bilancio complessivo della prima
stagione fu in attivo e con orgoglio la Società
fece sapere che con gli introiti erano state soccorse
ottanta famiglie indigenti.
L'attività riprese nel tardo autunno con una
messa in scena dell'Antigone di Alfieri, più
volte replicata, per la quale "Il Monitore Bolognese"
non lesinò elogi ai recitanti, alle scene (del
cittadino Palagi), ai costumi ("un vestiario preciso
ed adattato alla storia"). Dal 3 dicembre fu la
volta della Marianna di Voltaire, abbinata ora con una
Cantata patriottica, ora con la farsa La notte di Albergati.
Malgrado il tentativo di variare il più possibile
il genere degli spettacoli l'affluenza del pubblico
si era ridotta.
constatava a fine anno "Il Monitore Bolognese".
Pur essendo l'attenzione del pubblico ormai rivolta
a ciò che avveniva negli altri teatri, la Società
Patriottica durante il carnevale del '98 proseguì
nell'impegno proponendo una non eccelsa Virginia
e un dramma giocoso di Paisiello, Il marito geloso
(per il quale venne stampato, cosa eccezionale, il libretto),
unito al ballo Il tutore deluso, ben eseguito
a quanto risulta.
Ma già si profilavano gli inconvenienti insiti
nel dilettantismo: mancanza di tempo per provare, frequenti
assenze e sostituzioni. Così dalla benevolenza
finora dimostrata dai redattori de "Il Monitore
Bolognese", si passò alle critiche d'altri
periodici meno moderati, pronti a raccogliere pettegolezzi
e a segnalare diverbi.
Si giunse infine alla totale indifferenza nei confronti
di ciò che restava della Società dei Patrioti,
finché l'arrivo degli Austro-Russi non la sciolse
forzatamente.
2. Il Salfi concludeva il già citato articolo con queste parole:
L'opera in musica, corredata dall'immancabile ballo, costosa, superflua se non piuttosto dannosa, fu uno dei bersagli preferiti dalla retorica giacobina. Alle critiche superficiali nei suoi confronti si aggiunsero le accuse, non nuove, rivolte agli impresari 'rapaci', alle primedonne di facili costumi, alla intollerabile pratica dei castrati. Roccaforte del privilegio, dunque, condannata dalla 'ragione' per il suo mero edonismo, essa avrebbe dovuto presto o tardi scomparire dalle scene. Ma non avvenne nulla di quanto verbalmente minacciato e l'opera in musica continuò a dominare incontrastata nelle città 'liberate', limitata semmai non dalla disaffezione del pubblico ma dalle disastrate finanze delle varie Municipalità, come accadde a Bologna.
Fin dagli inizi, come si sa, prerogativa del teatro Comunale fu l'opera seria con ballo, quanto di meglio cioè si potesse concepire in campo spettacolare. Non sempre però l'erario municipale era stato in grado di sostenere l'onere di siffatti allestimenti e il maggior teatro cittadino rimase spesso inattivo. Il 1796 tuttavia si preannunciava come un'annata favorevole poiché il cartellone prometteva due opere nuove per Bologna, un valido cast vocale in cui spiccavano i nomi di Elisabetta Billington e Domenico Mombelli, e le coreografie di Salvatore Viganò.
La Merope, musicata dal Nasolini, venne
rappresentata per prima ma quando fu la volta dell'Ines
de Castro, un pasticcio musicale adattato ai
mezzi vocali ed espressivi della primadonna, le armate
francesi avevano già occupato la città
e ciò costrinse l'impresario ad eliminare dal
libretto a stampa la consueta dedica al Legato per sostituirla
con quella, più opportuna, alle "Illustri
Cittadine". (5)
Sappiamo comunque che la Billington dovette piacere
assai perché le venne rinnovata la scrittura
per le opere della primavera seguente (La morte di
Cleopatra e Alzira) anch'esse attese ed applaudite,
il cui costo però prosciugò le risorse
della Municipalità che nei due anni successivi
preferì concedere il suo teatro ad alcune compagnie
'democratiche' particolarmente benemerite.(6)
Il teatro Pubblico per antonomasia, o teatro Nuovo come ancora si diceva, mantenne invece inalterato il ruolo di locale di rappresentanza dove accogliere ospiti illustri di passaggio (dal commissario Saliceti nel settembre del 1796 al generale Brune nel dicembre '98), celebrare i fasti di regime (con l'esecuzione di Cantate per musica e l'allestimento di impianti scenografici), ostentare democratiche concessioni con veglioni e spettacoli gratuiti.(7)
Non risulta invece che le critiche mosse all'opera
seria si estendessero ai drammi giocosi o buffi che
dir si voglia, dalla vena popolaresca e sentimentale,
meno impegnativi e costosi di quella ma altrettanto
graditi al pubblico. Negli ultimi vent'anni se n'erano
rappresentati molti, al teatro Marsigli come al teatro
Zagnoni, tuttavia, una volta trasformato il primo
in Teatro Civico, essi divennero una prerogativa del
secondo che in effetti tra il '96 e il '98 ne mise in
scena un buon numero, anche se non sempre alla quantità
corrispose la qualità. Poi le recite delle compagnie
comiche (Battaglia, Rossi, Paganini-Pianca) presero
il sopravvento e il pubblico mostrò di apprezzare
la scelta, partecipò con entusiasmo crescente,
finendo per manifestare troppo apertamente consensi
e dissensi ("Era la moda di certi grossi bastoni
nodosi coi quali, battendoli nella platea, si accresceva
il rumore", annotava il cronista).
Per riabilitare le sorti del teatro Zagnoni, un poco
compromesse da polemiche ultimamente insorte, si pensò
di proporre un'opera seria fuori programma approfittando
della disponibilità del grande tenore bolognese
Matteo Babini che aveva fama di sincero democratico.
L'impresario tuttavia, paventando possibili critiche,
nella presentazione del libretto metteva le mani avanti:
La morte di Mitridate andò in scena il 10 marzo 1798 e le repliche si protrassero per diciotto sere. Ebbe la piena approvazione del redattore de "Il Democratico Imparziale", ma fu economicamente un mezzo fallimento perché troppi palchi non vennero pagati. Ripresero quindi i drammi giocosi a primavera inoltrata, in autunno e per tutto il carnevale '99. Proseguirono anche durante l'estate quando ormai l'avvicendamento politico era avvenuto.(9)
Proprio allo scopo di soddisfare la pressante richiesta
di drammi buffi venne aperto allora al pubblico pagante
il piccolo teatro Taruffi "in cui gareggiano
il buon gusto e la magnificenza". L'aveva fatto
costruire l'abate Cesare Taruffi, utilizzando il salone
posto al primo piano dell'ex palazzo Lambertini da lui
recentemente acquisito, e mettendo a disposizione anche
quattro stanze contigue. Era destinato alle recite dei
dilettanti ma i lavori in esso effettuati riuscirono
tanto bene che il proprietario pensò di trarne
un qualche guadagno dandolo in affitto agli impresari
d'opera.
Fu inaugurato nel carnevale del 1799 con la messa in
scena del dramma giocoso Il furbo contro il furbo,
musicato da Valentino Fioravanti. Avrebbe dovuto cantarvi
Anna Guidarini, madre di Gioacchino Rossini, ma una
indisposizione la costrinse a rinunciare. A parte questo
aneddoto, risulta che lo spettacolo ebbe successo e
che per l'autunno era già pronto un altro spartito
e rinnovato il contratto ai cantanti. Però la
situazione politica nell'arco di pochi mesi era cambiata,
come dimostra l'ossequiosa dedica ("All'Imperiale
Cesarea Reggenza") del libretto del dramma giocoso
Li raggiri scoperti, di cui si ignora la sorte,
così come non si conosce il motivo per cui gli
Austriaci fecero chiudere il teatrino.
L'attività riprese al ritorno dei Francesi con
l'allestimento di due drammi giocosi, Il maestro
di musica di Paisiello e la Pamela nubile
del Pavesi, replicati per 30 sere nell'autunno del 1800.
La formula adottata dal teatro Taruffi, consistente
in discreti cast vocali, decorosi balli, scene nuove,
bei costumi, il tutto a prezzi modici, era indubbiamente
valida ma ben presto gli impresari, giudicando il piccolo
locale poco remunerativo, lo disertarono. Esso tornò
a disposizione dei dilettanti ai quali in origine era
destinato, poi chiuse i battenti, se per volontà
del proprietario o per cause di forza maggiore non è
dato sapere. Gli arredi vennero smontati e la sala nuovamente
libera per qualche tempo fu utilizzata per tenervi feste
da ballo.(10)
3. Nel luglio del 1797 a Milano venne proclamata la Repubblica Cisalpina che, durante la sua travagliata organizzazione a più riprese si impose l'obiettivo di dare un ordinamento unitario ai Teatri Nazionali che ne fissasse responsabilità e contenuti, modalità di funzionamento e finanziamento, oltre che di reclutamento degli artisti.(11)
Tutti i teatri che si trovavano sul territorio della Cisalpina (e il loro numero, tra grandi e piccoli, era enorme), per il solo fatto di essere pubblici, erano destinati a diventare 'nazionali', indipendentemente dalla effettiva proprietà che, tuttavia, in qualche modo avrebbe dovuto essere risarcita. A parte questo non lieve ostacolo che venne superato con la ragionevolezza,(12) era ben chiaro che ai teatri, per proseguire la consueta attività, non bastava certo la buona volontà di pochi dilettanti disposti ad esibirsi gratis. Venne pertanto bandito dal Ministero dell'Interno un concorso per un Progetto di organizzazione dei Teatri Nazionali (29 ottobre 1797), che si svolse in tornate successive e fruttò solo elaborati fumosi, incapaci di cogliere (e risolvere) i veri problemi. Fu steso infine il Rapporto della Commissione sui Teatri (1 luglio 1798) che, pur accogliendo tutta una serie di rigide prescrizioni formali, tentava una mediazione tra utopia e moderazione, ovvero tra le diverse posizioni emerse fino ad allora nei dibattiti. Avrebbe dovuto servire da modello per le future iniziative se i Francesi non fossero stati costretti ad indietreggiare di fronte all'avanzata austriaca.
Nel frattempo fu il teatro recitato, quello cioè proposto a pagamento dalle compagnie comiche, da sempre il più seguito e popolare, ad essere investito di nuovi compiti e sommerso da una ondata di norme contraddittorie. Con una serie di disposizioni furono infatti vietate le commedie con maschere e la pronuncia di titoli nobiliari, subito sostituiti dall'appellativo di 'cittadino'. Fu prescritto il canto di inni patriottici nel bel mezzo delle recite, l'uso della coccarda tricolore e la censura prese sistematicamente a vagliare i copioni. Ciò pose in difficoltà le compagnie comiche, almeno quante aspiravano ad ottenere in esclusiva il circuito cisalpino, poiché i consolidati repertori dovettero essere modificati nel giro di pochi mesi.
Per prima cosa vennero riciclati i drammi sentimentali ed altri se ne aggiunsero di analogo tenore, nei quali però il conflitto di classe risultasse marcato. Si presero in forza le tragedie libertarie del Monti e dell'Alfieri, quindi furono tradotti i drammi rivoluzionari francesi (Carlo IX e il Fénelon o le monache di Cambrai di Marie-Joseph Chénier, Le vittime del chiostro del Boutet), accompagnati da una congerie di farse. I comici, per parte loro, ci misero le 'azioni spettacolose', sorta di rievocazioni pseudostoriche in costume, di grande presa sul pubblico, e furono queste, per inciso, a varcare trionfalmente il secolo.
Trascorso un periodo di assestamento, i teatri della Cisalpina furono comunque in grado di disporre di un manipolo di testi 'democratici e patriottici' che i comici furono ben lieti di mettere in scena per ingraziarsi pubblico e autorità.
annunciava "Il Monitore Bolognese". In effetti, la compagnia Battaglia, che in primavera agiva al teatro Zagnoni, aveva cercato di mettere assieme un repertorio 'democratico' e la sera del 16 giugno 1797 rappresentò una commedia intitolata La Rivoluzione, che fu replicata per otto sere "con infinito concorso di popolo".(13)
Per non essere da meno, la compagnia Pellandi ai primi di settembre mise in scena al teatro Pubblico sempre con "concorso straordinario di popolo" due produzioni 'repubblicane' nuove per Bologna: I doni patriottici, commedia tradotta dal francese, e la farsa Il matrimonio democratico ossia il flagello de' feudatari del Sografi.
Tra novembre e dicembre al teatro Zagnoni la compagnia
Rossi, dopo aver esordito con il Saul, che era
pur sempre "fra le più sublimi italiche
Produzioni", fu costretta a ripescare dal vecchio
repertorio, in barba al divieto di porre in scena commedie
con maschere, una Matilde Regina di Granata con Arlecchino
suo buffone, "azione serio-faceta" che
si annunciava "decorata da alcune trasformazioni
l'ultima delle quali, cangiando di repente tutto l'aspetto
della scena, cagionerà agli spettatori grata
sorpresa e gli appresenterà un bellissimo colpo
d'occhio".
Per avvicinarsi ancor più al gusto popolare,
la compagnia aveva accettato di recitare l'anonimo dramma
Il ladro del Monte, ma le tre repliche a grande
richiesta di questa commedia che narrava di un fattaccio
di cronaca che aveva appassionato l'opinione pubblica
meno di un decennio prima e che era ancora in grado
di dividere gli animi tra fautori dell'ordine e partigiani
dell'abile falsario, diede avvio ad una accesa polemica
giornalistica.(14)
Tuttavia fu durante il carnevale del 1798 che il teatro
Zagnoni e quello Pubblico si posero in aperta concorrenza
e si trovarono, per eccesso di zelo 'democratico', a
dover fare i conti con la censura e il malumore popolare.
Mentre Giacomo Modena ai primi di gennaio interpretava
egregiamente l'Aristodemo di Vincenzo Monti al
teatro Pubblico, al teatro Zagnoni la compagnia Paganini-Pianca
"in mille modi benemerita" annunciava la messa
in scena niente meno che di Fénelon, Carlo
IX, Le vittime del chiostro, appena tradotti dal
francese, e della recentissima tragedia Orso Ipato
di Giovanni Pindemonte.
Le recite, ampiamente reclamizzate, ottennero un successo
travolgente, tanto che al teatro Pubblico si corse ai
ripari rappresentando (forse) Il Conclave, dramma
satirico dell'abate Sertor che era già costato
al suo autore la prigionia nelle carceri pontificie
(15)
e promettendo in seguito di dare una commedia nuova
appena scritta da un noto concittadino, Luigi Giorgi,
per la quale c'era viva attesa, ma prima d'andare in
scena il testo fu sottoposto al vaglio della censura
che lo restituì malconcio per i tagli.
Nella sua commedia in effetti il Giorgi riproduceva
con crudo realismo un episodio di corruzione che copriva
d'infamia i principali esponenti dell'ancien régime
bolognese: l'Auditore del Torrone Federico Pistrucci,
il Legato Vincenti, l'arcivescovo Gioannnetti (non colpevole
ma connivente). L'allusione ai trascorsi reazionari
di quest'ultimo dovette apparire inopportuna alla censura
locale che, dietro pressione della famiglia Gioannetti,
negò l'approvazione. L'autore però non
solo si rifiutò di apportare le correzioni richieste
ma fece stampare il testo integrale e lo spedì
a Milano al Ministero della Polizia Generale, unito
alle rimostranze per ciò che era accaduto. Ottenne
piena soddisfazione e tuttavia la sua commedia non venne
mai rappresentata.(16)
Nel frattempo la compagnia Paganini-Pianca al teatro Zagnoni continuava, secondo i redattori dei giornali, a mietere consensi e a replicare senza sosta il Fénelon, dimenticando che a teatro il gradimento del pubblico vale più delle lodi dei critici di regime. E il pubblico ne aveva abbastanza del 'patriottismo' e degli opportunismi dei capocomici, come denunciava "Il Quotidiano Bolognese" ("Teatro Zagnoni. Non sono stati sufficienti i disordini teatrali. Or giungesi a soffrire che i comici, lusingati di alta protezione, si facciano giuoco dell'opinione pubblica"). In sintesi era accaduto che, all'annuncio dell'ennesima replica del Fénelon, gli spettatori si erano opposti ma il capocomico aveva loro obiettato che non aveva niente altro di pronto e che avrebbero dovuto accontentarsi.(17)
Episodi di dissenso da parte del pubblico si registrano, in questo vociante periodo, anche nei teatrini del contado dove imperversavano sedicenti 'compagnie patriottiche'. A Medicina, ad esempio, una di queste compagnie pare recitasse solo 'tragedie' poco gradite al pubblico che cominciò a fischiare. Per farlo smettere gli attori avevano promesso di mettere in scena prossimamente il Baldassarre, spettacolone d'argomento biblico di sicuro successo. Le autorità, dapprima interdette per la scelta, negarono il permesso ed ordinarono di proseguire col repertorio concordato, poi dovettero fare marcia indietro di fronte al pericolo di una sollevazione popolare.(18)
Con la recita, poco apprezzata, della Virginia bresciana
del Salfi data dalla compagnia Goldoni-Andolfati nella
primavera del '99, l'esperienza del teatro giacobino
a Bologna poteva dirsi conclusa.
Il 30 giugno il generale austriaco Klenau entrava in
città e in serata si fece festa al teatro Marsigli
(che aveva abbandonato il nome di Teatro Civico), la
sera seguente al teatro Zagnoni (che riprese l'appellativo
di 'nobile'), in quella successiva al teatro Pubblico.
Ma l'avvicendamento politico non favorì l'attività
teatrale: nell'arco di un anno le aperture del teatro
Pubblico si contano sulle dita di una mano,(19)
né il teatro Zagnoni né il Marsigli riuscirono
a fare di meglio. La precaria situazione inoltre non
consentì di stipulare contratti per l'immediato
futuro.
4. Per festeggiare il ritorno dei Francesi al teatro Pubblico, ribattezzato Nazionale, in tutta fretta si misero in scena Gli Orazi e i Curiazi, l'ormai celebre tragedia per musica di Cimarosa su libretto del Sografi, ma fu un evento eccezionale cui fecero seguito prolungate chiusure che si protrassero fino al settembre del 1802.(20)
Il teatro Zagnoni, dopo aver dato non meglio precisati
drammi buffi durante l'estate, riaprì il 15 gennaio
1801 con un corso di 40 recite della compagnia Bazzi,
che contava nei propri ranghi ottimi attori (Belloni,
Morrocchesi, ecc.) e che riscosse notevoli consensi.
In tempo di Quaresima venne messa in scena una novità
assoluta, il 'dramma tragico' intitolato La morte
di Saulle "posto in musica espressamente dal
maestro Gaetano Andreozzi", con validi cantanti
(Domenico Mombelli e Anna Andreozzi) e masse di coristi.
Durante il carnevale del 1802 le autorità, per
favorire l'impresario del teatro Zagnoni forse in difficoltà,
gli concessero parte dei veglioni con rinfresco che
spettavano di norma al teatro Pubblico, vietando però
tassativamente "l'uso del fuoco per le cene".
Fu quasi un segno premonitore che, unito alla mancanza
di notizie sulla successiva attività del teatro
fino al fatale 5 settembre, rende più inquietante
Circa le sei pomeridiane
della scorsa domenica, senza che prima fosse neppur
premonito dal fumo, si manifestò all'istante
un terribile incendio di questo teatro Zagnoni,
situato in alto, e costrutto da quasi due secoli, ornato
in legno, benché più volte riattato e
da pochi anni ancora rimbiancato e abbellito. Le fiamme,
pel pascolo di tanti legnami e dell'olio che attualmente
esisteva per le comiche rappresentazioni, si elevarono
ad una prodigiosa altezza.
Del fatto, oltre alla versione fornita dalla "Gazzetta di Bologna", ne esiste un'altra, stesa da Giuseppe Guidicini per il suo Diario giornaliero, ricca di particolari sia sull'inopportuno intervento della guarnigione francese, sia sul coraggio dimostrato dalla Guardia Nazionale in quel frangente.(21)
Dopo che il fuoco fu spento e venne fatto un bilancio
dei gravi danni arrecati, sorse il sospetto che l'incendio
fosse stato doloso, come si vedrà. Nel frattempo,
per evitare lo spiacevole inconveniente di veder fallire
un impresario e di annullare una serie di scritture,
si decise di dirottare al teatro Pubblico gli spettacoli
che avrebbero dovuto tenersi al teatro Zagnoni, a cominciare
da due drammi giocosi (Il nuovo podestà
musicato da Francesco Gnecco e Inganno per amore
del Guglielmi). Ciò provocò lo slittamento
a novembre della tragedia per musica da tempo programmata,
l'Antigona di Francesco Bianchi, per interpretare
la quale era stata chiamata la grande Brigida Giorgi
Banti.(22)
E sempre all'insegna di celebri primedonne (Giuseppina
Grassini, Teresa Bertinotti), di fastosi allestimenti,
di grandiosi balli eroici, proseguì la programmazione
del 1803, iniziata a primavera con La vergine del
sole e La vendetta di Nino, e conclusa ad
autunno con La selvaggia del Messico.(23)
Ma per tornare all'avvio del nuovo secolo, va detto
che anche il teatro Marsigli riprese la consueta attività
nel gennaio 1801, anzi, in attesa che fosse pronto l'allestimento
dell'opera in musica, la sera del 15 gennaio qui si
esibì Niccolò Paganini. Aveva diciannove
anni ed era già un "cognito Professore di
Violino", come informava un Avviso che costituisce
l'unica testimonianza di questa tappa, ignorata per
lo più dai biografi, di una delle sue prime trionfali
tournées. Suonò in due concerti, l'uno
del Rode e l'altro di Kreutzer, quindi attaccò
una "Carmagnola a violino principale con molte
variazioni a capriccio", il tutto preceduto dalla
consueta sinfonia e da due brani cantati. Il costo dei
biglietti fu di 12 baiocchi ma coloro che già
avevano l'abbonamento ai palchi entrarono gratis. Sappiamo
infine che parte del ricavato della serata venne devoluto
in beneficenza. (24)
Subito appresso andò in scena la Griselda
o sia la virtù in cimento, melodramma di
Ferdinando Paer, interpretato dalla collaudata coppia
Anna Nava - Vincenzo Aliprandi, unito al ballo Piramo
e Tisbe e durante il carnevale seguente si diedero
dei drammi giocosi, (25)
prima di chiudere per lavori di manutenzione, che sarebbero
durati ben più a lungo se la perdita del teatro
Zagnoni non avesse reso necessario accelerare i tempi.
Il Marsigli riaprì il 13 dicembre con opera
e ballo, proseguì con le recite della compagnia
Consoli-Zuccato e ospitò infine quanti erano
rimasti del nutrito drappello di dilettanti della Società
Patriottica. Essi avevano assunto il nome di "Società
di Dilettanti di Comica al teatro Marsigli" e ripresero
a recitare drammi sentimentali e a declamare tragedie
(Il disertore, Natalia, Misantropia e pentimento,
La congiura de' Pazzi, unita alla farsa Il capriccioso
di Albergati), mantenendo intatto il loro fine benefico.
Nell'autunno del 1803 erano al teatro Taruffi, tra novembre
e dicembre ancora al Marsigli, nella successiva primavera
a Budrio.(26)
Li guidava e incoraggiava l'anziano Francesco Albergati
che anzi aveva promesso di recitare al loro fianco nella
farsa da lui scritta, ricoprendo il ruolo di Flaminio,
zio del protagonista. La sera del 18 novembre la programmata
tragedia alfieriana andò in scena ma non la farsa
"attesa la malattia dell'Autore medesimo",
mentre per la replica si dovette ricorrere ad un sostituto
"non essendosi perfettamente ristabilito in salute"
l'Albergati. Moriva quest'ultimo il 16 marzo 1804 e
il corteo funebre che da via Saragozza accompagnò
la salma alla Certosa venne aperto proprio dai Dilettanti
della Comica (27) che nei mesi seguenti
assunsero il nome di Filergiti.
Il cambio di denominazione di una società legalmente
costituita, allora come ora, richiedeva l'espletamento
d'alcune formalità: la richiesta al delegato
Una Società conosciuta
finora sotto il nome di Dilettanti di comica al teatro
Marsigli, vedendo che non gli conveniva un titolo desunto
da un locale destinato ad altri pubblici oggetti di
tal sorta, e volendosi dare un ordine e un sistema disciplinare
ed amministrativo, amerebbe assumere il nome di Filergiti
- Amatori dell'Utile Travaglio.
Alla richiesta, formulata in questi termini, il Prefetto nel giugno del 1804 diede l'assenso, osservando tuttavia che il nome di Filergiti gli pareva più adatto "ad operai che a dilettanti di teatro".(28)
Ma le formazioni di dilettanti in genere fin
dai primi anni del secolo dilagarono, come un fiume
in piena, sulle scene dell'ospitale Marsigli, del glorioso
Felicini, del modesto Legnani, si inventarono spazi
alternativi o si accontentarono di teatrini domestici,
compiendo frequenti sortite nel contado.
A dire il vero il teatro Felicini di via Barbaziana
(odierna via Cesare Battisti), appena sfiorato dalla
ventata giacobina, non aveva mai smesso di dare spettacoli
e l'Accademia che in esso aveva sede, continuò
anche in seguito a sfornare nuove leve di attori e a
proporre i loro saggi di recitazione.(29)
Per quanto riguarda il così detto teatro Legnani,
aperto al pubblico intorno al 1760 per tenervi spettacoli
di marionette durante il carnevale, aveva un palcoscenico
di dimensioni ridotte ma era pur sempre un teatro, e
una Società di Dilettanti, prima di una lunga
serie, nel 1803 lo prese in affitto.
Un altro teatrino, da tempo dismesso, si trovava all'interno
dell'edificio che aveva ospitato l'ex Collegio dei Nobili
intitolato a S. Francesco Saverio in via Cartoleria
Vecchia, ora di proprietà demaniale e contiguo
ad una caserma. Malgrado ciò dei dilettanti vi
si insediarono continuativamente dal 1802 al 1808.
Una volta esauriti gli spazi teatrali per così
dire convenzionali, se ne crearono altri, provvisori,
come quello voluto dall'avvocato Raffaele Giacomelli
nella casa Covelli di via Malcontenti, attivo tra il
1805 e il 1808, o l'altro sistemato nell'ex Ospizio
dei Preti di via Nosadella.(30) Ma
la rassegna potrebbe continuare se volessimo prendere
in considerazione tutte le richieste fatte da privati
cittadini, volte ad attivare temporaneamente dei teatrini
domestici, e oggi conservate presso l'Archivio di Stato
di Bologna.(31)
Radunati infine i migliori recitanti, provenienti da
varie formazioni, nel 1808 si costituì l'accademia
dei Filodrammaturgi diretta da Carlo Bruera, con
sede stabile nel teatro della Concezione, ricavato all'interno
della chiesa un tempo appartenuta alle monache agostiniane
di S. Maria della Concezione in via Saragozza.(32)
5. Per passare dalla progettazione alla realizzazione del teatro Comunale c'erano voluti sette anni scanditi da polemiche e difficoltà d'ogni genere; a far sorgere quello che prese il nome di teatro del Corso furono sufficienti meno di tre anni filati lisci tra la generale soddisfazione.
Sappiamo che il 30 gennaio 1802 il cittadino Giuseppe
Badini acquistava dall'ex conte Camillo Rossi Turrini
due immobili contigui in via S. Stefano, non per destinarli
ad uso abitativo, come sarebbe stato ovvio, ma per costruire
sulla vasta area corrispondente nientemeno che un teatro.
Entro pochi mesi egli aveva già pronti sia un
bel progetto con relativo preventivo di spesa, sia un
ingegnoso piano di finanziamento. Il 10 agosto chiedeva
alla Municipalità il permesso di edificare un
teatro utile alla comunità, di decoro per la
città e senza alcun aggravio per la finanza pubblica,
Bologna, la colta Bologna,
che pure a ragione vanta di essere fornita di tutti
i mezzi e di tutti gli stabilimenti necessari alla perfezione
e alla coltura dei pubblici costumi, manca però
di un teatro di media grandezza, ed esistente in uno
dei più comodi e migliori punti della Città,
il quale possa dar luogo alla frequenza di quei dignitosi
spettacoli che la vastità del Nazionale Teatro
non permette se non dietro quelle vistosissime spese,
che non ponno con tanta facilità incontrarsi,
e che d'altronde la piccolezza degli altri particolari
Teatri ha ognora impossibilitato. È lungo tempo
pertanto che il Voto pubblico invoca, e impazientemente
attende quest'Edifizio sacro agli onesti piaceri e alla
perfezione della sociale felicità.
Nel giro di una settimana (16 agosto) la licenza gli venne accordata assieme ai complimenti per la brillante iniziativa. Subito dopo egli fece stampare e diffondere (21 agosto) il suo Progetto unito alla Tabella che fissava i prezzi di sottoscrizione per 40 palchi, le modalità di pagamento e i vantaggi che gli acquirenti avrebbero avuto coll'immediata prelazione. Le adesioni arrivarono numerose e in breve i palchi furono tutti assegnati.(33)
Nessuno nel frattempo fece notare che, a poche centinaia di metri di distanza, già c'era un "teatro di media grandezza", il teatro Zagnoni, che però, con ammirevole tempismo, il 5 settembre venne quasi completamente distrutto da un incendio, lasciando il campo libero al suo potenziale concorrente. Solo nell'aprile del 1803 prese a circolare per la città un opuscolo a stampa che proponeva la ricostruzione del teatro Zagnoni "distrutto - si insinuava - per malvagità dell'uomo o per fatalità del destino". Il firmatario, Pellegrino Torri, aveva in effetti acquistato l'area in questione, fatto redigere un progetto e ripartito in 78 quote la spesa stimata necessaria alla costruzione ma, non essendosi trovati sufficienti sottoscrittori, non se ne fece nulla. (34)
I lavori del nuovo teatro procedettero dunque senza intoppi, rispettando i tempi preventivati, tanto che nella primavera del 1805 tutto era pronto per l'inaugurazione fissata per il 19 maggio. Il caso volle poi che alla serata di apertura ufficiale seguisse, il 20 giugno, quella della 'consacrazione', alla presenza di Napoleone primo Imperatore dei Francesi e Re d'Italia.(35)
A conti fatti, Giuseppe Badini aveva realizzato un
ottimo investimento: era proprietario di un bel teatro
che univa la funzionalità alla tradizionale eleganza,
situato in posizione comoda e centrale, modernamente
concepito come fulcro di attività mondane, culturali
e commerciali, tale insomma da consentire, se ben gestito,
un buon margine di guadagno.(36)
La sua proprietà tuttavia era per così
dire 'limitata' dalla presenza dei 40 proprietari di
palchi, veri fautori e prossimi beneficiari dell'impresa,
che avevano controllato tutte le fasi della costruzione,
suggerito i soggetti delle decorazioni pittoriche, che
avevano escluso categoricamente che il teatro prendesse
nome dal suo legittimo proprietario, e che pretendevano
ora che in esso venissero date ogni anno almeno tre
opere in musica.
Da questo punto di vista la programmazione per il primo
anno fu più che soddisfacente poiché andarono
in scena quattro drammi seri (Sofonisba, I riti di
Efeso, Camilla o sia il sotterraneo, Quanti casi in
un sol giorno o sia il Roberto), un ballo eroico
(Andromeda e Perseo), due drammi giocosi (Labino
e Carlotta, L'amore marinaro) e una farsa in musica
(Il moro).
Quella prevista per il 1806 fu altrettanto impegnativa
ma più variata. Durante il carnevale si avvicendarono
tre drammi giocosi (L'apprensivo raggirato, Le astuzie
femminili, Le cantatrici villane) prima di sgomberare
il teatro per predisporre i veglioni. Seguì un
lungo corso di recite della compagnia di Andrea Bianchi,(37)
l'allestimento di un dramma giocoso di successo (La
prova di un'opera seria di Francesco Gnecco) ed
ancora recite da parte della compagnia Venier.
Per l'autunno era pronta l'opera seria Ines de Castro
con ottimi interpreti (Imperatrice Sessi e Giacomo David,
tra gli altri) e il ballo eroico (L'incoronazione
di Aristodemo). Ma l'impresario forse volle fare
le cose troppo in grande e fallì, malgrado il
buon incontro registrato nelle prime sere.(38)
Quel fallimento fu motivo di riflessione sull'opportunità
di progetti eccessivamente ambiziosi e un invito alla
prudenza, tanto che nell'arco dei due anni successivi
non si segnalano al Corso costose opere in musica ma
solo un continuo avvicendarsi di compagnie comiche,
scelte tra le migliori sul mercato e sempre ben accolte.
Né andò diversamente al teatro Pubblico
dove le compagnie comiche presero spesso il sopravvento
sugli allestimenti d'opera.
Dal 1809 tuttavia, fermo restando l'ampio spazio concesso
alle recite (particolarmente attese quelle della compagnia
Vicereale diretta da Salvatore Fabbrichesi), al teatro
del Corso ricomparvero gli spettacoli musicali sotto
forma di drammi d'argomento sacro in sintonia col periodo
quaresimale (Sedecia ovvero la distruzione di Gerusalemme
nel 1809, Il trionfo di Gedeone nel 1810,
Il trionfo di Davide nel 1812, ecc.). Poi, dall'estate
del '10, si passò a stagioni interamente musicali,
alternando drammi seri e giocosi, privilegiando quegli
spartiti che avessero un qualche sapore di novità.
Da Omar re di Termagene su musica di Marco Portogallo
(estate 1810), mai dato a Bologna, a L'aio nell'imbarazzo
del bolognese Giuseppe Pilotti (autunno 1810), da
L'equivoco stravagante di Gioacchino Rossini
(autunno 1811), ad Amore e fedeltà alla prova
di Antonio Brunetti, anch'egli bolognese (primavera
1814), furono tutte prime esecuzioni.(39)
6. Il dottor Antonio Contavalli non godeva a
quanto pare della stima di Giuseppe Guidicini che, nel
proprio Diario annotava a suo riguardo: "Egli
ha ammassato un patrimonio prendendo parte a mercimoni
non leciti nelle vendite dei beni nazionali". Ed
era ancora il Guidicini a pronosticare scarsa fortuna
al teatro che il Contavalli fece erigere a sue spese:
"Il teatro è piccolo e di qualche eleganza,
ma la sua ubicazione lo renderà poco frequentato".
Sempre impegnato nel vasto giro di compravendite immobiliari,
Antonio Contavalli nel maggio del 1810 era entrato in
possesso di una porzione del complesso conventuale dei
padri Carmelitani di San Martino posta tra la via Larga
di S. Martino e la via Cavaliera. Trattandosi di un'area
non facilmente utilizzabile altrimenti, pensò
di farvi costruire un teatro. Nel marzo del 1812, avendo
in mano l'autorizzazione a procedere e un geniale progetto,
firmato dall'ingegner Martinetti ma elaborato dal suo
allievo Giuseppe Nadi,(40) diede avvio
ai lavori che erano ultimati a settembre del 1814, quando
vennero effettuati i collaudi di prammatica.
S'era accordato nel frattempo con l'impresario Colonna (il medesimo del teatro del Corso), per predisporre gli spettacoli d'apertura, pur sapendo che quella autunnale era una pessima stagione perché erano attivi altri teatri e perché la situazione politica si presentava confusa. Per togliere di mezzo eventuali impedimenti, suggerì egli stesso alle autorità (si era in quei mesi sotto il Governo Provvisorio) di fissare l'apertura al 3 ottobre, giorno del genetliaco dell'Imperatore d'Austria. Sembrò un bel gesto e il permesso venne accordato.
Soddisfatto per quanto aveva realizzato, Antonio Contavalli allegava al libretto dell'opera scelta per l'inaugurazione (Matilde la selvaggia di Carlo Coccia) una dettagliata descrizione del teatro e riassumeva gli obiettivi eminentemente pratici che si era prefisso nel costruirlo. Assicurava anch'egli d'aver voluto "contribuire al maggior decoro della sua città", dotandola di un teatro "di media grandezza", ma faceva notare come il suo locale si distinguesse dagli altri per l'ottimale sfruttamento degli spazi e per non avere palchi di proprietà, tale insomma da assicurare agli impresari un buon margine di guadagno.(41)
All'opera seria con ballo, che ebbe scarso incontro, fecero seguito quattro drammi giocosi: L'oro non compra amore, Ser Marcantonio, La cameriera astuta e L'italiana in Algeri di Rossini che ebbe tanto (insperato) successo da essere trasportata per due sere al teatro Nazionale e per tre sere al Corso, e fu un vero trionfo per la primadonna Maria Marcolini che per la sua serata di beneficio ricevette in dono una Cantata espressamente composta dal marchese Sampieri.(42)
Il nuovo teatro, pur giudicato elegante e ben decorato, non poteva ancora contare su un pubblico sicuro ma continuò coraggiosamente a sfornare spettacoli, per carnevale, a primavera, in estate. Alla fine come premio, ebbe l'opportunità di accogliere ben tre ospiti illustri al loro passaggio in città: Gioacchino Murat prima, Francesco IV di Modena e l'arciduca Massimiliano d'Austria in seguito. I grandi rivolgimenti in atto gli furono però fatali. Con il ritorno di Bologna al Governo Pontificio (2 agosto 1815), il curato di San Martino (il convento era stato soppresso ma non la chiesa divenuta parrocchiale) giudicò fosse giunto il momento di liberarsi di quell'incomodo vicino, e brigò per farlo chiudere.(43)
Qualche mese innanzi aveva dovuto chiudere anche il
piccolo teatro di San Gabriele.
Sorgeva quest'ultimo proprio nel cuore di quello che
era stato il ghetto di Bologna e si affacciava su via
dei Giudei al numero civico 2646. Traeva il nome dalla
Pia Congregazione di San Gabriele, il cui settecentesco
oratorio, chiuso al culto dal 1798 ed alienato a privati,
venne successivamente trasformato in sala teatrale dal
proprietario, Pellegrino Coralli, che nel 1810 chiedeva
infatti licenza "di aprire un teatrino di Marionetti".
La licenza venne accordata ma il locale fu catalogato
come teatro "privato". Non avrebbe pertanto
potuto dare spettacoli a pagamento né avere personale
fisso.
Il Coralli fece finta di niente e nel carnevale del
1811 affittò il locale a marionettisti che facevano
pagare l'ingresso. Cercò, è vero, di mettersi
in regola, chiedendo il passaggio alla categoria dei
teatri "pubblici". Anzi, per riuscire meglio
nell'intento, nella sua petizione magnificava "la
mole, la comodità dei palchi, il numero di spettatori
di cui è capace, più oltre un migliaio"
del proprio locale.(44) Non ebbe risposta,
però gli fecero pagare le tasse sui proventi.
Nel 1812 al San Gabriele si videro ancora le marionette
ma solo per carnevale. Subito appresso il Coralli tentò
di compiere un salto di qualità ingaggiando la
compagnia di canto diretta da Pasquale Majeroni, ospitando
per qualche tempo la compagnia comica Mascherpa e quella
acrobatica di Antonio Chiarini. Assunse anche un custode,
degli orchestrali, degli inservienti e fece stampare
manifesti per richiamare il pubblico. Ogniqualvolta
gli si presentava l'occasione d'affittare il locale
era però costretto a chiedere una licenza, una
proroga, una deroga. Di solito le autorizzazioni prefettizie
giungevano, ma all'ultimo momento e con mille raccomandazioni.
L'anno seguente con la compagnia Arrisi-Androux il San
Gabriele raggiunse l'apice dei consensi (questi i titoli
di alcuni successi: La maschera di ferro, Il califfo
di Bagdad, Bertoldo, Bertoldino, Marcolfa e Cacasenno),
cui fece seguito la parabola discendente con fugaci
comparse di fantasisti e di guitti. Ma non si poteva
pretendere di più, dato il costo irrisorio dei
biglietti.(45)
In considerazione del fatto che si trattava di un teatro
popolare, frequentato prevalentemente dalla truppa,
che non godeva di buona fama, le autorità gli
avevano imposto un singolare orario: apertura al tramonto
e chiusura prima degli altri teatri per non provocare
intralci e turbamenti all'ordine pubblico. Cosa che
invece accadde di frequente, stando ai verbali di polizia
che segnalano "uscite tumultuose" ed episodi
di "varia indecenza". Malgrado la pessima
nomea, in poco tempo il San Gabriele aveva saputo conquistarsi
una fetta di pubblico affezionato, come era costretto
ad ammettere il redattore de "Il Giornale del Dipartimento
del Reno":
Le vere difficoltà cominciarono nel 1814 con una lite col teatro Marsigli a causa di un contestato ingaggio della compagnia Venier, proseguirono in autunno quando giunse l'ordine di temporanea chiusura per non fare concorrenza al Contavalli appena inaugurato, e culminarono in inverno con la partenza delle truppe di stanza in città. Senza di esse il San Gabriele perdeva la sua ragione d'esistere e in effetti nel giugno del 1815 le autorità 'restaurate' ne ordinarono la chiusura definitiva, sorde non solo alle suppliche del Coralli ma anche del macchinista, dei suonatori, degli inservienti che si trovarono così sul lastrico.
Può essere annoverato infine tra i 'proprietari
di teatri', figure inedite finora nel mondo dello spettacolo,
animati da spirito imprenditoriale e dotati di piglio
battagliero, anche il signor Gaetano Dalla Noce
che aveva acquistato fin dal gennaio del 1807 il palazzo
Felicini, compreso il teatro e "tutti gli attrezzi
in esso annessi". Per prima cosa egli fece restaurare
il locale, ne arricchì la dotazione scenica e
lo fece decorare da Antonio Basoli,(46)
quindi ne assunse la direzione, instaurando un proficuo
rapporto con l'impresario del teatro Marsigli, Giulio
Castagnoli, per meglio sfruttare le scritture, la diversa
capienza dei due locali ed assicurare varietà
agli spettacoli. Insieme si assicurarono l'esclusiva
di una serie di prolungate tournées bolognesi
della Compagnie Imperiale d'Acteurs Français
diretta da madame Raucourt, un'anziana attrice
molto stimata da Napoleone.(47) Le
recite in lingua originale e al ritmo di due testi per
serata, in modo da offrire un ampio panorama della produzione
drammatica d'oltralpe, cominciarono al Felicini ai primi
di gennaio del 1809 e proseguirono fino alla fine di
marzo. L'impatto dovette essere un poco duro all'inizio
poi l'interesse del pubblico andò crescendo.
Il Dalla Noce comunque, come primo risultato, riuscì
ad attirare l'attenzione della stampa periodica sul
suo locale. "Il Redattore del Reno" dedicava
infatti ampio spazio a questi spettacoli, lodava gli
interpreti, giudicava più o meno positivamente
le scelte del repertorio, si compiaceva degli applausi
"dei colti bolognesi" (non va dimenticato
però che a Bologna risiedeva un buon numero di
cittadini francesi) e concludeva che "non si può
desiderare d'impiegare meglio le ore della sera".(48)
I commedianti francesi ritornarono ad autunno inoltrato,
sempre facendo stanza al Felicini ma alternando qualche
serata nel più capiente Marsigli. Quindi, visto
il buon esito ottenuto, nei passaggi successivi a Bologna
(autunno 1810, primavera 1811 ed ancora novembre 1812)
preferirono sempre il teatro Marsigli.
NOTE:
1 Cfr. "Il Repubblicano", n. VII (1796). Altre notizie, di carattere organizzativo, vengono riportate da "Il Monitore Bolognese", n. 39 del 1796 e n. 5 del 17 gennaio 1797. I successivi articoli comparsi su questo come su altri periodici, costituiscono una ulteriore fonte di informazioni, anche se poco obiettiva, sull'attività del Teatro Civico documentata dagli "avvisi patriottici" conservati presso l'Archivio Marsigli (in ASBo) e in gran parte trascritti da GIUSEPPE COSENTINO in Un teatro bolognese del XVIII secolo. Il teatro Marsigli Rossi, Bologna, Tipografia Garagnani, 1900, pp. 183-204.
2 Il Teatro Civico milanese
ebbe prima sede nell'ex Collegio dei Nobili, quello
di Venezia ottenne in affitto il teatro S. Giovanni
Grisostomo per i soli mesi estivi. A Modena si utilizzò
l'ex teatro di Corte mentre a Reggio l'iniziativa abortì
per mancanza di fondi. Sull'istituzione del Teatro Civico
milanese si veda CARLO ANTONIO VIANELLO, Teatri,
spettacoli, musiche a Milano nei secoli scorsi,
Milano, Libreria Lombarda, 1941, p. 349; per quello
di Venezia si rimanda a Il teatro patriottico,
a cura di Cesare De Michelis, Padova, Marsilio, 1960.
Le esperienze di area emiliana, infine, sono state tratteggiate
dalla scrivente in Feste di piazza e opere in teatro.
Spettacoli nel triennio giacobino, in Il Tricolore
dalla Cispadana alla Cisalpina. Atti del convegno di
studi storici per la celebrazione del bicentenario del
Tricolore, Modena, Aedes Muratoriana, 1998, pp.
245-256.
3 Cfr. "Il Monitore Bolognese",
n. 6 del 21 febbraio 1797. Sappiamo da un documento
riportato dal Cosentino (Il teatro Marsigli cit.,
pp. 202-203) che Angelo Marsigli concesse il suo teatro
a titolo gratuito per un anno e che in seguito si accontentò
di un affitto modesto.
4 L'elenco completo degli "Accademici
Attuali", ossia recitanti, compare su "Il
Monitore Bolognese", n. 12 dell'11 febbraio 1797.
Sono citati: Francesco e Luigi Albergati, Angelo Baldini,
Mauro Bràccioli, Carlo Bruera, Luigi Busatti,
Vincenzo Castagnari, Giacomo Greppi, Antonio e Pietro
Moreschi, Floriano Puglioli, Giuseppe Tadolini, Francesco
Tognetti, Luigi Zamboni, Ippolito e Giuseppe Zanotti,
ed ancora Ognibene, Rosaspina, Stella, Toselli, Turini.
Delle attrici vengono indicati solo i cognomi: Boari,
Ceschi, Civili, Fabbri, Fiori, Giorgi, Simoni. È
da rilevare che Mauro Bràccioli (protagonista
del Saul alfieriano) e Luigi Busatti (tra gli interpreti
dell'Antigone), diedero lustro al Teatro Civico bolognese
non solo come attori ma anche come autori delle scenografie
sempre nuove utilizzate per gli spettacoli, in ciò
affiancati da Antonio Basoli e da Pelagio Palagi. Per
quanto riguarda Maria Brizzi Giorgi e Luigi Zamboni,
è chiaro che si prestarono come cantanti nell'esecuzione
degli intermezzi per musica e degli Inni patriottici.
A tutti costoro si unirono di volta in volta, in occasione
delle recite, altri 'simpatizzanti' come Teresa Pikler,
moglie di Vincenzo Monti, i veneti Valeriani e Zampelli
e la milanese Malavasi (cfr. "Il Monitore Bolognese",
n. 16 del 1797 e n. 14 del 1798).
5 Ines de Castro. Dramma
serio per musica da rappresentarsi in Bologna nel Nobilissimo
Pubblico Teatro la primavera dell'anno 1796, dedicato
alle Illustri Cittadine di questa Città,
Bologna, Stamperia Camerale, s.a (vedi CMBM, libr. 569).
Il dramma in questione era stato musicato da Francesco
Bianchi proprio per Elisabeth Weichsel Billington, celebre
soprano e gran bella donna, in occasione del suo debutto
al S. Carlo di Napoli dove era stata ingaggiata per
interessamento dell'ambasciatore inglese Lord Hamilton.
Nella versione presentata a Bologna allo spartito originale
vennero aggiunte arie di vari autori.
6 Le principali compagnie comiche
che si avvicendarono nei maggiori teatri della Cisalpina
furono la Andolfati-Goldoni, la Battaglia, la Bianchi,
la Colleoni, la Paganini-Pianca, la Pellandi e la Rossi.
Gli attori che le componevano erano indubbiamente tra
i migliori del tempo, i soli in grado di rendere accettabile
la retorica imperante e plausibile la puerilità
degli intrecci. In particolare la compagnia Paganini
poteva contare su Giuseppe De Marini allora esordiente
ma già oggetto di omaggi poetici (vedi sonetto
in X.47.6), e la Pellandi aveva tra le sue file l'ottima
Anna Fiorilli e Giacomo Modena, grande interprete tragico
e padre di Gustavo Modena, il maggior attore del nostro
Risorgimento. Proprio Giacomo Modena, la cui autentica
adesione all'ideologia giacobina era nota, venne invitato
a tenere un discorso al Circolo Costituzionale in cui
non parlò di teatro ma si lanciò in una
forte invettiva anticlericale (cfr. Il Gran Circolo
Costituzionale e il Genio Democratico (1797-1798),
a cura di Umberto Marcelli, Bologna, Analisi, 1986,
vol. I, t. II, pp. 723-725).
7 Tra gli eventi ad alto contenuto
politico dati nel teatro Pubblico ricordiamo l'esecuzione
della cantata per musica intitolata Le città
di Milano e Bologna il 14 settembre 1796 e la recita
di due tragedie 'libertarie', I baccanali di Roma
del Pindemonte e Bruto primo di Alfieri a novembre
dello stesso anno; tra i veglioni gratuiti (vedi 44.5.1
e 2), si segnalano in particolare quelli posti a conclusione
dei due "pranzi patriottici" offerti ai cittadini
e alle cittadine indigenti tra l'aprile e il maggio
del '98.
8 La morte di Mitridate.
Dramma per musica da rappresentarsi nel teatro Zagnoni
la quaresima dell'anno VI Rep., Bologna, Stamperia
del Sassi, s. a. (vedi CMBM, libr. 3401 e avviso in
VI.19.3). "Il Democratico Imparziale", n.
7 del 25 marzo, segnalando l'esecuzione, lodava la "musica
eccellente" (di Sebastano Nasolini) e la prestazione
del Babini di cui tesseva le lodi (cfr. il saggio della
scrivente intitolato Matteo Babini, celebre tenore
ed egregio cittadino, "Strenna Storica Bolognese",
XLII, 1992, pp. 71-83).
9 La compagnia di canto formata
da Anna Nava e Vincenzo Aliprandi diede in autunno al
teatro Zagnoni due drammi giocosi: Il Chinese in
Italia (libretto di Alessandro Pepoli e musica di
Francesco Bianchi) e Il re Teodoro a Venezia
(libretto dell'abate Casti musicato da Paisiello) e
per il carnevale seguente vari drammi buffi. Durante
l'estate vennero eseguite le "farse in musica"
Amore alla prova e Furberia e puntiglio,
il cui libretto a stampa reca una ossequiosa dedica
al generale Klenau.
10 Sul teatro Taruffi in via
del Poggiale al civico 717 (odierna via Nazario Sauro),
si veda GIUSEPPE GUIDICINI, Cose notabili della Città
di Bologna ossia storia cronologica de' suoi stabili
pubblici e privati, Bologna, Tipografia delle Scienze,
1868-1878, voll. VI, IV, p. 227. Corrado Ricci (I
teatri di Bologna nei secoli XVII e XVIII. Storia aneddotica,
Bologna, Zanichelli, 1888, p. 299) dedica invece a questo
teatrino poche righe, desumendo le notizie, per altro
imprecise, dal saggio di GAETANO GIORDANI, Intorno
al gran teatro del Comune in Bologna. Memorie storico-artistiche
con annotazioni, Bologna, Società Tipografica
Bolognese, 1855, nota 38, p. 68. Sulla sua attività
musicale siamo invece ben informati grazie ad avvisi
e libretti a stampa. Dopo tre stagioni di opera buffa,
nel 1801 il teatro Taruffi tornò a disposizione
dei filodrammatici e nell'ottobre del 1803 la Società
dei Dilettanti qui recitò l'Antigone di
Alfieri per tre serate, devolvendo in beneficenza, come
di consueto, il ricavato delle prime due e depositando
quello della terza presso il Monte del Matrimonio a
vantaggio dell'attrice giovane Geltrude Bigatti (vedi
VII.27.2). Per quanto riguarda le feste da ballo, esse
si tennero non solo nella sala del primo piano ma anche
in un locale al piano terra, come si ricava dalle richieste
di licenza "di dare feste da ballo a pagamento"
fatte nel 1808 da Luigi Bignami e nel 1809 da Mattia
Biondi, "conduttore di un appartamento al pianterreno
della casa del sig. Antonio Taruffi in via del Poggiale
717", ambedue conservate in ASBo, Archivio Prefettura
e Legazione Apostolica. Atti generali, tit. XXVI, anni
1808-1809.
11 Cfr. Assemblee della
Repubblica Cisalpina, a cura di Camillo Montalcini
e Annibale Alberti, Bologna, Zanichelli, 1917-1940,
I, parte I, pp. 156-158. Per un quadro generale si rimanda
alla consistente documentazione, tratta dall'Archivio
di Stato di Milano, raccolta da Antonio Paglicci Brozzi
nel volume Sul teatro giacobino e antigiacobino in
Italia (1796-1805), Milano, Pirola, 1887, a quanto
esposto in Memoria postuma di Melchiorre Gioia sull'organizzazione
dei Teatri Nazionali, a cura di Paolo Magistretti, Milano,
Pirola, 1878 e al recente contributo di PAOLO BOSISIO,
Tra ribellione e utopia. L'esperienza teatrale nell'Italia
delle repubbliche napoleoniche, Roma, Bulzoni, 1990.
12 Dopo accese discussioni,
si concordò che fosse sufficiente un solo Teatro
Nazionale per ogni centro di una certa rilevanza. A
Bologna fu elevato al rango di Teatro Nazionale l'odierno
teatro Comunale.
13 La Rivoluzione. Commedia
patriottica, Bologna, 1797 / Anno I della Repubblica
Cisalpina, s.n.t. Questa commedia, scritta forse da
un bolognese rimasto anonimo venne stampata a Bologna
a seguito del gran successo ottenuto come dichiarato
nella presentazione. Una volta entrata a far parte del
repertorio della compagnia Battaglia e rappresentata
a Venezia fu qui ristampata. Essa ha come protagonista
un ex conte Vittorio, impegnato a convincere la famiglia
dell'amata Angelica di quanto sia ingiusta la nobiltà
e si conclude con un Inno patriottico ("Sorgi felice
pianta") alludente all'Albero della Libertà.
14 Cfr. "Il Quotidiano
Bolognese" del 14 dicembre 1797. Dopo una prima
recensione positiva ("La brava compagnia Rossi,
fra molte rappresentazioni democratiche, ne espone una
che, riguardo a Bologna le presentò sott'occhio
parte delle infami bricconerie del più empio
degli Uditori criminali della corte di Roma, Federico
Pistrucci. Costui ebbe gloria di urtare contro al desiderio
comune de' Bolognesi, che era di veder ridotto ad utile
pubblico l'ingegno di Giacomo Lucchini, così
detto Il Ladro del Monte, e che egli volea a tutta forza
giustiziato". Ma la commedia, così strutturata
poneva di fronte a problemi di ordine etico: il Lucchini
era un ladro e non poteva essere un eroe. Ma anche Pistrucci,
responsabile dell'arresto e condanna di Zamboni e De
Rolandis, pur avendo assicurato alla Giustizia un ladro,
non poteva essere un eroe. Si trattava insomma di un
bel pasticcio che falsava, nell'un caso come nell'altro,
la storia, tanto che il redattore, alla fine della polemica,
definiva la commedia "una delle più infelici
produzioni di questo nostro secolo". Il testo,
da ritenersi perduto, rimase a lungo nei repertori non
solo delle compagnie comiche ma anche dei marionettisti.
15 Si tratta del noto libello
satirico stampato anonimo e alla macchia col titolo
di Il Conclave dell'anno 1774. Dramma per musica
da recitarsi nel teatro delle Dame nel carnevale del
1775. L'autore, Gaetano Sertor, una volta scoperto
venne incarcerato e in seguito esiliato, ma il suo Conclave,
pur condannato all'Indice, circolò impunemente
e tornò in auge dopo il 1796. Sulla singolare
vicenda si veda della scrivente Condanna e apoteosi
di un librettista: Gaetano Sertor e il "Dramma
del Conclave", "Strenna Storica Bolognese",
XXXIX (1989), pp. 99-120.
16 I tempi dei Legati e dei
Pistrucci, del bolognese Luigi Giorgi, è uno
dei testi più efficaci del teatro giacobino in
Italia, in grado di coniugare gli obiettivi didascalici,
che il teatro patriottico intendeva perseguire, con
la dignità della scrittura scenica. Bloccata
dalla censura a pochi giorni dalla rappresentazione,
la commedia venne frettolosamente stampata dall'autore
col titolo de I Laberinti o sia la Pistruccianeide
per essere inviata a Milano. Tre mesi appresso otteneva
sia l'autorizzazione alla recita (che non avvenne),
sia le lodi per lo zelo dimostrato. L'autore si accontentò
di ristamparla col titolo originale facendola precedere
dalla riproduzione integrale dell'iter censorio percorso.
17 Cfr. "Il Quotidiano
Bolognese", 19 febbraio 1798. Dopo aver riferito
l'accaduto e riallacciandosi al recente scandalo della
negata rappresentazione della commedia del Giorgi, il
redattore commentava: "Sta a vedere se le Autorità
Costituite non solamente hanno il diritto a proibire
gli spettacoli, ma anche di costringere il Popolo di
quel ch'egli non ama. Oibò, oibò, questa
volta il Capocomico l'ha studiata male!".
18 Cfr. "Il Democratico
Imparziale", n. 38 dell'11 novembre 1797. Un episodio
analogo si era registrato anche nel teatro di Budrio
durante il carnevale.
19 Cfr. Il Valore, la Virtù,
il Merito, rappresentazione regio-eroica dell'abate
Giulio Artusi, che deve precedere l'altra Marte e la
Fortuna, dello stesso autore, da rappresentarsi
nel Nuovo Teatro Pubblico di Bologna per festeggiare
le vittorie dell'Armi di S.M.I. Francesco II l'estate
dell'anno 1799, su musica di Vittorio Trento la prima,
di Domenico De Rossi la seconda, unite al ballo pantomimico
La presa di Mantova (vedi CMBM, libr. 5358). Le
voci soliste delle due cantate furono di Adriana Ferrarese
Dal Bene e di Antonio Brizzi, che risultano contemporaneamente
impegnati al teatro Zagnoni nelle farse in musica Amore
alla prova e Furberia e Puntiglio. Sempre
al teatro Zagnoni in autunno si segnala un corso di
recite di Antonio Morocchesi interprete, tra l'altro,
del Saul alfieriano (vedi sonetto in X.47.7).
20 Cfr. Gli Orazi e i Curiazi.
Tragedia per musica del signor Antonio Sografi da rappresentarsi
in Bologna la primavera dell'anno 1800, s.n.t. (vedi
CMBM, libr. 1145), divenuta quasi portabandiera musicale
del nuovo regime, ebbe a Bologna come principali interpreti
Domenico Mombelli e Teresa Bertinotti.
21 Cfr. "Gazzetta Nazionale
di Bologna", n. 72 (1802) e GIUSEPPE GUIDICINI,
Diario bolognese dal 1796 al 1818, Bologna, Società
Tipografica, 1886-1887, II, pp. 167-168. Sull'evento
e la sua lettura storico-critica si veda anche ANGELO
VARNI, Bologna napoleonica. Potere e società
dalla Repubblica Cisalpina al Regno d'Italia (1800-1806),
Bologna, Massimiliano Boni Editore, 1973, pp. 141-143.
Naturalmente corse voce che l'incendio fosse doloso
e si rammentò che già durante il carnevale
era stato trovato sotto il palcoscenico "un fiasco
pieno di materia da incendiare".
22 "Dopo lunga assenza,
è ritornata in Bologna, in cui ha la propria
abitazione e beni, la virtuosa di Musica cittadina Brigida
Banti, insieme con la sua famiglia", annunciava
ai primi di settembre la "Gazzetta di Bologna".
Assai ammirata all'estero, già applaudita a Bologna
nel 1792 per la memorabile interpretazione della Zenobia
in Palmira dell'Anfossi (vedi avviso in IV.14.1),
che le valse la cittadinanza onoraria, la celebre artista,
dopo aver cantato nell'Antigona (vedi avviso
in IV.14.2 e sonetti in X.47.16 e 17), aveva intenzione
di ritirarsi dalle scene. Dissesti patrimoniali la costrinsero,
benché sofferente, ad accettare qualche altra
scrittura. Moriva a Bologna il 18 febbraio 1806 e venne
sepolta in forma solenne alla Certosa.
23 Teresa Bertinotti era già
nota al pubblico bolognese avendo esordito al teatro
Zagnoni nell'Elfrida di Paisiello (1796) e cantato
Gli Orazi e Curiazi di Cimarosa nel 1800. Presto
si sarebbe stabilita definitivamente a Bologna in seguito
alle nozze con Felice Radicati, primo violino al Comunale,
compositore e solista di fama. Ma la diva del momento
dovette essere Giuseppa Grassini (vedi omaggi poetici
in X.47.26-27 e XI.48.213), interprete di temperamento,
gran bella donna, e che godeva della protezione di Napoleone.
Tuttavia più che i drammi seri, non nuovi anche
se ben cantati, piacquero i grandi balli eroici, entusiasmarono
gli interpreti (vedi X.47.21-23) e il danzatore-coreografo
Gaspare Ronzi (vedi X. 47.24).
24 A documentare questa esecuzione
resta un "Avviso accademico per il teatro Marsigli"
conservato in BCABo, Fondo Oreste Trebbi, cart. XIV,
fasc. 7. Per inciso, Niccolò Paganini fece ritorno
a Bologna nell'estate del 1818 e a fine dicembre del
1824.
25 Dal momento che nella monografia
di Giuseppe Cosentino dedicata al teatro Marsigli, più
volte citata, la trattazione relativa agli anni 1799-1803
risulta piuttosto sommaria, si potrebbe ipotizzare in
questo lasso di tempo una messa in scena de La Molinara
di Paisiello cui fanno riferimento tre omaggi poetici
stampati su fogli di grande formato, non datati, l'uno
dedicato al sig. Gigiro (nel ruolo di Pistofolo), l'altro
al sig. Liniassa (nel ruolo di Colloandro) e il terzo
alla primadonna, di cui si tace il nome ma si allega
il ritratto (vedi XI.48.183-185). Sappiamo poi che una
ulteriore ripresa de La Molinara si ebbe al Marsigli
nel carnevale del 1812.
26 Per le recite dei Dilettanti
di Comica al teatro Marsigli, si vedano gli avvisi in
VII.23.2 e 3; VII.23.5-7; per la loro trasferta a Budrio
vedi VIII.33.2.
27 Il necrologio dell'illustre
commediografo e concittadino si trova stampato in prima
pagina sulla "Gazzetta di Bologna", n. 24
del 1804. Con ogni probabilità Albergati era
stato l'ispiratore del Piano elaborato per il Teatro
Civico bolognese; preoccupato poi per il radicalizzarsi
del dibattito sul teatro, aveva dato alle stampe un
libretto intitolato Della Drammatica (Milano,
presso Raffaele Netti, anno VI della Libertà
[1798]) in cui, dopo aver ironizzato sul cattivo gusto
e la retorica imperante nei teatri, difendeva la dignità
degli spettacoli, la libertà per gli autori di
comporre e sperimentare, l'integrità dei capolavori
della drammaturgia minacciati dalle manomissioni della
censura, concludendo che il teatro, oltre a servire
all'educazione popolare, doveva rimanere fonte per tutti
di "onesto piacere". Dopo la chiusura del
Teatro Civico, Albergati aveva forse ospitato in casa
sua qualche recita (vedi sonetto per la nuora Clementina
Gini Albergati in X.18.13), prima di dar vita alla nuova
Società di Dilettanti.
28 La documentazione sul cambio
di denominazione della Società si conserva in
ASBo, Archivio Prefettura di Bologna. Atti generali,
tit. XXVI, anni 1803-1805. Con il nome di Filergiti,
i nostri dilettanti si esponevano a metà luglio
1804, sempre al teatro Marsigli, per raccogliere fondi
a favore dell'aeronauta Zambeccari (vedi VII.23.10).
29 Sull'attività dei
dilettanti del Felicini in questi anni si vedano gli
omaggi poetici in X.47.60 e X.47.70-72; sulla loro presenza
a Budrio vedi VII.34.2. Questo teatrino, posto al primo
piano di palazzo Felicini, era stato dato in affitto
dall'ultima rappresentante del nobile casato ad un gruppo
di dilettanti che a loro spese l'avevano restaurato
e aperto al pubblico nel 1763, sperimentando una innovativa
forma di autogestione. Malgrado i successivi passaggi
di proprietà dell'immobile in cui aveva sede,
il teatro Felicini, cui si accedeva per abbonamento,
rimase attivo per un buon cinquantennio, alternando
corsi di recite di buon livello a spettacoli musicali
e di arte varia (cfr. MARINA CALORE, Il teatro Felicini
da S. Salvatore e i suoi dilettanti, "Il Carrobbio",
XIII, 1987, pp. 86-95).
30 Per gli spettacoli in casa
Covelli vedi sonetti in lode di Carlo Bruera (X.47.31),
di Tito Giraldi (X. 47.33) e di tutti gli accademici
Filoponi (X.47.42). A testimonianza delle recite nel
teatrino detto di S. Saverio vedi sonetto per Petronio
Bragaglia, accademico Intrepido, in X.47.19; per quelle
tenute presso l'Ospizio dei Preti in via Nosadella nel
1811, vedi X.47.61. In quest'ultimo caso i dilettanti
in questione (artigiani, facchini, casalinghe) dopo
essersi esibiti per un paio d'anni in via Nosadella,
nel 1813 si spostarono in San Gregorio, al numero civico
712. Si ignora invece dove recitassero gli accademici
Misargiaci menzionati in X.47.38.
31 Cfr. ASBo, Archivio Prefettura
di Bologna. Atti generali, tit. XXVI, rub. 4, anni 1806-1814.
Poiché la complessa burocrazia del tempo richiedeva
che ogni spettacolo, ancorché domestico e gratuito,
dovesse essere autorizzato, in periodo di carnevale
presso l'ufficio del Delegato di Polizia fioccavano
le richieste per ottenere il permesso di dare rappresentazioni
in case private al fine di "divagare" la propria
famiglia o per intrattenere piacevolmente il vicinato.
32 Sull'apertura del teatro
della Concezione con un corso di recite degli accademici
Filodrammaturgi nel 1809 vedi avviso in V.17.1, il sonetto
in lode dei recitanti diretti da Carlo Bruera in X.47.55-56,
e una tessera d'ingresso in IX.44.21. L'attività
di questo locale, detto anche teatro di via Saragozza
per la sua ubicazione o teatro Privat, dal cognome del
proprietario, è documentata dal 1809 al 1824
e i Filodrammaturgi vi furono presenti ogni carnevale
fino al 1814. Dopo aver ospitato esibizioni di vari
fantasisti, di altri gruppi dilettanteschi, e di marionette,
il teatrino venne definitivamente chiuso e trasformato
in bottega.
33 Il Progetto a stampa (vedi
fascicolo in VI.19.1), preceduto da un preambolo rivolto
"Alla Municipalità di Bologna", reca
in appendice l'assenso da parte della Municipalità
medesima, e una Tabella con l'importo delle cambiali
da sottoscrivere all'atto della prelazione di 40 palchi
(distribuiti tutti nei primi tre ordini), corrispondenti
alle 40 quote in cui l'ammontare dei costi era stato
ripartito. Da questo documento apprendiamo inoltre che
il Badini aveva commissionato la progettazione a due
architetti di fama, Ercole Gasparini e Francesco Santini,
e che la scelta era caduta sull'elaborato di quest'ultimo
in quanto meno costoso.
34 Cfr. Progetto diretto
a restituire con lustro maggiore l'incendiato teatro
già Zagnoni all'antico suo uso, s.n.t. (ma
Bologna, 6 aprile 1803), vedi fascicolo in VI.19.2.
Il firmatario cittadino Torri dava notizia della sua
iniziativa anche in un Avviso patrio comparso sulla
"Gazzetta di Bologna", n. 23 del 1803. In
base al progetto elaborato dal Gasparini (cfr. FABIA
ZANASI, Interventi e proposte dell'architetto Ercole
Gasparini nell'urbanistica bolognese d'età neoclassica,
"Il Carrobbio", IV, 1979, pp. 437-454) il
nuovo Zagnoni avrebbe dovuto essere ampliato rispetto
all'originale mediante l'acquisto di due case contigue.
Esiste un secondo progetto, forse successivo, redatto
da Angelo Venturoli ("Progetto di ricostruzione
del teatro Zagnoni a Bologna") per il quale si
rimanda alla scheda di Deanna Lenzi n. 196, in Architettura,
Scenografia, Pittura di paesaggio, catalogo critico
a cura di Anna Maria Matteucci, Deanna Lenzi, Wanda
Bergamini, Gian Carlo Cavalli, Roberto Grandi, Anna
Ottani Cavina, Eugenio Riccomini, Bologna, Alfa, 1980,
pp. 136-137.
35 Per l'occasione il Badini
fece stampare un bell'opuscolo dedicato "Alla Maestà
di Napoleone primo Imperatore de' Francesi e Re d'Italia",
dal titolo Pianta, Facciata e Spaccato del Nuovo
Teatro eretto in Bologna nella via di Santo Stefano,
Bologna, Marsigli, 1805, in folio. La pregevole pubblicazione
contiene una dettagliata Descrizione del teatro e sue
adiacenze e tre rami illustrativi, opera di Francesco
Rosaspina, ricavati dal progetto del Santini. Per il
soggiorno di Napoleone a Bologna nel giugno del 1805
e il programma dei festeggiamenti predisposti si rimanda
alla "Gazzetta di Bologna", nn. 49-51 del
1805, alle concise annotazioni di G. GUIDICINI, Diario
cit., III, p. 57 e al saggio di UGO LENZI, Napoleone
a Bologna (21-25 giugno 1805), Bologna, Zanichelli,
1980.
36 Su un totale di 99 palchi
distribuiti in quattro ordini, 40 erano stati alienati
in perpetuo; a questi andavano aggiunti tre palchi riservati
alle autorità ed altri tre a disposizione della
proprietà. Rimanevano tuttavia ancora 53 palchi
il cui periodico affitto, unito a quello dei posti di
platea e di loggione, avrebbe consentito un buon margine
di guadagno per gli impresari. Ulteriori rendite al
Badini potevano invece derivare dall'affitto del vasto
caffè, degli appartamenti "di rappresentanza"
e dell'albergo che avrebbe dovuto sorgere a fianco del
teatro. Per quanto riguarda il nome da dare al teatro
si preferì puntare su un toponimo: teatro del
Corso, dunque, poiché l'edificio si affacciava
su quel tratto di via santo Stefano lungo cui si teneva
il 'corso' dei carri mascherati di carnevale. Per le
vicende di questo teatro si rimanda a MARINA CALORE,
Il teatro del Corso (1805-1944). 150 anni di vita
teatrale bolognese tra aneddoti e documenti, Bologna,
Lo Scarabeo, 1992.
37 Il 6 marzo 1806, data d'inizio
degli spettacoli, alcuni attori della compagnia Bianchi
non erano ancora arrivati a Bologna e il capocomico,
scusandosi per il contrattempo, prometteva rimpiazzi.
Delle 40 recite date da questa compagnia di cui facevano
parte ottimi attori come Giacomo Dorati, Luigi Vestri,
Giuseppe De Marini, destinati a rimanere i beniamini
del pubblico per molti anni ancora, conosciamo alcuni
titoli riportati dagli avvisi (vedi VI.19.4-20) e che
costituiscono un interessante esempio di repertorio
del tempo.
38 Cfr. Ines de Castro.
Dramma per musica da rappresentarsi in Bologna nel teatro
del Corso l'autunno del 1806, Bologna, Marsigli,
s.a. (vedi CMBM, libr. 5684) Il libretto venne dedicato
a Francesco Mosca, Commendatore del Real Ordine della
Corona di Ferro e nuovo Prefetto del Dipartimento del
Reno. Gli interpreti principali furono Giacomo David
(vedi sonetto in X.47.35), uno dei migliori tenori del
tempo e Imperatrice Sessi (vedi sonetto in X. 47.37)
che in quel medesimo tempo venne aggregata all'Accademia
Filarmonica di Bologna.
39 Nell'autunno 1805 il tredicenne
Gioacchino Rossini aveva debuttato al teatro del Corso
come cantante in Camilla o sia il sotterraneo
di Ferdinando Paer, sostenendo il ruolo del figlio della
protagonista. Nell'autunno del 1811 si ripresentava
al Corso nella duplice veste di maestro al cembalo e
compositore, con alterne fortune. Per quanto riguarda
il suo rapporto con orchestrali e coristi, si può
dire che fu caratterizzato da accesi battibecchi che
gli procurarono una denuncia alle autorità dalle
quali gli venne anche una ammonizione per scarsa puntualità
nel presentarsi alle prove. Il suo spartito, L'equivoco
stravagante, ebbe discreto incontro ma il libretto,
scritto da Gaetano Gasparri e ritenuto troppo licenzioso,
provocò la sospensione delle repliche (cfr. "Il
Redattore del Reno", n. 43 del 1811). Rossini ottenne
una rivalsa l'autunno successivo quando al Corso venne
messo in scena con pieno successo L'inganno felice,
cantato da Teresa Giorgi Belloc (vedi X.47.69) e dal
giovane tenore Giovanni David, destinato ad emulare
il celebre padre Giacomo.
40 Giuseppe Nadi, morto prematuramente
nel giugno del 1814, non vide compiuta la sua fatica.
Il Guidicini, segnalando il decesso nel suo Diario
(III, p. 154), scriveva: "Fu ottimo disegnatore,
massime nell'ornato. Lascia di sé memoria nelle
fabbriche del palazzo Aldini al Monte e nel teatro Contavalli
da S. Martino".
41 Cfr. Matilde. Dramma
eroico per musica da rappresentarsi in Bologna nel nuovo
teatro Contavalli l'autunno dell'anno 1814, Bologna,
Tipografia Masi, s.a. (vedi CMBM, libr. 1211 e avviso
in V.18.1). Nel libretto stampato per l'occasione, alla
Dedica (al generale D'Ekhardt) fa seguito la Descrizione
del teatro, unita alla Lettera contenente gli apprezzamenti
espressi dalla Direzione degli Spettacoli dopo il collaudo
della struttura. Durante la serata inaugurale, inoltre,
vennero distribuiti un sonetto in lode di Antonio Contavalli
(vedi X.47.83) e un fascicolo contenente composizioni
poetiche in onore di Antonio Basoli cui era stata affidata
la decorazione del teatro (cfr. Al merito singolarissimo
del sig. Antonio Basoli onorevole membro dell'Accademia
delle Belle Arti per l'apertura del nuovo teatro Contavalli
da esso maestrevolmente dipinto, Bologna, tipografia
Longhi, 1814), per la quale si rimanda alle schede di
Deanna Lenzi nn. 213-216 in Architettura, Scenografia,
Pittura di paesaggio cit., pp. 145-146.
42 Cfr. Orfeo, cantata ad
una sola voce con cori. Musica del celebre dilettante
signor marchese Francesco Giovanni Sampieri accademico
Filarmonico, scritta espressamente per la signora Maria
Marcolini in occasione della sua serata di beneficio,
rappresentata nel teatro Contavalli l'autunno dell'anno
1814, Bologna, Fratelli Masi, s.a. (vedi IX.46.19).
Per l'intero programma della stagione vedi avviso in
V.18.2.
43 Il Guidicini, nel suo Diario
più volte citato, menziona in varie occasioni
il dott. Antonio Contavalli: a proposito della sua bella
casa che si affacciava sulla piazza del Mercato, detta
allora delle Armi (odierna piazza VIII Agosto), di diverse
transazioni immobiliari, in occasione dell'apertura
e riapertura (luglio 1816) del suo teatro così
descritta: "È andata in scena al teatro
Contavalli l'opera L'italiana in Algeri. La riapertura
di questo teatro era stata sospesa dal governo ad istanza
del curato di S. Martino, il quale si credeva tanto
sicuro della vittoria, che ebbe a dire che il giorno
della riapertura del teatro avrebbe mangiato un asino
vivo". Il curato in questione non aveva fatto i
conti con la determinazione di Antonio Contavalli che
ricorse alla Segreteria di Stato e vinse la causa. Si
narra che, a vittoria ottenuta, egli mandasse al curato
un asinello da latte cotto a puntino.
44 Nel Gabinetto Disegni e
Stampe della Biblioteca dell'Archiginnasio si conserva
un interessante progetto dell'architetto Gasparini relativo
ad un piccolo ma elaborato teatro da costruirsi nel
ghetto di Bologna (cfr. F. ZANASI, Interventi e proposte
dell'architetto Ercole Gasparini cit., p. 437).
Dal momento che non è datato né viene
specificato chi ne fosse il committente, risulta difficile
dire se vi sia un nesso o meno con il teatrino di San
Gabriele.
45 Dell'attività di
questo teatrino, da noi ricostruita per lo più
mediante la documentazione tratta dall'Archivio della
Prefettura di Bologna, restano soltanto un paio di avvisi
(in VII.26.1-2) e un raro libretto intitolato Il
Prometeo, Ballo spettacoloso in cinque atti già
dato in Milano l'anno 1813. Inventato dal sig. Salvatore
Viganò, da eseguirsi con Automi nel teatro San
Gabriele la primavera dell'anno 1814. Diretto da Luigi
Pagani Toscano, Bologna, Longhi, s.a.
46 A Gaetano Dalla Noce vennero
tributate pubbliche lodi per l'impegno volto al restauro
e all'abbellimento del locale (vedi X.47.44 e 47). Completato
il maquillage del Felicini, sempre nel 1807, presero
avvio analoghi lavori di decorazione al Marsigli e tra
i due teatri si stabilì una sorta di 'convenzione'
per cui, ad esempio, le tessere di abbonamento ai palchi
del Felicini erano valide in alcune occasioni anche
per il Marsigli, e ai Dilettanti del Felicini venne
data l'opportunità di calcare le scene del Marsigli.
Anche il teatrino Legnani fu ridipinto secondo la moda
nel 1810, come attesta ancora una volta un sonetto (non
presente nella nostra raccolta) intitolato Al merito
singolare del sig. Filippo Bottazzi che con somma perizia
ed eleganza ha dipinto il teatro Legnani di Bologna,
Bologna, Ramponi, 1810.
47 Françoise Marie-Antoinette
Saucerotte, detta Madame Raucourt, grande attrice tragica
in gioventù, aveva ottenuto nel 1806 da Napoleone
l'incarico di dirigere una compagnia con il compito
di divulgare il teatro francese in Italia. Preceduta
da lettere credenziali diramate dal Ministero delle
relazioni estere a tutte le Prefetture, durante la lunga
tournée italiana toccò Torino, Genova,
Milano, Brescia, Venezia, e, come si è visto,
Bologna. Intenzionata anzi a far tappa a Bologna fin
dal 20 giugno 1807 aveva fatto richiesta di "una
sala comoda a condizioni favorevoli", ma non dovette
essere facile trovare un teatro rispondente ai requisiti.
Il ricco repertorio della compagnia francese, puntualmente
documentato dagli avvisi (vedi VII.20.3-41 per gli spettacoli
dati al Felicini e VII.22.21-22 e 26-32 per quelli dati
al Marsigli), spaziava tra commedie sentimentali e di
carattere, escludendo le tragedie.
48 Cfr. "Il Redattore del Reno", n. 87 del 1809. Lo stesso periodico segnala quasi tutti gli spettacoli, anche di altra natura, dati al Felicini che in tal modo assume una maggiore visibilità.
1. Il 14 settembre 1806 Francesco Maria Mosca Barzio,
ex nobile pesarese, faceva ingresso a Bologna in qualità
di nuovo Prefetto del Dipartimento del Reno. Si rivelò
buon amministratore, energico, in grado di concentrare
su di sé le molteplici funzioni che la carica
comportava. Promosso di grado, lasciò la città
alla fine del 1809 per insediarsi alla Direzione Generale
di Polizia di Milano dove continuò a impartire
istruzioni e a riorganizzare servizi.(49)
Per quanto ci riguarda, fu convinto assertore dell'importanza
culturale, sociale ed economica del teatro e della necessità
di restituire dignità agli spettacoli: colla
sua firma infatti, in data 5 novembre 1806, compariva
a stampa un Regolamento teatrale destinato a restare
in vigore a Bologna per quasi un quarto di secolo e
che divenne ben presto noto e citato come "Regolamento
Mosca".
Invero da tempo era sentita l'esigenza di possedere
un quadro completo ed aggiornato della situazione degli
edifici teatrali esistenti nei vari Dipartimenti, e
il Ministero dell'Interno aveva avviato una indagine
conoscitiva incaricando le varie Direzioni sopra gli
Spettacoli, istituite in base al decreto governativo
dell'8 settembre1802, di redigere dei rapporti in materia.(50)
Il Dettaglio dei Teatri di Bologna, predisposto dalla
locale Direzione sopra gli Spettacoli (detta anche "Direzione
dei Teatri") e approntato ai primi d'aprile del
1806, consiste in un ampio e ordinato Prospetto in cui
vengono elencati i teatri "pubblici" (il teatro
Pubblico o Nazionale, il teatro del Corso, il teatro
Marsigli e quello di Imola), per ciascuno dei quali
vengono fornite notizie ritenute essenziali (denominazione,
proprietà, amministrazione, stagioni in cui agiscono,
qualità degli spettacoli, palchi di pubblico
diritto, amministrazioni che godono l'uso dei palchi
gratuitamente) unito ad una Nota relativa a quelli "privati"
nella quale si legge:
Scopo principale dell'indagine era senz'altro quello
di tenere sotto controllo dei locali intensamente e
variamente frequentati, quali erano appunto i teatri,
mediante la sorveglianza diretta da parte della Polizia
e la supervisione, velatamente censoria, da parte della
Direzione sopra gli Spettacoli. Al di là di queste
funzioni di controllo esercitate dagli organismi competenti,
si sentiva anche la necessità di disciplinare
l'anarchica vita teatrale che si era venuta creando,
soprattutto in città come Bologna dove i teatri
erano praticamente in funzione tutto l'anno, e di curarne
i malanni più frequenti: la qualità scadente
delle proposte spettacolari, le illegali occasioni di
lucro, le scritture irregolari e la strisciante concorrenza,
come stavano a dimostrare le programmazioni non certo
esaltanti del teatro Pubblico, le continue richieste
di introdurre ogni sorta di tombole, lotterie e giochi
d'azzardo all'interno dei teatri, il clamoroso fallimento
dell'impresario dell'opera seria del teatro del Corso.
Anzi, fu proprio quest'ultimo avvenimento, nel quale
il Prefetto Mosca si sentiva indirettamente coinvolto,
a spingerlo ad agire con prontezza.
La sera del giorno stesso del suo arrivo a Bologna,
al teatro del Corso era andato in scena il dramma Ines
de Castro musicato da Nicola Zingarelli unito al ballo
eroico Incoronazione di Aristodemo. Egli era stato ospite
d'onore della rappresentazione e l'impresario Giuseppe
Marchesi gli aveva dedicato il libretto stampato per
l'occasione nel quale magnificava il frutto delle proprie
fatiche: "un dramma non mai abbastanza applaudito",
"un ballo eroico serio mai più rappresentato
su questa scena", e ancora "la scelta di cospicui
personaggi principali attori", le scene tutte nuove,
il ricco vestiario, ecc. Incauto vanto, perché
per una serie di imprevisti l'impresario Marchesi era
fallito, lasciando un grosso debito solo in parte coperto
dalla disponibilità dei cantanti che accettarono
di proseguire le repliche e di versare alla cassa comune
il ricavato delle serate di beneficio. Il Prefetto si
trovò così coinvolto nel salvataggio in
extremis dello spettacolo e dopo aver sentito le parti
lese, approvato tagli e sostituzioni, essersi fatto
un quadro completo della situazione,(52)
pensò di predisporre uno strumento efficace,
un Regolamento teatrale appunto, in grado di fissare
una normativa precisa in materia onde superare inveterate
consuetudini e confuse disposizioni transitorie.(53)
Senza addentrarci nella trascrizione integrale dei
30 articoli che seguono, possiamo sintetizzarne il contenuto
e gli effetti della loro applicazione.
Una trafila burocratica che non ammetteva eccezioni
avrebbe assicurato il controllo dal momento che nessun
teatro o sala pubblica, poteva venir concesso o affittato
senza autorizzazione prefettizia (art. 1); nessun impresario
o capocomico, gruppo di dilettanti, privato cittadino,
avrebbe potuto dar inizio ad un corso di spettacoli
senza averne avuta licenza dal Prefetto (artt. 2 e 13).
Ogni domanda poi doveva essere presentata al Protocollo,
istituito presso l'Ufficio di Polizia, dietro il rilascio
di una ricevuta numerata recante la data di consegna
e quella di una eventuale convocazione (artt. 8 e 9).
Onde evitare contestazioni si stabiliva che nella concessione
delle licenze sarebbe stato favorito chi avesse presentato
per primo la domanda (art. 7) e per scongiurare gli
effetti rovinosi dei fallimenti, ciascun impresario
o capocomico era tenuto a versare anticipatamente un
"deposito di segurtà", dal quale erano
esentati solo i cittadini bolognesi "possidenti"
(artt. 3 e 4); ancora, perché non vi fossero
strascichi legali, i teatri pubblici dovevano depositare
copia dei contratti di volta in volta stipulati (artt.
10 e 19).
Fatto poi un rapido calcolo ed essendo tre i teatri
pubblici cittadini, era stata fissata una norma abbastanza
equa: durante tutto l'anno sarebbero stati aperti due
teatri, per Quaresima e l'Avvento uno solo, durante
il carnevale avrebbero agito tutti e tre contemporaneamente
mai però con più di uno spettacolo in
musica alla volta (art. 5). In considerazione del fatto
che lo spettacolo più prestigioso era l'opera
seria in musica con ballo eroico, e che solo il Comunale
pareva in grado di programmare cosa tanto grandiosa
da non ammettere economie, si determinò di avvantaggiare
il Comunale ogniqualvolta avesse allestito l'opera seria
con ballo al di fuori del periodo carnevalesco (art.
6). Il Prefetto comunque si riservava facoltà
di decidere in base "al comodo del paese, delle
circostanze del momento, alla natura dello spettacolo,
all'interesse delle parti" (art. 11).
Si affermava che impresari e capocomici avevano diritto
ad un giusto compenso per le loro fatiche e pertanto
li si esentava da qualunque altra imposizione fatta
salva la tassa sull'illuminazione (art. 27); un trattamento
di particolare riguardo sarebbe spettato ai Comici Francesi
che Napoleone si apprestava ad inviare in Italia (art.
20); con una certa benevolenza venivano anche guardati
i teatri privati, autogestiti dai dilettanti, che avrebbero
potuto avvicendarsi durante tutto l'anno e restare aperti
contemporaneamente di carnevale (art. 12).
Ma i teatri, si sa, non erano soltanto il luogo in cui
si davano spettacoli: erano previsti l'organizzazione
di veglioni e l'uso dei ridotti come sale da gioco,
sul cui ricavato si poteva ampiamente speculare. Sei
veglioni vennero assegnati al teatro Comunale (ma era
un modo come un altro per risarcire il Municipio per
le spese di gestione del suo gran teatro); le rimanenti
feste da ballo a pagamento vennero distribuite a chi
ne avesse fatta richiesta (artt. 14-15-16-17).
Gli impenitenti frequentatori dei ridotti avrebbero
invece potuto stazionarvi solo nelle ore d'apertura
del teatro e comunque dietro pagamento di regolare biglietto,
come se avessero assistito allo spettacolo: se preferivano
i tavoli da gioco, peggio per loro (artt. 21-22-23-24).
Molto restrittive d'altra parte erano le norme che consentivano
l'introduzione dei giochi d'azzardo (artt. 25 e 26).
Gli ultimi articoli riguardavano la tutela della qualità
e l'osservanza dell'ordine pubblico, affidata la prima
alla Direzione degli Spettacoli e la seconda alle forze
di polizia (artt. 28 e 29), nonché l'obbligo
di affissione di una copia del Regolamento medesimo
in tutti i teatri (art. 30).
Quindi, dopo aver meglio definito le competenze della
Direzione sopra gli Spettacoli, precisato l'organico
delle truppe di guardia per ciascun teatro in base alla
capienza, fissato gli orari di inizio degli spettacoli,
stagione per stagione, l'11 dicembre 1806 egli fece
pubblicare pure la Nota relativa gli aventi diritto
all'ingresso gratuito, in modo da chiudere con le continue
contestazioni.(54)
Nulla dunque poteva esserci di più organico,
ragionevole, efficiente del Regolamento con i suoi quattro
corollari di cui sopra, steso del resto con cognizione
di causa e alla cui applicazione il Prefetto spese tempo
e fatiche. I guai cominciarono proprio quando Francesco
Mosca era in procinto di lasciare Bologna, allorché
vennero aperti, con finalità apertamente speculative,
altri teatri pubblici (le due Arene, il San Gabriele,
il Contavalli), quelli privati ripresero vigore, le
formazioni dei dilettanti si misero a fare concorrenza
ai professionisti e il pubblico mostrò di apprezzare
generi spettacolari non propriamente classificati come
'teatrali'.(55)
3. L'apertura in via Castellata di una Arena d'aspetto
dimesso e provvisorio avvenne nell'estate del 1809 senza
difficoltà, quella dell'Arena del Sole, in pietra
e quindi stabile, fu l'anno seguente ostacolata in vario
modo, come si vedrà in seguito. Era presumibile
comunque che due teatri diurni, che non rientravano
per altro tra le tipologie previste dal Regolamento,
si sarebbero ostacolati a vicenda e in proposito il
nuovo Prefetto, barone Querini Stampalia, chiese lumi
a Milano al suo predecessore Mosca. Poi fu la volta
del teatro San Gabriele aperto nel 1811 come modesto
locale per marionette il cui proprietario però
aveva sperato che fosse equiparato ai teatri pubblici.
Ma il Regolamento non menzionava teatri pubblici per
marionette e il passaggio di categoria gli venne negato.
Non essendo stato accontentato, egli prese a tempestare
gli uffici competenti con una raffica di petizioni e
minacce di ricorsi, continuando imperterrito a fare
quel che gli pareva, forte del fatto che il suo locale
era particolarmente gradito alla truppa.
Ma anche una corretta applicazione del Regolamento poteva
dare risultati paradossali. In previsione del carnevale
1813-1814, ad esempio, sia il teatro San Gabriele sia
il Marsigli presentarono richiesta d'apertura, unitamente
ai contratti già stipulati. Le domande però
vennero inoltrate lo stesso giorno, per il medesimo
tipo di spettacolo ("drammi e tragedie"),
per cui fu necessario, in applicazione degli articoli
5 e 7 del Regolamento, uno scambio di consultazioni
tra la Direzione degli Spettacoli (che propendeva per
avvantaggiare il Marsigli) e il Prefetto il quale infine
concesse al San Gabriele l'apertura dal 25 dicembre
al 24 gennaio successivo e al Marsigli dal 25 gennaio
alla fine del carnevale. Mentre la decisione doveva
essere ancora partorita, Angelo Marsigli, proprietario
dell'omonimo teatro, minacciò di citare le autorità
per danni se, per un intoppo burocratico, la scrittura
fosse andata in fumo. E quando la risposta prefettizia
giunse, fu il Coralli ad impuntarsi perché aveva
un numero di protocollo più basso e gli sarebbe
spettato il trattamento migliore. Deus ex machina arrivò
il Murat con qualche migliaio di soldati al seguito
e, in via eccezionale, tutti i teatri rimasero aperti
contemporaneamente. Ormai rimediare una licenza attraverso
le maglie del Regolamento era diventata una prova di
pazienza e abilità, soprattutto durante il periodo
in cui si avvicendarono un Governo Provvisorio Austriaco
e una Commissione Governativa delle tre Legazioni in
cerca di consensi.
Nell'autunno del '14 era stata portata a termine la
fabbrica del teatro Contavalli ma se si voleva inaugurarlo
(oltre tutto con un dramma serio con ballo) sarebbe
stato necessario chiudere almeno uno degli altri teatri
in funzione e si optò per sacrificare il San
Gabriele rintuzzando alla meglio le consuete lamentele.
Il nuovo Contavalli era funzionale, elegante, meritevole
d'attenzione e il suo proprietario uomo benvoluto e
influente. Chiese, per ripagarsi almeno in parte delle
spese sostenute, che gli fosse concesso di dare due
veglioni per il veniente carnevale. Senza troppo pensarci
su, le autorità gli concessero due veglioni,
del giovedì grasso e del martedì ultimo
di carnevale, fino ad allora appannaggio del teatro
del Corso, che fece valere i suoi diritti, ragion per
cui si giunse al compromesso di assegnare, per quell'anno,
un veglione per ciascuno ai due contendenti.
Il passaggio di Bologna al Governo Pontificio ebbe come
prima conseguenza la chiusura definitiva del teatro
San Gabriele e quella temporanea del teatro Contavalli
il cui proprietario fu costretto a recarsi a Roma per
far valere i suoi diritti e, in seguito, a rinunciare
a due ambienti posti al pianterreno del suo edificio
e ad una parte del portico. In secondo luogo venne elaborato
un nuovo Elenco degli aventi diritto all'ingresso gratuito
nei teatri,(56) in terzo luogo il
calendario delle manifestazioni venne ridotto in ossequio
alle festività religiose. Si ventilò anche
di abolire il Regolamento del 1806 ma non se ne fece
nulla. Mutò invece formalmente l'iter burocratico
che dovevano fare le domande per ottenere delle licenze,
rivolte ora per via gerarchica "all'Eminenza Reverendissima"
del cardinal Legato, ed assunse sempre maggior peso
il parere ampiamente discrezionale della Direzione degli
Spettacoli che divenne determinante in alcune occasioni,
come dimostra la contesa insorta nel '19 a proposito
di una messa in scena della Gazza Ladra di Rossini.
L'impresario del teatro Contavalli l'aveva posta in
programma per la stagione estiva, dopo averne fatto
regolare richiesta; si scoperse però che il medesimo
spartito figurava anche nella programmazione autunnale
del teatro del Corso. In base al Regolamento non ci
sarebbe stato niente da eccepire, poiché si trattava
di stagioni differenti, ed erano tempi quelli in cui
le opere rossiniane andavano a ruba. Ma la Direzione
sopra gli Spettacoli volle egualmente esprimere il proprio
parere, sfavorevole al Contavalli, favorevole al Corso,
dichiarando che quest'ultimo teatro avrebbe garantito
"virtuosi di fama e di reputazione stabilita".
A nulla valsero le proteste di Antonio Contavalli e
del suo impresario che opponevano il numero del protocollo,
il contratto firmato, un allestimento già in
atto, allegando persino una dichiarazione del negoziante
di musica Francesco Zappi che attestava l'avvenuta consegna
delle parti ai cantanti: il 28 giugno al teatro Contavalli
fu ingiunto di sospendere tutto e cambiare programma.
Fino ad allora spesso in aperta concorrenza, i due teatri
Contavalli e del Corso si sarebbero trovati ben presto
alleati contro un nemico comune.
4. In tutti questi anni il teatro Comunale, sempre condizionato
nelle scelte dall'entità della 'dote' che il
Municipio doveva assegnare agli impresari, aveva alternato
qualche stagione di buon livello, come quelle del 1808,
1809 e 1817, con altre di pura routine.(57)
Per ovviare a una situazione di perdurante incertezza
ed endemica carenza di fondi pubblici, si pensò
(ma non era la prima volta) a una forma alternativa
di finanziamento, da parte di una società privata
senza fini di lucro che ne assumesse la gestione.(58)
Temporaneamente il progetto dovette essere accantonato
a causa degli urgenti restauri che la sala del Bibiena
richiedeva, per pagare i quali vennero tassati albergatori,
gestori di trattorie, osti, caffettieri, fabbricanti
di liquori.
Per un biennio, tanto quanto durarono i lavori, il ruolo
di primo teatro della città spettò al
teatro del Corso il cui attuale impresario, Carlo Redi,
riuscì anche ad ottenere un pubblico finanziamento
per mettere in scena le tanto ambite e attese opere
serie in musica con balli.(59) A titolo
personale però il Redi face pervenire alla Direzione
sopra gli Spettacoli un allettante Progetto (in data
2 marzo 1819) in cui proponeva se stesso come prossimo
impresario del teatro Comunale, assicurando l'allestimento
di una serie di spettacoli musicali veramente grandiosi.
Chiedeva come contropartita o un sostanziale aumento
della 'dote' oppure la libertà di scelta sia
della stagione in cui mettere in scena l'opera seria
con ballo attuando una rigorosa applicazione dell'art.
6 del Regolamento (ovvero di quella che con linguaggio
tecnico si diceva 'privativa'), sia dei giorni in cui
tenere i veglioni di carnevale. Il Municipio optò
per la seconda soluzione e senza badare alle conseguenze
la pose nel contratto quinquennale con cui si assicurò
i servigi del Redi.
Il teatro Comunale, rinnovato ed abbellito, riprese
l'attività artistica nella primavera del 1820
con due grandiose messe in scena d'opera seria (Semiramide
riconosciuta di Meyerbeer e Aureliano in Palmira di
Rossini), unite ai balli Il noce di Benevento e La vestale.(60)
Agli altri teatri, del Corso, Contavalli e Marsigli,
fu ingiunto di rimanere chiusi durante le giornate corrispondenti
a tutte le repliche previste al Comunale, ma i rispettivi
proprietari insorsero e fecero sentire le loro ragioni
a Roma.
La supplica inoltrata nell'aprile del 1821 al Pontefice
poggiava su una questione di principio (il libero godimento
della proprietà) ma conteneva altre valide argomentazioni:
se il Municipio, ad esempio, col diritto della 'privativa',
intendeva risparmiare sulla 'dote' da assegnare al proprio
teatro, andava chiarito che Marsigli, Badini, Contavalli
contribuivano non poco a formare quella 'dote' pagando
le tasse; se poi si parlava di vantaggio per la cittadinanza,
ben si sapeva che sarebbe stato un vantaggio limitato
"alle classi doviziose"; se infine si appellava
al Regolamento emanato dal passato regime, i proprietari
dei teatri avevano a loro volta ragione a rivendicare
l'osservanza dei contratti con quel medesimo regime
stipulati.
Quest'ultimo punto stava particolarmente a cuore al
Badini che accusava l'amministrazione municipale di
averlo privato del diritto di tenere nel suo teatro
i due veglioni che gli erano stati concessi fin dal
1802 nel documento di approvazione del suo Progetto.(62)
La Segreteria di Stato incaricò il Legato di
Bologna di fare indagini, questi si rivolse proprio
alla Direzione sopra gli Spettacoli per avere chiarimenti,
e il 22 giugno la Direzione espresse il proprio parere
osservando "come a mal proposito siano state promosse
le rimostranze dei prefati Ricorrenti", e minimizzando
sul danno materiale da essi subito. Consapevole tuttavia
di non essere dalla parte della ragione, la stessa Direzione
ordinò, a scopo intimidatorio, una ispezione
tecnica dei tre riottosi teatri. Il venerando Marsigli
fu dichiarato pressoché inagibile, sul Contavalli,
di recente costruzione, ci fu poco da eccepire, del
Corso, malgrado una malevola relazione, furono messi
in evidenza solo piccoli malanni dovuti all'incuria
e all'usura.(63)
Il Badini durante l'estate fece ridipingere il suo locale,
ma subito appresso decise di avviare una battaglia legale
in grande stile per ottenere nei confronti del suo teatro
l'abolizione della 'privativa' che, a parte i danni
derivanti dai giorni di forzata chiusura e dalla mancanza
dei veglioni, provocava gravi difficoltà nella
stesura dei contratti. Rimasto poi solo a condurre le
rivendicazioni, poiché nel frattempo Angelo Marsigli
aveva deciso di chiudere il suo teatro e il dottor Contavalli
era morto improvvisamente nell'aprile del '23 lasciando
disorientati gli eredi,(64) Badini
ritenne opportuno recarsi a Roma per seguire personalmente
le pratiche del ricorso.
Nel luglio del 1823 infatti il cardinal Consalvi, a
capo della Segreteria di Stato, scriveva al Legato di
Bologna: "Il sig. Giuseppe Badini, che da diversi
mesi si trattiene in questa Capitale con non lieve suo
scapito, torna ad insistere per la decisione della nota
istanza". Osservava che comunque "non è
giusto che altri danni si aggiungano al Badini coll'obbligarlo
ad una assenza più lunga dalla sua famiglia",
e rispediva tutto l'incartamento alla volta di Bologna
invocando l'intermediazione dell'arcivescovo Opizzoni
perché la vertenza fosse composta al più
presto, senza scandalo e secondo giustizia.
Alla questione di principio in attesa di una soluzione,
si era aggiunta la vertenza relativa ai veglioni e il
Badini decise nel 1824 di riappropriarsi di quelli che
gli spettavano. Stante il diniego dell'impresario Redi,
ricorse immediatamente al tribunale civile che gli diede
ragione con una sentenza esemplare, emessa con procedura
d'urgenza l'11 febbraio e pubblicata il giorno 23 in
base alla quale da subito il Badini doveva essere reintegrato
nel suo diritto di dare i veglioni che gli competevano,
pena il risarcimento dei mancati introiti. Al Municipio
fu inutile un ricorso in appello poiché anche
la seconda volta perdette la causa.(65)
Ma essendo nel frattempo scaduto il contratto con il
Redi, si trovò anche la 'magica' formula giuridica
invalidante la 'privativa': essa era semplicemente inapplicabile
al teatro del Corso in quanto costruito anteriormente
all'entrata in vigore del Regolamento del 1806 e in
base ad "accordi governativi che non prevedono,
in quanto tali, eccezione alcuna".
5. Nel 1826 al Municipio non restava che pagare, presto
o tardi, il risarcimento dei danni materiali e morali
arrecati al Badini, nel cui conteggio complessivo venivano
ad assommarsi quelli subiti per mancati guadagni dal
1820 al 1825 con gli interessi gravanti sul denaro preso
a prestito per evitare l'ipoteca sul teatro, fino raggiungere
la cifra di 6.041 scudi romani. Il Badini tuttavia,
poco fiducioso di ottenere tutto e subito, pareva intenzionato
a vendere la sua proprietà, e in tal senso aveva
già interpellato i 40 palchettisti e formulato
una richiesta ammontante a 18 mila scudi da pagarsi
in tre rate fruttifere entro il 1829. Ma la proposta,
messa a partito in Consiglio Comunale, venne respinta
"con voti contrari dodici e undici favorevoli".
In seguito la medesima proposta (10 febbraio 1827),
formulata in altri termini, venne rilanciata: l'acquisto
non si sarebbe limitato al solo teatro ma avrebbe interessato
le così dette "adiacenze" collegate
al corpo centrale della fabbrica da una serie di servitù
(la bottega del caffè, il negozio di musica della
ditta Cipriani, l'abitazione privata del Badini e altri
quattro appartamenti), per un ammontare di 26 mila scudi
calcolati in base alla stima fatta dall'ingegner Tubertini
sullo stato dell'immobile e sulla rendita delle affittanze.(66)
A questo punto avvenne il colpo di scena. Mentre i Consiglieri
si mostravano ben disposti a portare a termine la faccenda
e già pensavano di usare in futuro il provento
degli affitti per coprire la 'dote' del teatro Comunale
e, in prospettiva, quella del teatro del Corso, il Legato
card. Albani, che in un primo tempo si era mostrato
favorevole, espresse parere negativo affermando che
i beni immobiliari erano ottimi investimenti per i privati
ma non per un'azienda pubblica che non aveva altri fondi
da investire se non i proventi delle imposte, e che
i contribuenti non desideravano vedere il loro denaro
trasformato in teatri.
Nella seduta del Consiglio dei Savi del 5 dicembre 1828,
invece di discutere di compravendite, si cercò
dunque di studiare il modo per procrastinare il risarcimento
dei danni al Badini. Alla morte del quale, avvenuta
nel 1832, il figlio Gaetano si trovò infatti
ad ereditare un patrimonio tuttora oberato dai debiti
e dovette ricorrere ancora una volta a vie legali per
ottenere quanto gli spettava..
Salva la vertenza relativa ai veglioni, che fu di pubblico
dominio, tutto il resto, suppliche e ricorsi, azioni
legali e trattative, venne condotto con la massima discrezione
onde evitare scandali, e rimase pertanto sepolto negli
archivi. Tra il teatro Comunale e quello del Corso non
ci fu comunque più concorrenza poiché
il primo si assunse il compito di allestire esclusivamente
spettacoli musicali e il secondo, pur libero di dare
qualche stagione d'opera, puntò tutto sul teatro
recitato.
Nel frattempo il nuovo Legato card. Bernetti ritenne
opportuno porre un freno ad una attività teatrale
fattasi troppo vivace cominciando col limitare i tempi
d'apertura delle arene. Fu emanata poi una Notificazione
per disciplinare il comportamento degli spettatori,
compilata una Tabella che fissava il contributo che
ciascun teatro pubblico era tenuto a versare agli istituti
benefici cittadini, e un'altra che stabiliva un limite
numerico per i teatri pubblici compresi quelli per marionette.
Vennero infine impartite le Istruzioni pei Signori Ispettori
ai Pubblici Spettacoli (67) che ulteriormente
rafforzavano le competenze della Direzione sopra gli
Spettacoli, che ora prendeva l'appellativo di "Nobile"
e i cui membri dovevano far parte del Consiglio dei
Savi. E fu ancora una volta questo organismo ad ostacolare
la nascita di nuovi teatri come quello costruito da
Antonio Brunetti in uno stabile di via Cartoleria Vecchia.
Invero nell'ex Collegio dei Nobili di via Cartoleria,
intitolato a S. Francesco Saverio, fin dai primi del
'700 esisteva un elegante teatrino,(68)
rimasto in funzione ad uso dei dilettanti anche dopo
la chiusura del Collegio e il passaggio al Demanio di
tutti i beni appartenuti ai Barnabiti. In seguito lo
stabile era stato frazionato in più appartamenti
e fatto oggetto di vari passaggi di proprietà,
senza che il teatrino fosse smantellato. Malandato ma
ancora praticabile lo trovò nel 1822 l'ultimo
acquirente, il sig. Brunetti appunto, che pensò
di trarre un qualche vantaggio. E dal momento che in
quegli anni erano in voga gli spettacoli di marionette,
a marionettisti lo offerse in affitto e al loro seguito
si fecero avanti i soliti dilettanti sempre in cerca
di spazi ove esercitarsi.(69)
Il Brunetti, che era ingegnere, tentò di compiere
un salto di qualità, ampliando e ristrutturando
radicalmente il locale per metterlo in condizione d'essere
dichiarato 'venale', con facoltà di imporre il
pagamento di un biglietto di ingresso per assistere
ai suoi spettacoli.
I lavori avviati nella primavera del 1830 si protrassero
fino alla fine dell'anno e il loro ammontare superò
di gran lunga il contante a disposizione (per il finanziamento,
come di consueto, era stata costituita una Società
di Caratanti), ma il risultato fu assai gradevole e
lo spettacolo inaugurale trovò spazio tra la
cronaca teatral-mondana cittadina.
Dopo aver lodato l'abilità del nuovo gruppo di dilettanti e il loro repertorio, l'estensore dell'articolo concludeva: "Ma più di tutto sia lode ed onore al sig. Brunetti che ha donato alla patria un novello ornamento. Egli si è acquistato a buon diritto la riconoscenza dei suoi concittadini, che veramente è dovuta a chi coll'ingegno e le sue facoltà apre il campo a nobili esercitazioni ed utili trattenimenti".
6. Purtroppo Antonio Brunetti aveva scelto un momento
poco opportuno per tentare l'avventura del proprietario
di teatro. È vero che il Legato Bernetti nel
febbraio del 1831era stato costretto a lasciare la città,
ma restava al presente un vuoto di potere paralizzante.
Brunetti comunque, forte dei buoni giudizi riportati
e della qualità delle finiture di cui aveva dotato
il locale, chiese "grazia di esercitare il teatro
ad uso di Comici, e Musici, col pagamento del biglietto"
e che fosse effettuato un sopralluogo da parte del tecnico
del Comune e di un membro della Nobile Direzione sopra
gli Spettacoli, considerando ciò una premessa
necessaria per ottenere la qualifica di teatro pubblico.
Ma la Nobile Direzione non ne volle sapere e, dopo aver
osservato che la posizione del locale era infelice,
dichiarò che i teatri pubblici bolognesi erano
già in numero sufficiente.
Ricominciarono così le recite dei dilettanti,
di solito ben recensite dalla stampa cittadina e ciò
forse infuse coraggio al Brunetti che nel luglio del
'32 chiese quanto meno di poter dare nella corrente
stagione una serie di "rappresentazioni di opere
buffe a pagamento". Spuntò un temporaneo
assenso ma solo perché contemporaneamente mancavano
spettacoli musicali e del resto la concessione fu limitata
a due giorni d'apertura la settimana.
Negli anni seguenti riprese l'alternanza tra marionettisti
(i quali, previa domanda, ottenevano di volta in volta
un permesso temporaneo di dare spettacoli a pagamento)
e dilettanti (che si esibivano gratis), fino al 1846
quando fu possibile aggirare l'ostacolo. Secondo una
recente disposizione i teatri abilitati a dare spettacoli
di marionette a pagamento infatti erano tre: il Nosadella,
il S. Gregorio e il teatro Antico Corso delle Maschere
in via Mascarella. Dal momento che quest'ultimo, aperto
nel 1831, aveva definitivamente chiuso i battenti, il
Brunetti ottenne di prenderne il posto. Non era una
vera escalation ma sempre meglio che niente, tanto più
che gli spettacoli marionettistici si erano evoluti,
sia mettendo in scena le così dette "marionette
in persona" e le "narcisate", sia eseguendo
operine in musica create apposta, come quelle scritte
ed interpretate dall'estroso Paolo Diamanti, il cui
Simone burlato (71) riscosse al Brunetti
nel 1846 grande successo a livello popolare ma suscitò
anche delle proteste, tradotte infine in una denuncia
partita dal vicino teatro del Corso (ma qualche parte
la dovette avere anche il teatrino di via Nosadella):
"Sembra che abusivamente il proprietario del teatro
di San Xaverio si permette di esercitarlo venalmente
e non con le sole marionette, per lo che si consiglia
la Nobile Direzione a richiamare il proprietario del
suddetto alla stretta osservanza delle norme legatizie".
Non risulta che vennero presi seri provvedimenti al
riguardo, ma è certo che il livello degli spettacoli
proposti da questo teatro scadde progressivamente col
passare degli anni: stando ai giornali si potevano vedere
recitare "compagnie comiche di terza classe",
e danzare sgraziati balli "affidati a povere giovinette
della nostra città espressamente da zelanti maestre
istruite". Anche la bella sala nella quale erano
stati investiti capitali ed energie deperiva di anno
in anno.
Dapprincipio parve una magra eredità quando,
alla morte di Antonio Brunetti, la gestione passò
alla vedova Anna Tinti, che nel 1855 supplicava inutilmente
"di far agire il teatro a pagamento" per sostentare
la famiglia. In soccorso le venne il nipote Emilio,
che aveva una autentica passione per il teatro e di
spettacoli se ne intendeva. In attesa di tempi migliori
dunque, cominciò ad organizzare audizioni musicali,
portando alla ribalta giovani promettenti e facendosi
apprezzare tra i competenti.
L'andamento della guerra tra franco-piemontesi ed austriaci
risultò infine determinante per il destino del
teatro Brunetti poiché nel 1859 la Giunta Provvisoria
di Governo concesse finalmente il passaggio a teatro
pubblico e il permesso di rappresentare ancora qualche
opera (la Gemma di Vergy di Donizetti e Il Trovatore
verdiano nel 1860), prima di avviare necessari lavori
di restauro, che durarono un paio d'anni ma che ebbero
come risultato il Teatro Nuovo Brunetti, un "teatro-arena"
(grazie al lucernario mobile di copertura) unico nel
suo genere, dotato di impianto di riscaldamento a termosifoni,
di impianto di illuminazione a gas e di altre tecnologie
avanzate, "fornito di due ampie gallerie sostenute
da svelte colonnette in ferro fuso, cui sopraggira un
vasto loggione con sì ben studiate proporzioni
che da ogni punto gli spettatori veder possono intero
il palcoscenico e quasi l'intera platea".(72)
Naturalmente il Regolamento del 1806 nel frattempo era
stato abolito.
NOTE:
49 Cfr. ANGELO VARNI, Bologna
napoleonica cit., pp. 264-266. Restando in tema
teatrale, si ricorda il dettagliato Elenco delle
rappresentazioni permesse ed escluse (e successive Appendici),
sorta di vademecum per la censura del tempo, predisposto
per volere di Francesco Mosca dalla Direzione Generale
di Polizia nel 1810 e trasmesso a tutte le Prefetture.
50 Cfr. Articoli costitutivi la Direzione sopra i Teatri. Apprendiamo dal Guidicini (Diario cit., III, p. 10) che in data 18 ottobre 1802 "Il cittadino ex senatore Aldrovandi è nominato direttore degli Spettacoli di Bologna". Della medesima commissione risultano far parte inizialmente otto membri (Pietro Bacchelli, Massimiliano Gini, Cesare Lambertini, Vincenzo Martinelli, Giacomo Rossi, Angelo Venturoli, Calisto e Davide Zanotti), presto ridotti a cinque. Nel 1804 al dimissionario Carlo Filippo Aldrovandi si sostituì, in qualità di Presidente, Cesare Lambertini che rimase in carica per tre lustri; la carica venne poi ricoperta da Astorre Ercolani e infine da Pietro Conti Castelli. L'attività di questa commissione era intensa, seppur piacevole: i suoi membri dovevano a turno presenziare alle prove generali di tutti gli spettacoli di un certo rilievo, assistere a tutte le rappresentazioni, repliche comprese, esprimere pareri, fornire chiarimenti, ecc.
51 ASBo, Archivio Prefettura di Bologna. Atti generali, tit. XXVI, rub. 1, 26 aprile 1806: Dettaglio dei Teatri di Bologna. Nel Prospetto riguardante i teatri pubblici bolognesi si trova inserito anche quello di Imola, distrutto da un incendio nel 1797, provvisoriamente sistemato in una sala del palazzo Comunale in attesa di essere ricostruito sull'area della ex chiesa di S. Francesco. È probabile che nel medesimo contesto venissero fatte indagini anche sui teatri delle Viceprefetture limitrofe poiché tra gli incartamenti si trovano dati riguardanti i teatri di Cento.
52 In data 5 novembre 1806 la Direzione sopra gli Spettacoli faceva pervenire al Prefetto un Dettagliato resoconto del fallimento dell'impresa Marchesi da cui si apprende tra l'altro che l'impresario, resosi irreperibile, sarebbe stato giudicato dal "tribunale competente".
53 Cfr. Regolamento teatrale per la Comune di Bologna, Bologna, Stamperia Sassi, 15 novembre 1806. Contestualmente al Regolamento venne fissato l'organico delle truppe di vigilanza ai teatri (al Comunale 15 soldati, un caporale, un sergente, un ufficiale; al Corso 12 soldati, un caporale, un sergente, un ufficiale; al Marsigli 9 soldati, un caporale e un ufficiale). Da notare che il servizio di vigilanza era obbligatorio ma non gratuito e gravava sui proprietari o sui gestori dei teatri.
54 Cfr. Tabella delle ore prefisse per l'incominciamento degli Spettacoli Notturni. Gli orari variavano a seconda della stagione (Inverno, Primavera-Autunno, Estate) e del tipo di spettacolo (Opera sera con ballo grande, Opera seria con ballo di mezzo carattere, Opera seria senza ballo, Opera buffa con ballo, Opera buffa senza ballo, Commedia). Tassativamente i teatri dovevano chiudere un'ora dopo la fine degli spettacoli. Vennero emanate disposizioni sull'illuminazione delle sale e sul comportamento da tenere sia da parte del pubblico (moderazione negli applausi), sia da parte degli attori (possibilità di presentarsi una sola volta in scena a ringraziare indipendentemente dalla quantità dei consensi). Successive disposizioni transitorie si ebbero anche sull'uso della maschera durante i veglioni di carnevale, mentre nell'aprile 1809 veniva fatto divieto di introdurre cani in teatro, specificando che "Il Portinaro e la Maschera della Porta ne sono responsabili e si procederà contro i trasgressori con misure di Polizia". Arrivò infine il famigerato Elenco ovvero Ordine per l'essenzioni dal pagamento all'ingresso dei teatri, croce e delizia per tutti proprietari dei teatri, che raggruppava gli aventi diritto all'ingresso gratuito per uffici o enti di appartenenza: per la prefettura (il Prefetto, il Segretario generale, il Capoportone di Prefettura, "nelle sole sere di pubbliche funzioni"); per la municipalità (il Podestà, i Savi, il Segretario e il Primo portiere, "solo nelle sere di pubbliche funzioni"), per la polizia (il Capo di polizia, un commissario, un'ordinanza di polizia e due biglietti per "confidenti", per ciascun teatro); per la Direzione dei teatri (i Direttori, il loro Segretario, un medico e un chirurgo); per il Comando militare (il Generale comandante e i suoi aiutanti, il Comandate di piazza e l'Aiutante maggiore); per la Gendarmeria (il Capitano comandante, più due biglietti per ciascun teatro a disposizione dei graduati); per la Guardia nazionale (il Comandante, due Aiutanti, il Capo battaglione di turno, e l'Ufficiale d'ispezione).
55 Rientravano tra gli spettacoli "teatrali" quelli dati da impresari e capocomici, erano invece considerati "divertimenti" quelli offerti da altre categorie di animatori suddivisi convenzionalmente in "saltimbanchi", "ciarlatani" (tra questi ultimi erano compresi anche i marionettisti), "saltatori", per i quali era sufficiente fare richiesta di sosta temporanea (la durata dipendeva dal gradimento mostrato dal pubblico) e di dare spettacoli a pagamento.
56 Un'Ordinanza legatizia dell'aprile 1817, tendente a ripristinare "l'antica consuetudine", stabilì che ogni teatro pubblico dovesse concedere 3 palchi alle autorità: per il Legato, per la Direzione sopra gli Spettacoli, per il Comando di Polizia. Dopo una vivace trattativa si concordò che un quarto palco, per il Comandante di Piazza, venisse pagato dal Municipio. Ma non era tanto il numero dei palchi 'riservati' ad apparire gravoso quanto il numero delle persone aventi diritto all'ingresso gratis (la "Famiglia" del Legato contava 16 persone, quella dell'Arcivescovo ben 25). Si aggiunse anche un nuovo balzello con l'obbligo di versare il ricavato di una serata alla Casa di Ricovero. Per quanto riguarda il calendario degli spettacoli, oltre al tassativo rispetto del riposo settimanale del venerdì, si impose particolare cautela per l'Avvento e per la Quaresima (solo Oratori o Drammi sacri). Quando però nel 1825, anno giubilare, si prospettò la chiusura di tutti i teatri, dopo una breve trattativa, ci si limitò a raccomandare "particolare sorveglianza sulla moralità e decenza degli spettacoli".
57 Notevole rilievo ebbe, ad esempio, la stagione estiva del 1809 in cui venne dato un Trajano in Dacia (con musica del Niccolini) e la Artemisia di Cimarosa, interpretati dal tenore Nicola Tacchinardi (vedi X.47.46), dal sopranista G.B. Velluti (vedi X.47.48 e XI.48.188) e da una splendida Isabella Colbran, aggregata fin dal 1807 all'Accademia Filarmonica, che fu oggetto di innumerevoli festeggiamenti (vedi X.47.47 e XI.48.189-191).
58 Cfr. Progetto per due spettacoli in musica con ballo in Bologna, il primo a carnevale dall'anno 1818 al 1819, il secondo a primavera dell'anno 1819 suddetto (vedi IV.14.28) Analoghe iniziative si erano avute già molti anni addietro con la costituzione di "Associazioni di Caratanti", nel 1770, nel 1780 e nel 1786, quando si progettò una pianificazione dell'attività dei tre teatri pubblici cittadini (Comunale, Zagnoni, Marsigli), di durata decennale; più di recente, nel 1817, una "società di nobili e ricchi signori" aveva finanziato un eccellente allestimento del dramma serio La morte di Mitridate unitamente al ballo eroico Gutemberga (vedi IV.14.27).
59 Il biennio 1818-1819 fu contrassegnato al teatro del Corso da una serie di eventi artistici eccezionali. Si cominciò a carnevale del 1818 con l'esecuzione del Don Giovanni "dramma semiserio" di Mozart mai sentito a Bologna (vedi VI.19.44), seguito dal Matrimonio segreto di Cimarosa. A giugno Niccolò Paganini, ormai all'apice della carriera, diede due affollatissime accademie e in estate andò in scena il Ciro in Babilonia di Rossini. Nel 1819 si segnalarono a carnevale le recite della compagnia Bazzi (vedi X.47.90-92), a primavera l'opera seria I baccanali di Roma (vedi VI.19.55) con ballo eroico (Buondelmonte), seguita da due nuovi spartiti: La principessa di Navarra del bolognese Giovanni Tadolini e Blondello ossia Riccardo Cuor di Leone di Felice Radicati (vedi VI.19.56).
60 Cfr. Semiramide riconosciuta. Dramma per musica da rappresentarsi nel gran teatro della Comune di Bologna la primavera dell'anno 1820, Bologna, Stampe del Sassi, s.a. (vedi CMBM, libr. 3142; vedi inoltre IV.14.30) e Aureliano in Palmira. Dramma serio da rappresentarsi nel gran Teatro della Comune di Bologna la primavera dell'anno 1820, Bologna, Sassi, s.a. (vedi CMBM, libr. 4671). Il contratto con Carlo Redi (al quale vennero assegnati 6.300 scudi in 'dote') prevedeva due opere serie a primavera che furono appunto la Semiramide riconosciuta musicata dal Meyerbeer, unita al ballo eroico La Vestale e in subordine L'Aureliano in Palmira di Rossini col ballo allegorico Il noce di Benevento. Gli interpreti, Claudio Bonoldi e Carolina Bassi (vedi sonetto in X.47.102) furono giudicati validi, soddisfacenti le coreografie e la prima danzatrice Antonia Pallerini (vedi IV.14.33), e piacque assai il nuovo sipario (vedi IV.14.33). Le due esecuzioni ebbero vasta eco e suscitarono polemiche tra i cultori del melodramma che si trovarono divisi tra 'romantici', ammiratori del 'tedesco' Meyerbeer, e 'classicisti' sostenitori della musica di Rossini. Anche le stagioni seguenti quella del 1820 furono ricche di eventi musicali, basti pensare all'imponente allestimento del Mosè in Egitto di Rossini nella primavera del '22, in occasione del quale furono dispensati sonetti in lode sia dell'impresario Carlo Redi (vedi XI.48.111) che del macchinista Filippo Ferrari (vedi X.47.108). I rapporti tra il Municipio e il Redi si deteriorarono nel 1825 allorché quest'ultimo venne indagato per presunte speculazioni illecite sui proventi dei veglioni che egli aveva subappaltato.
61 ASBo, Archivio Legazione Apostolica. Atti generali, tit. XXVI, 1821, fasc. Proprietari de' teatri Marsigli, Badini e Contavalli. Contrastata privativa del teatro Comunale.
62 Nel contratto stipulato nel 1802 tra Badini e la Municipalità era stata contemplata la possibilità di assegnare due dei sei veglioni carnevaleschi, fino ad allora in appannaggio esclusivo del Comunale, all'erigendo teatro; la medesima facoltà era implicita nel Regolamento del 1806, senza che nell'un caso come nell'altro venissero fissate delle date. La consuetudine, fin dall'inizio, aveva visto assegnati al teatro del Corso i veglioni del giovedì grasso e del martedì ultimo di carnevale. Nel 1815, per accontentare la richiesta di Antonio Contavalli che intendeva avvantaggiare il suo nuovo teatro, il teatro del Corso fu costretto a rinunciare ad uno dei suoi due veglioni e altrettanto accadde l'anno seguente, questa volta a vantaggio del Comunale in difficoltà. Tutto poi parve tornare alla normalità (al Comunale i veglioni si tennero anche durate i restauri), fino a che, nella Quaresima del 1820, non entrò in vigore il contratto con l'impresario Carlo Redi che per prima cosa fece sapere di essere interessato proprio ai due veglioni, del giovedì grasso e dell'ultimo di carnevale. Ebbe così inizio un braccio di ferro che avrebbe dovuto finire nel 1824 quando la sentenza del tribunale diede ragione al teatro del Corso, che infatti si affrettò a stampare manifesti in proposito. Ma gli annunciati veglioni dovettero essere annullati perché il Municipio fece immediato ricorso alla sentenza. Il Giubileo del '25 privò ambo i teatri degli ambiti veglioni e solo con il 1826 le cose ripresero per il loro verso (vedi Avvisi in IX.43.7.1-6).
63 ASBo, Archivio Legazione Apostolica. Atti generali, tit. XXVI, a. 1821, vedi fascicolo intitolato Teatri del Corso, Marsigli e Contavalli: ripari in essi occorrenti. Nel Processo verbale della visita fatta al teatro Marsigli, redatto congiuntamente dall'ingegnere comunale Tubertini e dal macchinista Ferrari, dopo la constatazione del malagevole accesso, delle scale scricchiolanti, del pavimento della sala rabberciato, del palcoscenico angusto, della graticciata poco robusta, della carenza di locali per gli attrezzi, ecc., si può leggere come sintesi questa constatazione: "Tutto è pericolo, tutto ispira giusto timore". Angelo Marsigli, che ne era consapevole, non chiese la controperizia (come invece fece il Badini) ma, per sua fortuna, non fece in tempo a vedere la fine del suo teatro; l'erede, Raffaele Marsigli, si rifiutò di sborsare la somma necessaria per il restauro e lasciò che tutto andasse in malora. Ulteriore documentazione in proposito si conserva in ASBo, Archivio Marsigli. Strumenti e scritture, b. 315, anni 1820-22.
64 Anche in questo caso fu la morte improvvisa del dott. Contavalli, 15 aprile 1823, a provocare il tracollo del teatro. Lasciava erede la figlia minorenne, sotto tutela della madre, e il Redi ebbe facile gioco nel convincere le due donne ad affidargli l'impresa onde monopolizzare l'attività di due teatri vicini, ma l'espediente durò poco perché allo scadere del contratto col Comunale egli dovette accantonare le proprie ambizioni e il teatro Contavalli finì per essere rilevato da un gruppo di dilettanti che ormai vi erano di casa, gli accademici Concordi (cfr. ORESTE TREBBI, Il teatro Contavalli di Bologna. Cronaca riassuntiva. Seconda edizione corretta ed ampliata, "Strenna delle colonie scolastiche bolognesi", Bologna, Zanichelli, 1939, pp. 81-185).
65 Cfr. IX.46.20: Al Nome di Dio. Governo Pontificio nella causa vertente al secondo turno del Tribunale Civile residente in Bologna (a stampa in data 23 febbraio 1824).
66 Cfr. fascicolo intitolato Teatro Badini detto del Corso. Progetto d'acquisto per parte del Comune in ASBo, Archivio Legazione Apostolica. Atti generali, tit. XXVI, a. 1828.
67 Cfr. V.15.4 (Notificazione) e V.15.3 (Istruzioni pei Signori Cavalieri Ispettori ai Pubblici Spettacoli di Bologna, Bologna, Tipografia Sassi, 1830). Nell'agosto del 1831 venne stilata la Tabella indicante i diversi pecuniari contributi che derivare debbono alla Pia Azienda di Ricovero dall'esercizio dei pubblici spettacoli che fissava quanto ciascun teatro dovesse versare in base al tipo di spettacolo dato. Già in data 28 settembre 1829, il Legato cardinal Tommaso Bernetti "all'effetto che niuno possa allegare ignoranza delle disposizioni governative dirette al buon ordine e alla convivenza da osservarsi dalle persone che interverranno ai pubblici spettacoli", aveva ribadito i compiti della Direzione sopra gli Spettacoli, ridotto ai soli addetti ai lavori il libero accesso al palcoscenico, disposto che gli spettatori di platea dovessero restare seduti al loro posto dall'inizio alla fine, vietato le repliche di arie, i fischi, gli urli, il battere bastoni sul pavimento e il portare con sé pipe accese (vedi V.15.2). Le medesime disposizioni vennero confermate dal Pro Legato nella Notifica del 3 ottobre 1833.
68 Seguendo una pratica diffusa nelle istituzioni educative, anche nel Collegio dei Nobili di Bologna dalla fine del XVII secolo si tennero esecuzioni musicali e rappresentazioni (recite dei convittori per carnevale e accademie di fine anno) per le quali si utilizzava un'ampia sala che venne sistemata a teatro dal Torregiani nel 1714, fornita di palchi per gli ospiti di riguardo, balconata con ringhiera per i convittori e arcoscenico inquadrante il palco.
69 Tra le formazioni di dilettanti che usufruirono del teatro Brunetti ricordiamo i Filoleti diretti da Antonio Belloni, celebre attore che di recente aveva abbandonato le scene (vedi III.13.1), i Filodrammi diretti da Pietro Paradisi, una non meglio precisata Unione dei Dilettanti (vedi III.13.2) ed infine i Solerti.
70 Cfr. "Teatri, Arti e Letteratura", n. 358 del 27 febbraio 1831, pp. 170-171.
71 Cfr. Simone burlato o sia la sposa di legno. Operetta in due atti per musica da rappresentarsi nel teatro Brunetti la primavera del 1846, composta da Paolo Diamanti, Bologna, Tipografia Sassi, s.a. (vedi CMBM, libr. 1353).
72 Cfr. "L'Arpa",
XII, n. 27 del 18 febbraio 1865, p. 106. Per l'intera
vicenda si rimanda al saggio della scrivente: Il
teatro Brunetti di Bologna. Dai nobili convittori alla
divina Eleonora Duse, "Il Carrobbio",
XVI, 1990, pp. 88-95.
1. Quando nell'estate del 1803 l'aeronauta Francesco
Zambeccari annunciò d'essere pronto a tentare
la sua prima ascensione, venne costruita alla Montagnola
una 'arena' sufficientemente ampia per contenere sia
il globo da predisporre al volo sia il numeroso pubblico
(pagante) desideroso di assistere ai preparativi. La
partenza, fissata per il 4 settembre, fu invece differita,
la mongolfiera venne spostata "nella vuota chiesa
delle Acque, fuori Porta S. Mamolo", e dai "Prati
dell'Annunziata", dopo una lunga attesa ("in
causa di vari accidenti sopravvenuti e che non potevano
prevedersi"), si levò in cielo la sera del
5 ottobre .(73)
Per rifarsi dei mancati introiti e per sfruttare la
struttura già costruita, tra ottobre e novembre
in Montagnola si organizzarono con alterno successo
corse di cavalli con fantini, un "palio nei sacchi"
e una "caccia di tori" conclusasi con un gran
parapiglia, la fuoruscita del bestiame, il danneggiamento
del recinto e degli spalti e la fuga (per sottrarsi
all'arresto) dell'impresario Baroni, ritenuto responsabile
dell'accaduto. Subito si fecero avanti i cittadini Camillo
Nicoli, Carlo Salina, Giuseppe Dotti e Nicola Brighenti
che, riuniti in società, si offrirono di rilevare
la malconcia arena assicurandone il ripristino e promettendo
"di nulla trascurare per rendere brillanti gli
spettacoli stessi non meno che di pubblica soddisfazione".(74)
Ottennero l'assenso del Prefetto e della Municipalità,
diedero mano ai lavori di restauro e nella primavera
del 1804 cominciarono ad organizzare i consueti spettacoli.
Il più intraprendente dei quattro soci, il cittadino
Brighenti, venuto poi a conoscenza della pubblicazione
di un decreto della Consulta di Stato che indiceva solenni
festeggiamenti per il genetliaco di Napoleone, immaginò
di trasformare il rustico steccato in una "Arena
Anfiteatrale" entro cui realizzare una rievocazione
storico-allegorica e sottopose al vaglio delle autorità
il suo progetto. In sintesi, egli intendeva allestire
per il venturo 15 agosto una grandiosa azione pantomimica
ispirata all'episodio degli Orazi e dei Curiazi, quello
medesimo portato in auge nei maggiori teatri dalla tragedia
in musica di Cimarosa e dal ballo eroico di Gaetano
Gioia.
Il progetto del Brighenti non venne realizzato, ma ci
è giunto completo in tutte le sue parti: con
l'elenco dei personaggi e delle comparse necessari (quasi
duecento persone in costume), l'Argomento, il Programma
dettagliato della pantomima, contenente tra l'altro
indicazioni per l'esecuzione di sinfonie e inni, e la
descrizione della scenografia,(75)
corredata da due disegni, l'uno delicatamente acquerellato
raffigurante l'antiquario prospetto che doveva servire
da sfondo all'azione e l'altro a china sintetizzante
la pianta dell'arena con la distribuzione dei figuranti
e degli elementi decorativi previsti.
L'anno seguente Napoleone venne di persona a Bologna,
visitò la Montagnola, non prese in considerazione
l'arena e raccomandò invece che tutta l'area
venisse al più presto trasformata in un passeggio
alla moda. Il cittadino Brighenti tuttavia non accantonò
l'idea di costruire, presto o tardi, una Arena Anfiteatrale.
Fin dal 1801 era diventato proprietario di una parte
dell'ex complesso monastico delle Canonichesse Lateranensi
dette di S. Lorenzo, posta sull'incrocio tra le vie
Castiglione e Castellata. Dopo aver destinato la chiesa
conventuale ad uso commerciale (come deposito di legnami,
fabbrica di cere e quindi vetreria), pensò di
installare nella vasta parte ortiva retrostante qualcosa
di analogo a quell'anfiteatro che, con poca fortuna,
aveva tentato di mettere in piedi alla Montagnola.(76)
Non dovette incontrare ostacoli nella realizzazione
poiché in data 12 giugno 1809 ottenne il permesso
di aprire al pubblico una arena interamente costruita
in legname che pomposamente chiamò Anfiteatro
S. Lorenzo. Previa pubblicazione di un "Avviso
Particolare", esso venne inaugurato il giorno 11
luglio e gli spettacoli proseguirono fino ad ottobre
inoltrato. Sappiamo che nei primi tempi vi recitò
la società comica diretta da Luigi Ronzoni e
Francesco Menichelli e che in seguito subentrò
la compagnia Rossi che seralmente si esibiva al teatro
del Corso.(77) Nel frattempo però,
dalla parte opposta della città, erano stati
avviati i lavori per la costruzione di un'altra arena.
Anche la congregazione delle Domenicane di S. Maria
Maddalena era stata soppressa nel giugno 1798 e l'area
su cui era situato il monastero e che occupava un intero
isolato compreso tra le vie del Borgo di S. Giuseppe,
di Galliera, dei Falegnami, della Maddalena, venne suddivisa
in più lotti per essere alienata. Uno di essi,
consistente in gran parte del chiostro e un'ampia porzione
di prato, nel 1802 toccò a tal Pietro Bonini,
di professione "coramaro". Non è detto
che costui fin dall'inizio intendesse trasformare il
suo acquisto in luogo teatrale, certo la vicinanza con
i giardini pubblici, assai frequentati, fu determinante
nella decisione. Si ignora quando venne commissionato
il progetto (che non ci è giunto), quando cominciarono
i lavori o quanto durarono esattamente. Sta di fatto
che il 19 maggio 1810 Pietro Bonini indirizzava al Prefetto
del Dipartimento del Reno una lettera in cui dichiarava
di aver eretto a proprie spese una "arena atta
per l'esercizio delle Comiche rappresentazioni",
puntualizzando che si trattava "di una Fabbrica
in oggi del tutto nuova, ideata alla foggia delle Arene
degli Antichi, adorna di Gradinate e Ringhiere, costruita
tutta di buoni materiali in calce e mattoni", in
procinto di essere decorata "di Pitture eseguite
dai più valenti Pittori ed Artisti", per
la quale chiedeva l'apertura al pubblico.(78)
Fiducioso di ottenere subito la licenza, il Bonini aveva
già pronto un nome bene augurante (Arena del
Sole) da dare al suo locale, ma il permesso si fece
attendere più del previsto per le perplessità
espresse dalla Direzione degli Spettacoli e in seguito
a causa delle proteste del proprietario dell'Arena S.
Lorenzo che temeva che due strutture tra loro analoghe
si sarebbero fatte concorrenza. Dopo aver stabilito
che esse avrebbero agito a giorni alterni, il Prefetto
concesse il 3 luglio la sospirata licenza, giusto in
tempo perché il Bonini, mediante una Circolare
a stampa, avvertisse la cittadinanza dell'imminente
inaugurazione.(79)
L'attività dell'Arena del Sole dunque prese avvio
il 5 luglio 1810 con un lungo corso di recite della
compagnia diretta da Bortolo Zuccato, ma entro un mese
venne tolto il vincolo delle aperture alternate forse
perché tra le due arene, parimenti poco frequentate,
non si era registrata la temuta concorrenza, anzi, per
richiamare l'interesse del pubblico il Bonini pensò
di ricorrere ad una "riffa" (lotteria) abbinata
al numero del biglietto e il Brighenti di dare nel suo
locale dei veglioni a pagamento, ma si videro entrambi
negare il permesso.(80)
Dopo un'annata al di sotto delle aspettative, per l'estate
del 1811 i due proprietari si fecero più accorti:
all'Arena del Sole furono ingaggiate due delle compagnie
più popolari del momento, la Venier e la Bazzi,
seguite dalla Previtali, mentre all'Arena S. Lorenzo
si misero in scena un paio drammi giocosi, I due prigionieri
con musiche di Pucitta e Il finto sordo del Farinelli,
ottenendo, malgrado l'abborracciata compagnia di canto,
un insperato successo tale da spingere l'estensore de
"Il Redattore del Reno" ad una serie di considerazioni:
2. Le arene infine avevano raggiunto il loro obiettivo:
risparmiando sulle spese di illuminazione, di allestimento
e di ingaggio degli artisti, erano in grado di offrire
a prezzi quanto mai contenuti un onesto divertimento
a coloro (ed erano tanti) che fino ad allora non avevano
potuto accostarsi ai teatri, e di ricavarne un discreto
profitto.
Poi, mentre tutto procedeva al meglio, l'Arena S. Lorenzo,
facile esca per il fuoco, venne distrutta (7 luglio
1813) dall'incendio scoppiato nella vicina vetreria
impiantata all'interno dell'ex chiesa conventuale, lasciando
libero il campo all'Arena del Sole che in pochi anni
riuscì a conciliare il gradimento del pubblico,
gli interessi delle primarie compagnie e il proprio
tornaconto, come scriveva Gaetano Fiori (82)
sul suo periodico ("Insomma, bisogna convenire
che l'Arena del Sole di Bologna è uno Stabilimento
dei più graditi al pubblico bolognese e dei più
profittevoli ai Capi Comici"), complimentandosi
con il Bonini ("Sia ciò di lode al Proprietario
che seppe ideare un non solo gradito Stabilimento ma
anche di forte risorsa ai Comici, che il più
delle volte languiscono nei notturni teatri privi di
concorso"). Ma il monopolio delle recite estive
diurne non durò a lungo perché l'arena
di via Castiglione risorse dalle ceneri nel 1826, opportunamente
ribattezzata "Arena della Fenice". Non era
ancora completata quando venne inaugurata in tutta fretta
il 14 agosto, (83) giusto in tempo
per ospitare un corso di recite della compagnia Ciabetti
che dopo una magra stagione primaverile sperava di appianare
i debiti. Giuseppe Feoli, Giovanni Landi, Antonio Pacchierelli,
Luigi Zanetti furono gli acclamati interpreti di drammoni
popolari i cui titoli costituiscono da soli tutto un
programma. (84) Dopo un buon mese
di attività, l'Arena della Fenice chiuse per
portare a termine i lavori incompiuti. Durante l'inverno
venne costituita una società (85)
col compito di concludere il consolidamento delle strutture,
curare l'abbellimento del contesto che l'ospitava, gestirla
Trascurata affatto l'antica
rozza e angustissima costruzione, venne dall'opposta
parte in vaga e più ampia forma innalzata. La
sua posizione è dilettevolissima, per trovarsi
nella parte più salubre della città, per
aversi ad essa l'ingresso mediante i viali di un orto
che mettono al recinto della medesima, e per essere
lo stesso recinto circondato da verdura e da alberi
da frutta. L'Arena in questo anno si è poi dai
proprietari non solo abbellita e corredata da scenari
nuovi, camerini e di quanto altro può occorrere
al servigio di un teatro diurno, ma ben anche ampliata
con grandiose ali a gradinata erette al di là
della Ringhiera, così che trovasi in oggi capace
il locale stesso di contenere nel suo interno circa
due mila spettatori.(86)
La riapertura venne fissata al 16 aprile 1827 (non
a caso in concomitanza con quella dell'Arena del Sole)
con le esibizioni di due compagnie di ginnasti, di Marco
Averino e di Giovanni Bono, unite assieme. Grazie ad
un vantaggioso accordo pattuito con l'impresario del
teatro del Corso, seguirono poi le recite di alcune
compagnie di buon livello: la Romagnoli Bon, la Marchionni
e la Mascherpa.(87)
Parimenti piacevole e variata fu la programmazione stagionale
del 1828, avviata anticipatamente dai cavallerizzi di
Alessandro Guerra e proseguita con le recite della compagnia
Romagnoli-Bon e di quella diretta da Tommaso Zocchi.
Le piogge frequenti non consentirono di fare altrettanto
nell'estate del 1829 in cui si segnalano comunque recite
della compagnia Vedova e spettacoli circensi di Madame
Tournaire "direttrice del Circo Imperiale dell'Accademia
di Equitazione di Pietroburgo".(88)
Se poi il perdurante maltempo di una pessima annata
danneggiò sensibilmente l'arena, la scarsa propensione
del nuovo Legato card. Bernetti nei confronti degli
spettacoli, specie per quelli "popolari",
le inferse il colpo più duro intimandone la chiusura
(all'Arena del Sole venne concessa un'apertura limitata
a pochi giorni la settimana). Il provvedimento all'ultimo
momento venne sospeso ma all'Arena della Fenice fu consentito
di dare esclusivamente spettacoli equestri. Malgrado
ciò dopo la metà d'agosto del 1830 non
si hanno più notizie su quest'arena che scompare
per sempre dal novero dei teatri bolognesi.
3. Coerente con quanto aveva promesso il suo artefice
e proprietario Pietro Bonini ("Ideata alla foggia
delle Arene degli Antichi"), l'Arena del Sole si
presentava come una libera interpretazione degli anfiteatri
greco-romani. Priva di copertura centrale, aveva cavea
ellittica e sei file di gradoni, una 'orchestra' che
fungeva da platea ed un loggiato superiore con classicheggianti
decorazioni. Era però dotata di un ampio palcoscenico
attrezzato, con boccascena fisso, sipario e quinte laterali,
ottimo per le recite che rimasero sempre il punto di
forza della sua programmazione. L'arena bolognese dunque,
prototipo e modello per i tanti teatri diurni che presero
a sorgere in diverse città d'Italia, fu la più
longeva di tutte e la più amata, come testimonia
la ricchissima aneddotica ad essa legata.(89)
Al di là del suggestivo richiamo antiquario,
i teatri diurni ottocenteschi, detti comunemente 'arene',
dovevano rispondere a nuove esigenze che si erano venute
delineando, prima tra tutte quella di venire incontro
ad un pubblico composto da lavoratori dipendenti, che
faticavano tutto l'anno ma ritenevano loro diritto concedersi
di tanto in tanto il piacere di andare a teatro senza
che ciò incidesse sui pesanti ritmi lavorativi
o intaccasse i magri bilanci. A questa categoria di
potenziali spettatori l'Arena del Sole adattò
orari, prezzi e repertori.
In piena estate gli spettacoli cominciavano alle 17
e terminavano al tramonto, mentre per il pomeriggio
della domenica erano previste due recite consecutive,
tutte filate e senza intervalli, dalle 15 alle 19. Solo
in primavera e in autunno l'apertura veniva anticipata
alle 15 per ovvie ragioni di illuminazione. Un unico
limite a tanto attivismo proveniva dalle condizioni
meteorologiche che però influivano meno di quanto
ci si potrebbe immaginare: solo una pioggia battente
poco prima dell'inizio dello spettacolo poteva determinarne
la sospensione. In caso contrario il pubblico non mollava
e preferiva ripararsi sotto l'ombrello pur di non perdere
il denaro speso nell'acquisto del biglietto.
Il costo dei biglietti (di Ingresso, a Sedere, d'Orchestra,
di Ringhiera) era davvero molto contenuto (90)
e anche nel corso degli anni subì solo lievi
ritocchi. Non prevedeva posti numerati e chi prima arrivava
meglio stava. Con poca spesa comunque intere generazioni
di fedelissimi utenti ebbero la possibilità di
godere un po' di tutto: dai classici ai successi del
momento, dai drammi ispirati a fatti di cronaca alle
produzioni bolognesi,(91) senza dimenticare
le esibizioni dei circhi equestri con cui si aprivano
e chiudevano le stagioni.(92) In pratica,
nell'arco dei pochi mesi estivi veniva replicata su
quel palcoscenico gran parte delle produzioni date durante
l'inverno al teatro del Corso e al Contavalli, con riguardo
particolare per le azioni spettacolose dai titoli bizzarri
e per i drammi romanzeschi (tendenti al truculento,
a giudicare da certi titoli), patetici, storici, ecc.,
che i capocomici avevano l'accortezza di presentare
con toni da imbonitori, magnificando la ricchezza del
vestiario, la novità delle scene e tutte le meraviglie
che all'ingenuo spettatore sarebbe stato dato di vedere.(93)
Quando Antonio Tabanelli e Francesco Berti, già
soci del Brighenti nella direzione dell'Arena della
Fenice, assunsero la conduzione dell'Arena del Sole,
gli ostacoli frapposti dal card. Bernetti nei confronti
dei teatri diurni erano stati in pratica rimossi, l'insurrezione
dei primi mesi del '31 era rientrata, ma sussistevano
timori per l'ordine pubblico. Per ottenere disposizioni
chiare, durature e non penalizzanti, essi rivolsero
al Prolegato conte Alessandro Scarselli una lunga e
ben congegnata lettera, datata 21 aprile 1832, nella
quale sostenevano, tra l'altro, l'utilità sociale
e politica delle arene:
Certo il pubblico di riferimento dell'Arena del Sole
rimase sempre 'popolare' ma in senso lato. Ai "facchini",
"bule" (belle popolane dai facili costumi,
come chiosa Alessandro Cervellati), sigaraie e lavandaie,
che costituivano la parte più folcloristica dell'uditorio,
si andarono aggiungendo ampie fasce della borghesia,
studenti ed intellettuali, attratti dall'atmosfera informale,
essenziale, coinvolgente (e in questo senso 'popolare')
che caratterizzava le recite diurne, e incuriositi dalla
singolarità di quel pubblico socialmente così
eterogeneo, ma attento, partecipe.
Come si sa, nell'estate del '48 "toccò anche
a Bologna il battesimo delle Armi", per dirla con
il cronista Enrico Bottrigari: il giorno 8 agosto i
combattimenti si concentrarono nell'area della Montagnola,
a poca distanza dall'Arena che imperterrita fino all'ultimo
aveva dato spettacoli, e i ceti popolari si batterono
coraggiosamente. Il 28 agosto, esattamente a venti giorni
dall'episodio d'armi, la Compagnia Etrusca diretta da
Gaetano Rosa annunciava la messa in scena di un dramma
"popolare" steso di getto sull'onda dell'entusiasmo
da Agamennone Zappoli: La memoranda vittoria dell'8
Agosto alla Montagnola ovvero il trionfo del popolo
bolognese in cui i consueti spettatori dell'Arena poterono
vedere riprodotti sulla scena gli eventi ai quali avevano
assistito o partecipato. Prevedendo anzi l'effetto che
la rappresentazione avrebbe avuto sul pubblico, il manifesto
stampato per l'occasione raccomandava calma e moderazione.(94)
Negli anni seguenti gli spettacoli continuarono con
lo stesso ritmo incalzante (95) fino
alla chiusura forzata degli anni 1887-1888, imposta
dalla costruzione dell'asse stradale (via dell'Indipendenza)
che doveva collegare il centro cittadino con la stazione
ferroviaria. Per allinearsi alla nuova arteria, l'Arena
del Sole dovette rinunciare al prato che le stava davanti
e rifare il muro di cinta (in seguito sostituito con
un enfatico porticato). Si colse l'occasione per compiere
sostanziali mutamenti anche all'interno, allungando
la platea, serrando l'intera struttura entro muri perimetrali
e predisponendo una definitiva copertura.
Con una punta di nostalgia Alfredo Testoni, sintetizzando
ciò che fu l'Arena del Sole non solo in ambito
locale ma anche nel panorama teatrale italiano, scriveva:
Tuttavia proprio grazie agli ammodernamenti, l'Arena varcò il secolo e proseguì a dare spettacoli (alternando alla prosa il varietà, l'operetta e pure le proiezioni cinematografiche) per un altro buon quarantennio.(97)
4. Il rigoglioso parco pubblico della Montagnola, cui
Jacopo Taruffi aveva dedicato nel 1780 un poemetto,(98)
non piacque a Napoleone in visita a Bologna nel 1805:
mancava di simmetria, eleganza, funzionalità.
Seguendo le sue direttive invece, nel volgare di pochi
anni, venne trasformato in un ameno passeggio alla moda.
Con l'avvento della 'restaurazione' la nuova amministrazione
comunale, in cerca di consenso popolare, pur ammettendo
di non essere in grado di sostenere la spesa, si mostrò
disponibile a completare l'opera di ammodernamento del
sito mediante la costruzione di una struttura idonea
ad ospitare il gioco del pallone col bracciale, una
pratica sportiva molto seguita le cui appassionanti
partite si erano finora disputate in recinti precari
creando notevoli disagi.(99)
"Per rendere soddisfatte le brame pressoché
universali di ogni ceto di persone", nel gennaio
del 1820 il Municipio decise di ricorrere ad una pubblica
sottoscrizione. In cambio offriva a titolo gratuito
l'area contigua al pubblico passeggio, un tempo occupata
dalla chiesa di S. Giovanni Decollato, e incaricava
l'ingegnere capo Giuseppe Tubertini di fare rilievi
e progetto.
Il progetto redatto dal Tubertini a maggio era pronto,
venne esposto pubblicamente e piacque a tutti perché
era funzionale, grandioso ed insieme elegante grazie
al lato lungo, rivolto verso il giardino, modulato da
semicolonne d'ordine dorico. Ma ci si rese conto che
per realizzarlo sarebbe stato necessario acquisire dei
terreni contigui, attualmente in possesso a privati.
Si calcolò anzi che il costo finale dell'opera,
comprensivo della costruzione del manufatto e dei nuovi
acquisti, sarebbe ammontato a 13 mila scudi romani.(100)
I lavori comunque vennero avviati ad agosto ma fu necessario
rilanciare la campagna delle "sovvenzioni volontarie"
e, per rendere più allettante la raccolta dei
fondi, si ricorse alla formula della lotteria: a costruzione
ultimata, tutti i contribuenti avrebbero concorso all'estrazione
di un premio consistente nella rispettabile cifra di
1.000 scudi.
Il 23 maggio 1822 alle ore 6 pomeridiane, "nella
Piazza adiacente ai Giardini Pubblici e alla presenza
di numeroso pubblico accorso", avvenne l'attesa
estrazione e fu un'operazione complessa perché
i singoli nominativi erano stati numerati e poi distribuiti
in cento liste. Si estrasse dunque una prima volta il
n. 54, una seconda volta il n. 7, ragion per cui vincitore
risultò il n. 7 della cinquantaquattresima lista.
Si scoperse allora, tra la sorpresa generale, che quel
numero apparteneva al Comune di Bologna che aveva versato
la propria quota alla sovvenzione volontaria, tanto
per dare il buon esempio e con essa aveva ottenuto il
diritto a partecipare all'estrazione.(101)
Intanto tutto era pronto per la disputa delle prime
partite fissata per domenica 25 maggio: il vasto locale
cinto per tre lati da gradinate, il nuovo regolamento,
i più noti campioni del momento, Frattini, Chiusarelli,
Martini, acclamati dai rispettivi sostenitori. Ma un
improvviso acquazzone impedì il completamento
degli incontri programmati che vennero rimandati alla
domenica successiva.(102)
L'Arena del Giuoco del Pallone o Sferisterio, autentico
vanto cittadino, si rivelò ben presto un onere
non da poco per il Municipio che ne era proprietario
e che vedeva sfumare i profitti raccolti nei pochi mesi
di competizioni, in continui lavori di manutenzione.
Si pensò pertanto di aumentare gli introiti allungando
il periodo d'apertura (da aprile ad ottobre inoltrato)
e in seguito anche l'orario, di utilizzare il locale
per tenervi esposizioni d'animali esotici, esibizioni
di cavallerizzi (ricorrente la presenza del circo equestre
Guillaume), di noti prestigiatori come il bolognese
Luigi Sasselli e di giocolieri come l'olandese Ludovico
Viool; si decise infine di concederla in gestione ad
impresari (103) uno dei quali fu
proprio Carlo Redi, già abile e discusso impresario
del teatro Comunale negli anni '20. Per merito suo nella
primavera del 1833 venne ingaggiata la compagnia equestre
dei fratelli Chiarini, in estate si disputarono divertenti
"corse di fantini su ciuchi", la "corsa
del trinchetto", una "disfida del gioco del
maglio bolognese" ed una "giostra della secchia
piena d'acqua". Si ammirò anche qui l'abilità
del noto ventriloquo Giovanni Faugier e si videro levare
a più riprese i bizzarri globi aerostatici di
proprietà di Mariano Senepa.(104)
Dopo aver alternato per cinque anni partite (nelle varianti
del 'cordino a terra' e 'cordino in aria') e "spettacoli
straordinari", nel luglio del 1838 l'Arena del
Gioco del Pallone sperimentò l'allestimento dell'opera
in musica con ballo, in versione parodistica naturalmente.
La distruzione dei masnadieri, operetta in due atti
scritta parzialmente in vernacolo, musicata ed interpretata
da Paolo Diamanti (che vi sostenne il ruolo della vecchia
fattucchiera Susanna, deus ex machina della vicenda),
noto al pubblico dei teatri popolari con il nome di
Narciso dei Marionetti, ebbe strepitoso incontro. Un
buon mese durarono le repliche e le serate di beneficio
per i principali interpreti, cui fecero seguito la rappresentazione
del ballo Le astuzie d'amore del coreografo Giacomo
Montallegri ed un secondo spartito intitolato La
turca fedele.(105)
Pur avendo registrato un successo memorabile, l'esperimento
non venne ripetuto negli anni immediatamente successivi
e Paolo Diamanti tornò a divertire gli affezionati
frequentatori dei teatri della Nosadella e di via Cartoleria
Vecchia. Intercalate ai cicli di partite continuarono
invece le esibizioni dei circhi equestri finché,
nell'estate del '48, in un clima politico fattosi effervescente
e con il popolo che affollava le piazze, anche l'Arena
del Pallone, col nome di "Nuova Arena", ospitò
qualche spettacolo a sfondo patriottico, prima di diventare
essa stessa inconsapevole testimone della battaglia
per la cacciata dello straniero.
5. Negli anni precedenti l'entrata in funzione delle
arene, le troupes di cavallerizzi (in seguito dette
"circhi equestri") di passaggio per Bologna,
poterono disporre per le loro esibizioni del Maneggio
pubblico situato sul lato sinistro della Selciata di
S. Francesco. Il vasto locale, certo funzionale allo
scopo ma spoglio e in cattivo stato di manutenzione,
nell'autunno del 1806 venne pomposamente ribattezzato
"anfiteatro" e "decorato e illuminato
all'uso di Parigi" per accogliere il circo equestre
Tournaire che per primo vi si insediò, seguito,
nel settembre del 1807 da quello condotto da Luigi Guillaume.(106)
Il pubblico, attratto da martellanti campagne pubblicitarie,
mostrò subito di apprezzare i vorticosi spettacoli
dati da queste compagnie itineranti, d'altissimo livello
per altro, in grado di proporre una vasta gamma di attrazioni,
e un grande successo riscosse il rinnovato circo Tournaire
durante la sua lunga permanenza nell'inverno 1809-1810.
Una volta costruite le arene, spazi ideali per le esibizioni
circensi, le compagnie equestri disertarono il vetusto
Maneggio comunale che solo sporadicamente venne aperto
per accogliere i "serragli di belve vive"
che spesso i circhi equestri conducevano al seguito;(107)
poi si ritenne più conveniente smantellare la
fatiscente struttura e vendere l'area al miglior offerente.
Per soddisfare tuttavia le pressanti richieste, venne
adibito ad uso di cavallerizza un altro locale nella
vicina via Barbaziana, dove si insediò nel 1828
il circo diretto da Luigi Desorme che per alcuni mesi
entusiasmò gli spettatori con una serie di fantasiose
coreografie. Ulteriore sistemazione di fortuna nel "locale
Malvezzi da S. Sigismondo" trovò nel novembre
del '31 il "gran circo di cavalli" della compagnia
Lepicq dopo la chiusura stagionale dell'Arena del Sole.(108)
La presenza dei circhi equestri nelle arene bolognesi
durante la Quaresima e in autunno divenne dunque una
consuetudine, con notevole vantaggio per i proprietari
delle stesse arene che in tal modo poterono prolungare
i tempi di apertura dei loro locali dove, anno dopo
anno, sfilarono al gran completo le migliori formazioni.
Oltre alle già citate compagnie Tournaire e Guillaume,
le più longeve, si segnala la presenza di quelle
condotte da Antonio Chiarini, Giovanni Ravel, Luigi
Desorme, Mons. Kenebel, Marco Averino, Giovanni Bono,
Cristoforo de Bach, Gennaro Lepicq, Alessandro Guerra,
ecc.
Anche i maggiori teatri 'notturni', il Comunale e quello
del Corso soprattutto, si mostrarono ben disposti ad
ospitare di quando in quando questi impareggiabili fantasisti
(giocolieri, funamboli ed equilibristi oltre che cavallerizzi),
che garantivano sempre un gran concorso di spettatori.
Del resto, in occasione delle 'serate eccezionali' fuori
abbonamento, nei teatri si poteva assistere ad esibizioni
d'ogni genere da parte di prestigiatori, ventriloqui,
dei così detti 'poeti estemporanei', molto in
voga nella prima metà dell'Ottocento, e ancora
di inventori o possessori di apparecchi ottici sempre
più perfezionati e di sedicenti professori di
fisica e meccanica.(109) Invero,
antesignano in questo campo era stato il teatro Felicini
che fin dal 1781 aveva proposto un esempio di "vedute
d'ombre", che nel 1809 aveva ospitato la "vera
fantasmagoria", nel 1813 lo "spettacolo uranografico
dei fenomeni dell'universo" di Carlo Rouy, nel
1815 il "teatro pittoresco meccanico con figure
musicali" dello Sachatzeck e il "teatro meccanico"
dei fratelli Valmagini.(110)
Finora si è accennato solo a 'serragli' ben forniti
di begli esemplari di specie pregiate, condotti al seguito
delle compagnie equestri ed esposti dietro pagamento
alla pubblica curiosità, cui venivano date sistemazioni
in spazi riparati o allo scoperto, sufficienti però
a contenere recinti, gabbie, inservienti e spettatori:
nei pressi della Montagnola, sul Prato di S. Francesco,
in qualche cavallerizza pubblica o privata.(111)
Ma c'erano anche 'serragli' costituiti da poche gabbie
di animali ammaestrati (cani sapienti, scimmie e orsi
addomesticati) o reputati rari (come il "pellicano
di pelle bianca" di tal Nicola Morselli nel 1811),
appartenenti a singoli proprietari che proprio dall'esposizione
delle loro povere bestie traevano sostentamento. Accadde
così che nella calda estate del 1818 approdò
in Piazza Maggiore, spaesata vittima del progresso,
una foca e la sua patetica vicenda finì sulle
colonne del periodico cittadino. Riferisce infatti la
"Gazzetta di Bologna" che "Il Mostro
Marino chiamato Focca, ossia Tigre marina, che da alcuni
giorni è ostensibile nella Piazza del Nettuno
con tanta soddisfazione degli spettatori, è del
genere femminino, e trovasi pregnata. Nella notte dal
13 al 14 luglio ha infatti messo in luce un feto del
peso di libbre 30 circa, il quale non è sopravvissuto
che poche ore. Per cura del proprietario sarà
imbalsamato in modo che non perda punto della sua forma
naturale".(112)
Questi conduttori ambulanti di domestici serragli, assieme
ai funamboli, marionettisti, proprietari di camere ottiche,
ecc., erano gli eredi della grande famiglia dei 'ciarlatani'
che per secoli aveva occupato le piazze e i mercati.(113)
Il nuovo regime tuttavia, poco amante degli assembramenti,
prese a regolamentare la loro presenza mediante il rilascio
di permessi temporanei di sosta e concesse loro di operare
solo all'interno di una serie di 'sale di esposizione'
disseminate per il centro tra via delle Asse, Mercato
di Mezzo e Borgo Salamo, che potevano facilmente essere
tenute sotto controllo.
Nel 1814 il Giudice di Pace del Primo Circondario di
Bologna, che aveva sede nei pressi della piazzetta della
Canepa si lamentava per "il frastuono continuo
di tamburi e altri strumenti e grida" provocato
dai "ciurmadori" che occupavano la vicina
Sala delle Accuse. I fastidiosi schiamazzi degli imbonitori
presto cessarono sostituiti da altri mezzi più
moderni di richiamo (vistosi avvisi a stampa, opuscoli
illustrativi, annunci sulla "Gazzetta") e
il popolare locale continuò ad esibire per pochi
baiocchi le sue meraviglie, dalle marionette agli "Androidi"
dei Drotz padre e figlio "professori di meccanica
svizzeri", dal cane ammaestrato che giocava a tresette,
alla strana coppia formata da una gigantessa e da un
nano.(114) Anche nella Sala della
Locanda del Leon d'Oro si videro interessanti fenomeni
di natura, quali il giovinetto soprannominato "l'albino
vivente", "l'uomo anatomico" di magrezza
impressionante, una giovane nata senza braccia, e tre
indiani d'America.(115)
Vennero poi destinati a sale espositive pubbliche anche
locali facenti parte di residenze di pregio, nei palazzi
Fantuzzi, Casali, Pepoli e in casa Bottoni. Tra queste,
la Sala di casa Bottoni si distinse per le accademie
degli improvvisatori e per interessanti esperimenti
di fisica e meccanica, quella di palazzo Pepoli vecchio
si specializzò in esposizioni di "panorami",
"cosmorami", maquettes e modellini di città.(116)
6. Un discorso a parte meritano gli spettacoli di marionette,
già in auge nel corso del Settecento ed ancora
più apprezzati nella prima metà dell'Ottocento.
Le marionette in questione erano pupazzi di legno dal
volto finemente intagliato e delicatamente dipinto,
di varie dimensioni a seconda della destinazione, con
articolazioni tutte snodate, guardaroba elegante e acconciature
appropriate. Sorrette da una sottile barretta di ferro
applicata con un gancio al centro della testa, venivano
manovrate dall'alto, tramite molteplici fili collegati
ad apposite crociere di legno, e fatte muovere, parlare,
cantare e danzare dai marionettisti sistemati su un
'ponte' e celati alla vista degli astanti. Malgrado
questi precisi connotati, le marionette sono state spesso
confuse con i più 'plebei' burattini che si vedevano
all'aperto nei casotti portatili.(117)
Dapprima le raffinate marionette da filo furono utilizzate
in aristocratici diporti per lo più domestici,
in seguito vennero accolte nei teatri pubblici grazie
all'abilità e all'intraprendenza dei marionettisti.
Erano costoro artisti girovaghi riuniti in piccole compagnie
a conduzione famigliare, proprietarie di un consistente
numero di pupazzi, costumi, fondali, quinte mobili,
copioni, spartiti, ecc., con cui erano in grado di riprodurre
in scala ridotta e a prezzi modici, il meglio del repertorio
dato nei grandi teatri, passando non solo dai canovacci
della commedia dell'Arte ai drammi avventurosi e sentimentali,
ma anche alle azioni spettacolose, ai balli pantomimici,
agli intermezzi in musica, e ciò col solo sussidio
di una orchestrina e di qualche cantante nascosto dietro
le quinte.
Nei teatrini del contado i marionettisti trovarono buona
accoglienza perché all'occorrenza potevano supplire
alle carenze di una programmazione altrimenti assai
limitata;(118) in città costituivano
invece una piacevole alternativa ai consueti divertimenti
del carnevale. Per quanto riguarda Bologna, dopo il
1760 i migliori marionettisti ebbero a disposizione
il teatro Legnani dove, a quanto pare, non mancò
mai un significativo concorso di pubblico.(119)
Rimasti poi privi del loro tradizionale spazio, invaso
dai gruppi di attori dilettanti, dovettero per un decennio
accontentarsi di sedi provvisorie e occasionali: la
Sala delle Accuse e quella delle Pescherie, presso la
Locanda del Pavone e l'Osteria delle Due Torri in Strada
Maggiore, oppure usufruire di dimore private come quella
di Stanislao Cuzzani in via delle Moline e di Gaspare
Poggi (120) in Borgo Paglia (odierna
via Belle Arti).
Non a torto dunque, vista la richiesta, Pellegrino Coralli
nel 1810 chiese la facoltà di aprire il suo teatrino
di San Gabriele per darlo in affitto ai marionettisti
di passaggio. Sul suo esempio, subito appresso, vennero
predisposti altri due locali con analoga destinazione:
uno sistemato all'interno dell'ex monastero di S. Maria
degli Angeli in via Nosadella, l'altro nella chiesa
soppressa di San Tommaso del Mercato. In quest'ultimo
caso tuttavia, quando tutto era pronto per l'apertura,
il conduttore venne diffidato dall'utilizzarlo per spettacoli
pubblici poiché in situ si trovavano ancora altari
ed oggetti di culto.(121) Destarono
infine non poche perplessità sia le richieste
di collocare un teatrino provvisorio sul prato dell'Arena
del Sole (nel 1813 e 1815), sia quella di dare un corso
di recite di marionette al teatro Marsigli nell'estate
del 1819.(122)
Migliore fortuna ebbero invece un secondo locale, posto
sempre in via Nosadella e ricavato dalla chiesa conventuale
intitolata a Santa Maria Egiziaca, e quello di via del
Poggiale, che aveva fatto parte dell'ex convento di
San Gregorio. Mentre alterna sorte toccò, come
già si è detto, al teatrino di San Saverio,
ebbe vita breve ma contrassegnata da grandi successi,
l'elegante Teatro Antico Corso delle Maschere, di cui
si sa solo che era situato in via della Mascarella e
di cui si ignora la causa dell'improvvisa chiusura avvenuta
dopo il 1836.(123)
Ritornando ora ai marionettisti, possiamo dire che con
una certa frequenza nei primi decenni del XIX secolo
ricorrono i nomi dei bolognesi Girolamo Ramenghi, Giuseppe
Medici, Domenico Uccelli, Antonio Morandi e Angelo Ruvinetti.(124)
Dagli anni '20 in poi si spartirono il monopolio di
questo tipo di trattenimento il bresciano Pietro Maggi,
il romano Ireneo Nocchi, il modenese Ludovico Monti
e il bolognese Onofrio Samoggia.
Invero il Regolamento del 1806, all'atto della stesura
non aveva contemplato l'esistenza di 'teatri di marionette';
col passare del tempo però si dovette correre
ai ripari, autorizzando il regolare esercizio di tre
locali (il teatro di via Nosadella, quello di via del
Poggiale e il Teatro Antico Corso delle Maschere), che
vennero detti di "terza classe", cui venne
concesso di dare spettacoli in prima serata. Tra questi
il teatro della Nosadella fu il più longevo ed
anche il più amato dai bolognesi per i quali
"Nosadella" finì per essere sinonimo
di "marionette", a vedere le quali ci si recava
muniti di sostanziose merende ("alla Nosadella
si mangiano salsicce e braciole di ottima qualità").
Già in funzione nel 1818, durante il carnevale
del 1820 il teatro della Nosadella venne preso in affitto
dal marionettista Samoggia che rappresentava "tragedie
con ballo eroico" con tanto successo da meritarsi
una recensione in piena regola sulle pagine della "Gazzetta
di Bologna".(125) Ancora nel
1823 si segnala in esso la presenza del marionettista
Antonio Grandi, bravissimo a rappresentare commedie
con maschere,(126) ma i maggiori
successi dovevano venire in seguito: nel '32 con l'allestimento
del dramma buffo intitolato La nuova Pianella perduta
appositamente composto dal basso buffo Carlo Cappelletti,
e durante l'intero 1843, cominciando a carnevale con
la messa in scena dello scherzo comico tutto in vernacolo
L'armur dla piazza d'giourn e d'la sira, composto e
cantato da Paolo Diamanti, cui volle assistere anche
Rossini, e finendo in autunno con il 'seguito', intitolato
La lit in piazza e la pas in person o sia l'amour prutett
dal giust.(127)
Se il teatro di via Nosadella si presentava, almeno
nei primi tempi, come un locale decente, quello di via
del Poggiale appariva come un "rozzo accostamento
di tavolati". Ma era per così dire specializzato
nella rappresentazione dei grandi balli e di conseguenza
sempre "frequentatissimo", soprattutto durante
le gestioni di Pietro Maggi e di Ireneo Nocchi. Intorno
agli anni '40 lo prese in affitto Onofrio Samoggia che
lo fece restaurare e lo chiamò teatro Civico;
si associò poi a Leonardo Scorzoni, un ex attore
dilettante, inventore di Persuttino, la prima "marionetta
in persona", che interagiva con le marionette da
filo improvvisando dialoghi vagamente surreali.(128)
Negli anni '50 tuttavia gli spettacoli di marionette
erano ormai in declino e il nuovo affittuario del teatrino,
il marionettista-impresario Ludovico Monti chiese, invano,
il permesso di cambiar genere di spettacolo ma non gli
fu concesso. Il locale pertanto decadde, rimase sfitto
per qualche tempo finché nel 1858 non venne acquistato
dal parroco di San Gregorio che lo destinò a
laboratorio artigianale.
NOTE:
73 Cfr. G. GUIDICINI, Diario cit., III, pp. 26, 27 e 31. Per ulteriori particolari sul primo esperimento di Francesco Zambeccari si rimanda a RAIMONDO AMBROSINI, L'aereonautica a Bologna. Appunti di cronica, Bologna, Tip. Paolo. Neri, 1912 e GIORGIO EVENGELISTI, Bologna nella storia del volo, Firenze, Olimpia Ed., 1994. A dire il vero, qualche provvisoria "arena" (consistente in un duplice steccato munito di gradinate) sulla fine del XVIII secolo si era pur vista nell'area della Montagnola, in occasione delle "Cacce di Tori", più o meno "all'uso di Spagna", giudicate allora manifestazioni appassionanti, in grado di attirare grandi folle e di procurare cospicui guadagni agli impresari.
74 Il resoconto dei disordini verificatisi il 4 ottobre 1803 alla Montagnola e del fallito arresto dell'impresario Ferdinando Bordoni (che si era aggiudicato l'appalto della Montagnola fin dal 1799), si conserva in ASBo, Archivio Prefettura di Bologna. Atti generali, tit. XXVI, 1803-1805. Nel medesimo fascicolo si trova la seguente petizione rivolta al Prefetto del Dipartimento del Reno nel dicembre del 1803: "Li citt. Camillo Nicoli, Carlo Salina, Giuseppe Dotti e Nicola Brighenti, siccome sono in trattativa per fare l'acquisto dell'Arena o sia Anfiteatro già eretto nella pubblica Montagnola di Bologna per oggetto di attuare dei pubblici spettacoli cessato l'inverno per fino a tutto settembre 1804, così per essere sicuri nella stipulazione dell'acquisto, ne chieggono il preventivo permesso, esponendosi il prospetto di quello che presenteranno al pubblico. Li spettacoli in proposta sono Passi di Fantini, Caccia di Bovi, Moro in regata, nonché altri, cui la prudente antichità esponeva in dolce allettamento ai Popoli Repubblicani, potendone fare ricordanza onorevole di tali feste". Successivamente, in data 21 febbraio, i quattro soci presentavano al delegato di polizia un "Progetto d'acquisto dell'Anfiteatro della Montagnola".
75 "La scena si finge nello spiazzo intermesso alli due Campi nemici, destinato a questo combattimento. L'Arena Anfiteatrale a questo oggetto è perfettamente livellata: circondata essa da quel doppio steccato che presentemente l'adorna, limita opportunamente lo spazio campale e dà maestà all'azione della pugna. In prospetto all'ingresso dell'Anfiteatro è eretta in qualche eminenza un'Ara ornata degli Emblemi corrispondenti alla deità di Giove. Molte tende, guarnizioni di penne e di festoni sono parte della scena e danno all'Anfiteatro il più aggradevole colpo d'occhio". Per l'intero incartamento, in data 2 agosto 1804, vedi ASBo, Archivio Prefettura di Bologna. Atti generali cit.
76 Cfr. G. GUIDICINI, Cose notabili cit., I, p. 279: "Questo monastero fu soppresso il 29 gennaio 1799. Il locale servì a ricovero di mendicanti e di miserabili di poco buon nome. Nella vendita fatta di detto convento li 18 agosto 1801, a rogito di Luigi Aldini, figurano per cessionari del marchese Angelo Marsigli, il conte Prospero Ranuzzi e Carlo Ramponi. Nel medesimo anno passò la proprietà a Luigi Becchetti e poco dopo a Nicola Vittorio Brighenti il quale eresse nell'orto un teatro diurno di legno detto l'Arena di S. Lorenzo dove, nell'estate del 1809 si rappresentarono commedie anche sacre, con molto successo. Da questo esempio derivò il teatro stabile diurno nel convento della Maddalena presso il Mercato, indi la replica di un altro di legno in questo locale nel 1827". Possiamo aggiungere che si accedeva all'arena dal civico 396 di via Castiglione e che nel locale dell'ex portineria del convento era stata sistemata una comoda caffetteria.
77 Questo Avviso particolare, di cui si è conservata la bozza di stampa (vedi I.2.2), ci informa sui prezzi dei biglietti e sull'ora d'inizio degli spettacoli (le 5 pomeridiane in luglio ed agosto, le 3 nel periodo autunnale). Poco si sa invece sulla frequenza e natura degli spettacoli stessi, non solo perché mancano ulteriori avvisi, ma anche perché la stampa periodica riporta laconicamente solo due titoli: Adelasia in Italia, vecchio drammone del padre Ringhieri (recitato dalla compagnia Menichelli) e Matilde regina di Scozia, messa in scena dalla compagnia Rossi.
78 Cfr. G. GUIDICINI, Cose notabili cit, II, p. 195 e III, p. 158; Teatri storici in Emilia e Romagna, a cura di Simonetta M. Bondoni, Bologna, ISB, 1982, scheda 39, p. 211. Per il difficile esordio dell'Arena del Sole si rimanda alla monografia di GIUSEPPE COSENTINO, L'Arena del Sole, Bologna, Garagnani, 1903. Gli incartamenti relativi al tormentato iter burocratico che precedette la sua apertura sono conservati in ASBo, Archivio Prefettura di Bologna. Atti generali, tit. XXVI, 1810. Il progetto di Carlo Aspari (cfr. Architettura, scenografia e pittura di paesaggio, catalogo critico cit., scheda 209, p. 142) non ci è pervenuto e mancano anche descrizioni di un certo spessore sull'assetto originario dell'Arena del Sole. Unico documento utile risulta essere l'incisione dal titolo L'Arena del Sole per gli spettacoli diurni di Bologna, di C. Savini su disegno di G. Ferri, edita nel 1825 (vedi BCABo, GDS, Coll. Gozzadini, cart. 48).
79 Nella Circolare datata 4 luglio 1810 il Bonini così si rivolgeva ai concittadini: "Finalmente ho la compiacenza di essere al termine, dopo infiniti pensieri e dispendio, di produrre a questo Rispettabile Pubblico un'opera che credo degna dell'aggradimento dei miei Concittadini: parlo dell'arena che si riconoscerà sotto il titolo di Arena del Sole. Giovedì prossimo 5 luglio sarà questa attivata e prodotta in faccia al pubblico, corredata di graziosi scenarj e dipinti, eseguiti dai più accreditati Artisti che ci dona la nostra Città. Il sig. Bortolo Zuccato con la sua Comica Compagnia, fornita di ottimi Attori e di nobili decorazioni, produrrà le sue Comiche Rappresentazioni. Mi resta solo a desiderare un generale aggradimento ed un copioso concorso, onde combinare in tal modo e soddisfazione ai miei pensieri, e compenso all'incontrata vistosa spesa". Espressioni di lode gli vennero tributate, subito appresso, dall'estensore de "Il Redattore del Reno" (in data 7 luglio 1810), che ammirava l'elegante struttura, capace di combinare reminiscenze classiche con "il gusto moderno" e l'eccezionale capienza, valutata in 2 mila posti, menzionando per la prima volta l'architetto, il milanese Carlo Aspari, quale autore del "disegno" e soprintendente ai lavori.
80 Al Bonini venne risposto che l'estrazione avrebbe protratto l'orario di chiusura fissato tassativamente alle sette di sera, al Brighenti si fece notare che i veglioni pubblici erano concessi solo in tempo di carnevale. A più riprese inoltre il Brighenti tentò senza successo di ottenere la privativa decennale sugli spettacoli diurni e sovvenzioni per sistemare meglio il suo locale.
81 Cfr. "Il Redattore del Reno", nn. 34 e 35, del 1811. La compagnia diretta da Antonio Previtali (vedi VII.29.1), ingaggiata dall'Arena del Sole, che contava al suo interno oltre agli attori recitanti anche un complesso di strumentisti e cantanti "buffi" specializzati in farse in musica, servì a rintuzzare la concorrenza.
82 Cfr. "Cenni storici intorno alle lettere, invenzioni, arti, commercio e spettacoli teatrali dell'anno 1824", parte II, n. 31. Questo fortunato periodico appena fondato da Gaetano Fiori, mutò presto il farraginoso titolo in quello più calzante di "Teatro, Arti e Letteratura". Il rovinoso incendio che distrusse l'Arena S. Lorenzo e spaventò un intero quartiere era scoppiato all'interno della "Nuova Fabbrica di Vetro e Cristalli ad uso di Boemia" impiantata nei locali dell'ex chiesa di S. Lorenzo. La compagnia Cavicchi-Gajani (vedi 1.2.1), impegnata in quei giorni all'Arena rimase dunque senza lavoro.
83 In realtà, come si ricava dai documenti d'archivio, Nicola Brighenti, passato in un decennio da 'cittadino' a 'cavaliere', fin dal 1824 era stato costretto a dare in pegno la sua proprietà colla clausola di poterla riscattare entro un triennio dietro il versamento di tre mila scudi romani in contanti. Nel 1826 pertanto risultava essere "affittuario" del terreno su cui stava erigendo l'arena senza il consenso del legittimo proprietario che infatti aveva sporto denuncia. Ma le autorità avevano finto di non sapere nulla di quanto accaduto, accogliendo l'istanza di aprire l'arena presentata dal Brighenti il 19 luglio e concedendo l'autorizzazione il 22 luglio senza nemmeno attendere i risultati del collaudo.
84 Il capocomico Francesco Ciabetti, reduce da un mezzo fiasco riportato al teatro del Corso, e che aveva caldeggiato l'iniziativa del Brighenti, rimase all'Arena della Fenice per un buon mese (vedi i titoli delle sue rappresentazioni negli avvisi I.8.1-10).
85 Incalzato dalla minaccia di una demolizione forzata, il Brighenti mise in piedi una società di cui facevano parte il dott. Antonio Tabanelli, Gasparo Aria e Francesco Berti (quest'ultimo coll'incarico di "agente teatrale") con cui riuscì a raccogliere la somma necessaria al riscatto che venne versata alla Cassa Camerale nell'aprile del 1827. L'intero incartamento riguardante la controversia legale qui riassunta si trova in ASBo, Archivio Legazione Pontificia. Atti generali, tit. XXVI, 1827.
86 Il passo è tratto da un articolo dedicato all'Arena della Fenice pubblicato dal periodico "Teatri, Arti e Letteratura", t. VII, n. 162, pp. 134-135. Sappiamo inoltre che la cavea dell'arena venne ampliata, decorata con una certa eleganza e fornita di un loggiato superiore.
87 Questo tipo di accordo, possibile grazie allo sfasamento degli orari d'apertura tra due teatri situati a poca distanza l'uno dall'altro, era vantaggioso agli impresari (che facevano un unico contratto), alle compagnie (che potevano integrare i guadagni) e al pubblico "popolare" che aveva modo di assistere a spettacoli di buon livello e vedere sulla scena attori di fama. Così accadde nell'estate del 1827 e 1828, allorché si susseguirono le compagnie Romagnoli-Bon (vedi III.8.11- 16 e III.8.21), Marchionni (vedi III.8.17) e Mascherpa.
88 Per tutto il tempo della sua permanenza, madame Tournaire (vedi III.8.24-26), oltre a dare spettacoli all'Arena della Fenice, espose il proprio "Serraglio di Belve vive" nella Selciata di S. Francesco.
89 Gli architetti neoclassici progettarono spesso anfiteatri e arene ma ben pochi vennero realizzati. Le arene che in seguito presero a sorgere in Toscana (Firenze, Livorno, Pisa) si ispirarono tutte al modello dell'Arena del Sole bolognese. Altrettanto intendeva fare nel contado bolognese tale Giacomo Lugatti che nel 1822 annunciava di essere in procinto di costruire nel comune di Castel S. Pietro una arena diurna per la quale, l'anno seguente, chiedeva non solo la licenza di apertura ma anche un sussidio pubblico per le ingenti spese sostenute. Purtroppo i documenti d'archivio da noi consultati in proposito non chiariscono come andò a finire la vicenda. Per quanto riguarda gli aneddoti relativi all'Arena del Sole, a quanti riferiti da G. COSENTINO, L'Arena del Sole cit., altri se ne aggiungono negli scritti di Giuseppe Costetti, Alfredo Testoni, Oreste Trebbi, Alessandro Cervellati, ecc.
90 Nei primi anni di vita dell'Arena del Sole il prezzo dei biglietti andava dai 17,5 centesimi per ingresso e posto a sedere sulla gradinata di pietra (fino ad esaurimento dello spazio), ai 26 centesimi per le panche di legno della cosi detta "orchestra", ai 35 centesimi per le seggiole in paglia della "ringhiera" o galleria coperta.
91 Una parziale cronologia degli spettacoli o quanto meno delle compagnie comiche che si alternarono sul palco dell'Arena del Sole si può trovare nella già citata monografia del Cosentino; nelle nostre segnalazioni ci limiteremo pertanto al materiale che fa parte della presente raccolta. Attirano l'attenzione alcuni titoli legati a avvenimenti di attualità come La caduta di Messolungi il giorno 26 aprile 1826 (II.6.23) e Il coscritto bolognese in patria (II.6.50); altri di argomento bolognese, come L'origine della torre degli Asinelli (II.6.35), Gli avvenimenti delle famiglie bolognesi Galluzzi e Carbonesi riconciliate da Antonio Lambertazzi (primo dramma storico-patrio di una lunga serie) e il ritorno sulle scene de Il famoso ladro del Monte di Bologna.
93 Uno dei primi esempi di "azioni spettacolose" è costituito proprio da Corradina d'Este al torneo o l'eroe del Rubicone data dalla compagnia Zuccato nel luglio del 1810, ma l'elenco dei titoli bizzarri prosegue fino agli anni '30, mescolando soggetti di fantasia come La sconfitta dei Cananei al monte Tabor (II.6.41) e Il trionfo di Genoveffa duchessa di Traven e del Bramante ossia la sconfitta del feroce conte Golo (II.6.42), con altri pseudostorici, quali Giovanna d'Arco liberatrice di Carlo VII re di Francia ossia la Pulcella d'Orleans, tratta dal ballo omonimo (vedi II.6.29) e Gustavo Terzo nipote di Carlo XII re di Svezia alla battaglia sul Kimer ossia L'eroina armata in campo di difesa del suo sovrano (II.6.104). Altrettanto numerosi sono i drammi patetici come L'ombra del vivo ossia l'orfanella della Svizzera (II.6.57), La rigattiera di Milano ossia il matrimonio in istrada combinato dalla generosità di un fratello (II.6.84), Carlotta Wanford ossia la giustizia del duca Wincester (II.6.56) o Le disgraziate avventure di Maria Verneuille ossia la povera fanciulla (II.6.99). Negli anni '40 la predilezione popolare si rivolse ai drammi storici d'argomento patrio e si fece più stretto il nesso tra rappresentazione teatrale e situazione politica del momento (cfr. il saggio della scrivente Dalle premesse giacobine alla rivoluzione del 1848, in Risorgimento e teatro a Bologna (1800-1849), a cura di Mirtide Gavelli e Fiorenza Tarozzi, Bologna, Patron, 1998).
94 La lettera firmata da "I conduttori dell'Arena del Sole", Antonio Tabanelli e Francesco Berti, si conserva in ASBo, Archivio Legazione Apostolica. Atti generali, tit. XXVI, anno 1832. Il manifesto originale annunciante la recita del "dramma popolare" di Zappoli, riprodotto in G. COSENTINO, L'Arena del Sole cit., p. 92, si trova presso il Civico Museo del Risorgimento. Per il patriota drammaturgo Agamennone Zappoli si rinvia alla scheda biografica a cura di M. CALORE, in Risorgimento e teatro cit., pp. 75-78.
95 La proprietà dell'Arena del Sole rimase nelle mani degli eredi Bonini fino al 1875 quando il locale venne acquistato da Petronio Carletti (già conduttore del teatro del Corso) che ne assunse personalmente la direzione. Alla sua morte l'Arena entrò a far parte del patrimonio dell'Opera Pia di San Giuseppe (cfr. Un centro dello spettacolo: il recupero dell'Arena del Sole, a cura del Comune di Bologna, Assessorato alla programmazione casa e assetto urbano, Bologna, Graficoop, 1980).
96 Cfr. ALFREDO TESTONI, Ricordi di teatro, Bologna, Zanichelli, 1925, pp. 40-41.
97 Si vedano in proposito La commemorazione del primo centenario dell'Arena del Sole, in "Il Piccolo Faust", n. 32, 3 aprile 1910, pp. 1-2; e ALESSANDRO CERVELLATI, I 140 anni del teatro più popolare di Bologna, in Bologna al microscopio, II, Bologna, Edizioni Aldine, 1950, pp. 87-98.
98 Cfr. JACOPO TARUFFI, La Montagnola di Bologna, Bologna, S. Tommaso d'Aquino, 1780. Nel poemetto scritto alla conclusione dei lavori voluti dal Legato Buoncompagni Ludovisi, l'autore, illustrando le attrattive e l'utilità sociale del parco pubblico bolognese, coglie il pretesto per tessere le lodi di alcuni membri dell'aristocrazia illuminata del tempo, primo tra tutti il marchese Francesco Albergati, cui il componimento è dedicato. Per le trasformazioni subite nel corso dei secoli da questo sito si rimanda a PATRIZIO PATRIZI, La Montagnola di Bologna, Bologna, Società Compositori, 1898; per la sua funzione sociale a GIANCARLO BERNABEI, La Montagnola. Storia di un popolo, Bologna, Patron, 1986.
99 Sulla radicata tradizione del gioco del pallone a Bologna si veda C. RICCI, I teatri di Bologna cit., Appendice IV, pp. 672-681. Ulteriori notizie, tratte sempre dalle cronache, in LODOVICO FRATI, Il Settecento a Bologna, Bologna, Atesa, 1979 (2° edizione anastatica), pp. 95-100. Durante tutto il Settecento e fino alla costruzione dello Sferisterio le partite, sempre a pagamento, si tennero entro recinti in legno sistemati nella piazza del Mercato.
100 Documenti relativi alla costruzione dell'Arena del Gioco del Pallone con una copia del progetto originario redatto da G. Tubertini, ingegnere capo dell'Ufficio tecnico comunale, si conservano in BCABo, Fondo Malvezzi de' Medici, cart. 147, fasc. 9. Per la Lettera circolare proponente la "sottoscrizione volontaria" in data 21 gennaio 1820, vedi 1.5.1.
101 Cfr. "Gazzetta di Bologna", nn. 38, 42, 44 del maggio 1822.
102 Nella Canzone per la solenne apertura della grandiosa Arena del Gioco del Pallone (vedi 1.3.2), leggiamo tra l'altro: "Ora a novel decoro / Degli ampi tuoi giardini / A cui già onore divini / le Muse tributar / Vasto recinto ammirasi / D'alte colonne e mura / Che i pregi di natura / Coll'arte superò. / In questa Arena nobile / il forte atleta, e prode / riscuote onori e lode / dal popol spettator". In effetti le prime partite furono salutate da una eccezionale produzione di sonetti spesso accompagnati da litografie ritraenti i campioni più popolari (vedi 1.3.4-6). In concomitanza con l'inaugurazione dell'Arena venne stampato un Regolamento, sintetizzato in 14 paragrafi, col titolo di Capitoli del gioco del pallone da osservarsi in Bologna (vedi 1.3.1). Per avere basilari informazioni sugli aspetti tecnici del gioco del pallone col bracciale, oggi completamente in disuso, si veda il catalogo della mostra intitolata Alle origini dello sport. Il gioco del pallone prima del calcio, a cura del Museo Civico del Risorgimento, Bologna, 21 ottobre-17 dicembre 1995, [s.n.t., 1995].
103 Cfr. Delibera comunale del 27 luglio 1830, con cui si stabiliva che l'Arena del Pallone poteva essere data in affitto anche per altri tipi di spettacolo che non fossero "sportivi". Il ricavato sarebbe servito per pagare la manutenzione e l'abbellimento dell'area circostante.
104 Tra il luglio e l'agosto del 1833 si segnala a più riprese l'intrattenimento offerto dal romano Mariano Pietro Senepa, sedicente "chimico", proprietario di palloni aerostatici di "nuova invenzione americana" rivestiti di cuoio e gonfiati a gas idrogeno, che assumevano varie fogge: a forma d'uomo, di cavallo, di pesce, di cane e di amorino (vedi 1.4.27 e 30).
105 Cfr. La distruzione dei masnadieri. Operetta in due atti composta da Paolo Diamanti per soprannome Narciso de' Marionetti, rappresentata a Bologna nell'Arena del Pallone l'estate del 1838, s.l., per le stampe del Fabri, s.a. (vedi CMBM, libr. 7306). Paolo Diamanti, in gioventù cantante, poi corista al Comunale e al Corso, infine copista di musica, era in quegli anni impegnato anche al teatro Nosadella come improvvisatore di "narcisate" (cfr. CARLO G. SARTI, Teatro dialettale bolognese, Bologna, Tip. Zamorini e Albertazzi, 1894, pp. 174-176). Alle rappresentazioni de I Masnadieri (vedi 1.4.35 e 47) si alternarono le 'beneficiate' a favore degli interpreti con relative composizioni poetiche (vedi 1.4. 40, 1.4.41, 1.4.44-45), fecero seguito il ballo del Montallegri (1.4.42), e l'esecuzione del secondo spartito in programma (1.4.37). Dopo questo primo esperimento, le opere buffe ricomparvero all'Arena del Pallone negli anni '50 del secolo, in concomitanza con l'apertura serale del locale ribattezzato 'politeama'.
106 Secondo il Guidicini (Cose notabili cit., IV, p. 339 sgg.) la Cavallerizza della "Seliciata S. Francesco" (odierna piazza Malpighi) venne costruita a ridosso delle vecchie mura nel 1612 a spese del Reggimento. L'edificio fu rinnovato nel 1734 ad opera del Dotti (vedi scheda 23, p. 131 in ANNA MARIA MATTEUCCI, Carlo Francesco Dotti e l'architettura bolognese del Settecento, Bologna, Alfa, 1968), ma già a fine secolo mostrava segni di degrado tali da essere "appuntellato e anche in parte scoperto". Venne steso un progetto di restauro ma alla fine si preferì venderlo nel 1824 alla famiglia Rusconi, proprietaria del vicino palazzo Dondini. A ricordo dei primi spettacoli dati in questo locale dalle compagnie Tournaire e Guillaume restano alcuni avvisi in VIII.31.3.1-4 e VIII.31.3.5.
107 Cfr. avviso in VIII.31. 3. 6; si veda anche "Gazzetta di Bologna", n. 3 del 1810: "È ritornato in questa città il Circo di Equitazione Tournaire con la sua truppa aumentata di molti buoni soggetti d'ambo i sessi. Il rinnovamento di questo spettacolo interessante, ripieno di novità e variato da graziose scene comiche, da tablò e manovre di equitazione e volteggio, niente lascia da bramare". La successiva presenza di "serragli" al Maneggio pubblico viene segnalata sempre dalla "Gazzetta di Bologna" nel 1815 e 1816. In questo secondo caso si trattò del serraglio di Domenico Chiesa (vedi VIII. 31.3.7-9), che proponeva 45 animali feroci o rari, dei quali forniva un dettagliato elenco in cui, tra la jena del paese degli Ottentotti. l'orso canadese, l'istrice, il mandrillo, il pellicano dell'isola di Cipro, figuravano anche "due corpi umani inseparabili".
108 Il "locale di via Barbaziana" (odierna via C. Battisti) potrebbe forse identificarsi con la chiesa sconsacrata di S. Barbaziano acquistata dal Comune del 1813. Apprendiamo ancora dalla "Gazzetta di Bologna" (n. 101 del 1826 e n. 9 del 1828) che questo locale ospitò il "Grande Reale Serraglio arrivato da Vienna", quindi i cavallerizzi guidati dai Desorme padre e figlio (vedi VIII.31.1-3) e che quest'ultimo, per tutta la durata del soggiorno, impartì lezioni di equitazione e volteggio. Per quanto riguarda il "locale Malvezzi da S. Sigismondo", che ospitò gli spettacoli del Lepicq (vedi VIII.30.1.7), potrebbe trattarsi dell'antica cavallerizza della Ca' Grande dei Malvezzi in via Belmeloro.
109 Nell'impossibilità di segnalare tutti gli spettacoli d'arte varia dati nei teatri bolognesi, ci limiteremo a segnalare alcuni tra quelli documentati nella presente raccolta. Al Comunale nel 1807 Francesco Bienvenu mostrò "esperienze fisiche" (vedi IV.14.19), l'anno seguente si videro gli "esperimenti" di Giuseppe Lionetti il "vero uomo incombustibile" (vedi IV.14.17), nel 1814 dei "balli a cavallo" e cani ammaestrati (vedi IV.14.24), nel 1827 fu la volta delle "forze ginnastiche" del Mathevet (vedi IV.14.58) e ancora nel 1831 si ammirarono le "ricreazioni meccaniche" di Carlo Pianca (vedi IV.14.121). Se al teatro del Corso sfilarono cani ammaestrati e animali africani (vedi VI.19.72), numerose scimmie e un lama del Nuovo Mondo (vedi VI.19.206), al Contavalli nel 1822 si esibì Felice Brazzetti in giochi fisici e meccanici (vedi V.18.35) e tra il 1823-24 poterono essere messi a confronto i ventriloqui Sauber e Faugier (vedi V.18.40-42). Per non essere da meno, anche il Marsigli mostrò i "fenomeni" di ottica e idraulica di Giuseppe de Rossi (vedi VII.23.45). Per gli improvvisatori, onnipresenti nel primo quarantennio dell'Ottocento in tutte le sale pubbliche o private, basti citare i più noti tra quanti si esibirono a Bologna: Jacopo e Francesco Baldinotti, Solimano Erbosetti, Guido Baldi, Leopoldo Fidanza, Gaspare Matteo Leonesi, Antonio Bindocci, Giovanni Sgricci e l'inarrivabile Rosa Taddei, che tenne banco al teatro del Corso per quattro mesi (vedi avvisi in VI.19.234-240).
110 Si vedano avvisi e manifesti illustrativi in VII.20.42 e 68; VII.20.46; VII.20.47-56 e 58, e la "Gazzetta di Bologna", n. 45 del 1809, s.v. Illusioni ottiche.
111 Sul "prato di S. Francesco", nei pressi dell'omonima chiesa, si sistemò nel 1828, ad esempio, il serraglio di madame Tournaire "direttrice del Circo Imperiale dell'Accademia di equitazione in Pietroburgo", che vantava come attrattiva un elefante addomesticato e un rinoceronte, e nel 1838 si ammirò il "Gran Serraglio di belve vive" di Benedetto Advinent, domatore di professione, che prometteva di far assistere al "nuovo grandioso spettacolo del bagno del grande orso bianco" e al pasto delle belve "con pollastri e piccioni vivi". Nelle Scuderie Barbazza con accesso da via del Cane, tra il 1826 e il 1828 diedero spettacoli continuati il gran serraglio del sig. Giovanni Rossi (vedi VIII.32.12) e quello del sig. Gautier.
112 Cfr. "Gazzetta di Bologna", n. 53 del 1819.
113 In proposito si vedano le pagine di documentazione tratta dalle cronache, su esposizioni di animali esotici, esibizioni di funamboli e "ballarini da corda" in C. RICCI, I teatri di Bologna cit., Appendice IV, pp. 681-896.
114 Venne chiamato Sala delle Accuse il locale ricavato all'interno dell'ex Arte dei Merciai, situata appunto in via delle Accuse, nei pressi del Voltone del Podestà. Questa sala fu per decenni adibita a spettacoli popolari ed esposizioni d'ogni genere (vedi avvisi in VIII.30.10.1-3). Sugli "Androidi" dei Drotz si veda in "Teatri, Arti e Letteratura", n. 238 del 1828, s.v. Meccanica.
115 La Sala della Locanda del Leon d'Oro, in via Orefici, sede di popolari feste da ballo durante il carnevale, sembra fosse specializzata nell'esposizione di esseri umani con caratteristiche fisiche abnormi (vedi VIII.30.6.1-3 e 4).
116 Anche la Sala di palazzo Pepoli vecchio, con accesso dal Volto Sampieri, venne usata di norma per feste da ballo carnevalesche frequentate dalla borghesia. Occasionalmente ospitò 'accademie' (del sopranista cav. Sampieri, degli improvvisatori Clappié (VIII.30.4.3) e Anfrisio (VIII.30.4.1). La Sala Bottoni in via S. Stefano n. 90, si trovava all'interno dell'ex palazzo Rossi Turrini, inglobato nella costruzione dell'attiguo teatro del Corso, ma poi venduto al possidente ferrarese Giovanni Bottoni. Anche in questo caso la sala, riccamente affrescata, servì per eleganti veglioni (vedi IX.43.1-5), oltre ad essere adibita ad esposizioni, spettacoli (vedi III.9.1 e 2-3), ed incontri di scherma, quelli stessi che in precedenza si erano tenuti nell'atrio del teatro del Corso (vedi VI.19.62-63).
117 Cfr. C. RICCI, I teatri di Bologna cit., Appendice IV, pp. 665-671; ALESSANDRO CERVELLATI, Fagiolino & C. Storia dei burattini e dei burattinai bolognesi, Bologna, Arti Grafiche dell'Istituto Aldini Valeriani, 1964; e due saggi più recenti, rispettivamente di ROBERTO LEYDI, Burattini e marionette nel XVIII secolo (Venezia e Bologna) e di REMO MELLONI, Le marionette a Bologna nel XVIII secolo, in Il teatrino Rissone. Marionette, scene, costumi, attrezzeria e repertorio di un teatrino dell'Ottocento, Modena, Panini, 1985, pp. 19-24 e 25-28. Una certa confusione è dovuta al fatto che nei documenti i vocaboli "bambocci", "marionette", "burattini" vengono spesso usati come fossero sinonimi.
118 Dalla seconda metà del XVIII secolo la presenza di compagnie di marionettisti di professione divenne una consuetudine per i piccoli teatri del contado bolognese, modenese, ecc., che oltre alle recite dei dilettanti locali poco altro avevano da offrire. Qui le marionette sostituivano talora le troppo costose opere in musica o le compagnie comiche non sempre disponibili.
119 Cfr. G. GUIDICINI, Cose notabili cit., III, p. 98. Il così detto teatro Legnani era stato ricavato, per volontà del conte Girolamo Legnani, da un locale annesso al palazzo, posto al pianterreno e con accesso indipendente su via S. Mamolo al civico 35. Sempre a detta del Guidicini fu un "teatrino per burattini nel quale di carnevale si recitò per molti anni commedie estemporanee con intermezzi per musica", e in effetti il cronista Domenico Maria Galeati lo menziona spesso del suo Diario, dal 1769 in poi, citando talora i titoli degli intermezzi in musica, appositamente composti, che vi si diedero, e per alcuni dei quali venne stampato il libretto, come ad esempio per L'Alchimista per amore. Intermezzo a quattro voci posto in musica dal sig. Carlo Spontoni bolognese, da rappresentarsi nella sala annessa al palazzo del nobile sig. conte senatore Girolamo Legnani Ferri il carnevale dell'anno 1785, Bologna, Stamperia S. Tommaso d'Aquino, s.a. (vedi CMBM, libr. 9023). Su spettacoli, non datati, di marionette al teatro Legnani vedi avvisi in VIII.30.11.6-7).
120 Per il teatrino da marionette di casa Poggi sappiamo che Antonio Basoli nel 1809 dipinse la volta del soffitto e le lunette. La bella sala di Borgo Paglia, una volta smessi gli spettacoli marionettistici, venne usata per tenervi veglioni carnevaleschi a pagamento.
121 G. Guidicini nel suo Diario, cit., III, p.158, segnalava ai primi di gennaio del 1814: "S'è inaugurato un teatro nella chiesa di S. Tommaso del Mercato". La chiesa, posta all'angolo tra via Malcontenti e Mercato di Mezzo in effetti era stata soppressa fin dal 1806 e data in affitto, ma gli spettacoli previsti non poterono aver luogo, e il locale tornò ad essere adibito a deposito.
123 Il così detto Teatro Antico Corso delle Maschere era in via Mascarella e da questa strada in un certo senso traeva il nome: la tradizione popolare voleva infatti che qui avesse luogo nei tempi andati uno dei corsi carnevaleschi mascherati bolognesi. A quanto risulta fu locale d'una certa eleganza, dotato di palchetti, in funzione dagli anni '30 ma le prime notizie su di esso si traggono da una lunga recensione comparsa su "Teatri, Arti e Letteratura" in data 12 marzo 1835, a proposito di una messa in scena della Norma di Bellini "spettacolo mai rappresentato con marionette" (al Comunale l'opera era stata data per la prima volta nel 1833), che venne replicata per 4 sere, nella quale "più di 50 figure in perfetto costume agivano, oltre di che più memorabile rendevano questo trattenimento i cori in musica e i vari pezzi cantati da valenti soggetti". Lo spettacolo venne completato da balli pantomimici, si avvalse "di una nuova macchina di fantasmagoria" e anche di un nuovo tipo di marionette "all'uso di Napoli", fatte cioè con la stessa tecnica delle figure usate per i presepi napoletani.
124 Il bolognese Angelo Ruvinetti, già attivo sulla fine del XVIII secolo, fu conduttore di una modesta compagnia con cui percorreva il contado bolognese (lo troviamo a più riprese nei teatri di Medicina, Crevalcore, Pieve di Cento, ecc.), durante i periodi in cui a Bologna non si davano spettacoli marionettistici. In città trovò ospitalità in casa Cuzzani alle Moline, quindi al San Gabriele e infine, ormai avanti con gli anni, al San Saverio.
125 Per i primi anni di attività del teatro Nosadella vedi avvisi in VII.24.1-2 del 1819. Vista l'affluenza di pubblico, il redattore della "Gazzetta di Bologna" durante il carnevale del 1820 doveva convenire che anche gli spettacoli di marionette, finora ignorati, meritavano attenzione, soprattutto quelli dati al teatro Nosadella "onorato più volte da persone intelligenti e colte", dove agiva Onofrio Samoggia. Questi fu in effetti uno dei più rinomati ed abili marionettisti-impresari del secolo, autore di molteplici canovacci, impegnato in frequenti tournées. A Bologna lo troviamo per un paio d'anni al Nosadella, quindi nel teatrino di via del Poggiale, al S. Saverio ed ancora in via del Poggiale.
126 Intorno al marionettista Antonio Grandi vedi sonetto in XI.48.105; per l'opera buffa del 1832 si veda il libretto a stampa La nuova pianella perduta. Dramma buffo per musica da rappresentarsi in Bologna nei teatri Antico Corso delle Maschere e Nosadella la primavera dell'anno 1832, Bologna, Tipografia delle Muse, s.a. (CMBM, libr. 728).
127 Cfr. L'armur dla piazza d'giorn e d'la sira. Scherz del Narzis Pavel Diamant, esegué in t'al teater dla Nosadella al carneval del 1843, Bologna, Tiocchi, s.a. (CMBM, libr. 7569) e La lit in piazza e la pas in person o sia l'amour prutett dal giust, seguito degli Armur dla piazza scritto da Paolo Diamanti per la sua serata di beneficio il lunedì 13 novembre 1843 (CMBM, libr. 7568). L'episodio riguardante Rossini viene riferito da "Teatri, Arti e Letteratura" in data 4 febbraio 1843, ove si legge tra l'altro che "l'immortale Rossini, voglioso di sentire un po' di musica, ha formato una Società per passare una delle ultime serate di carnevale ai burattini della Nosadella". Un successo strepitoso infine si registrò, sempre al Nosadella, nel 1846 con la rappresentazione marionettistico-meccanica intitolata L'inaugurazione della strada ferrata della Laguna Veneta nella quale si vedevano "correre i vagoni".
128 Sulle "Narcisate"
e sulla maschera di "Persuttein", si rimanda
ancora una volta a CARLO G. SARTI, Il teatro dialettale
cit., pp. 166-170.
1. Come è noto, l'Accademia Filarmonica di Bologna
venne istituita nel 1666 per volontà del conte
Vincenzo Maria Carrati. Al pari delle altre accademie
del tempo ebbe una impresa (raffigurante un piccolo
organo), un motto (Unitate Melos), un patrono spirituale
(S. Antonio da Padova) e uno statuto (le "regole
Capitolari") che fissava le finalità (mantenere
alto il livello compositivo ed esecutivo della musica
ecclesiastica), le modalità di distribuzione
delle cariche interne (Principe, Consiglieri, Censori,
ecc.) e di accesso, previo esame di merito, per coloro
che aspiravano a farvi parte. Ebbe fin da principio
connotati corporativo-assistenziali in quanto costituita
esclusivamente da musicisti, suddivisi in tre classi:
Cantori, Suonatori, Compositori, ripartiti, a loro volta
in "numerari", cioè residenti a Bologna
ed eleggibili alle varie cariche, e "soprannumerari"
o non bolognesi. Ad essi l'Accademia offriva, oltre
all'onorifico titolo di accademico Filarmonico, anche
una serie di vantaggi pratici quali un attestato di
competenza musicale, utile per accedere agli organici
delle cappelle musicali ecclesiastiche in genere ed
indispensabile per entrare in quelle delle chiese bolognesi,
la garanzia di poter contare sulla solidarietà
dei co-accademici, e la possibilità di usufruire,
previa regolare contribuzione, dei benefici previsti
dalla Cassa del Sussidio (in caso di inabilità
o indigenza) e da quella del Suffragio (in caso di morte).
Alla morte del fondatore, avvenuta nel 1675, l'Accademia
ricevette in eredità una rendita vitalizia ed
una sede stabile, consistente in un paio di ambienti
posti al pianterreno di palazzo Carrati in via Cartoleria
Nuova (odierna via Guerrazzi), con i relativi arredi
ed una discreta dotazione di strumenti musicali.(129)
Da allora (e fino ad anni recenti) entro quella sede
si svolsero l'attività formativa e le prove pratiche
necessarie al conseguimento del titolo, si tennero riunioni,
si conservarono gli incartamenti, si arbitrarono controversie
teorico-musicali, e si diedero, ma in via eccezionale,
anche esecuzioni aperte al pubblico.
Ogni anno invece, in occasione della festività
del patrono S. Antonio da Padova, si celebrarono pubbliche
funzioni solenni nella chiesa di S. Giovanni in Monte
cui presenziarono sempre le autorità, gli ospiti
illustri di passaggio e gran parte della cittadinanza.
Durante queste celebrazioni, di cui resta una vivace
testimonianza nelle pagine del musicologo inglese Charles
Burney, venivano eseguite musiche (una Messa e un Vespro)
appositamente composte dai più rinomati tra gli
accademici.(130)
Nel corso del XVIII secolo, l'Accademia Filarmonica
più volte ritoccò i suoi Statuti (1721,
1741, 1773) per adeguarli alle esigenze del tempo, conquistò
privilegi, venne turbata da contrasti interni causati
da inevitabili gelosie professionali, non ultimo quello
riguardante la presenza del padre Giovambattista Martini.
Fu comunque la personalità di questo insigne
studioso, erudito, critico e raccoglitore infaticabile
di cimeli musicali, a conferire grande lustro e risonanza
internazionale alla Filarmonica che, al pari dell'Accademia
delle Scienze e della Clementina, contribuì al
primato culturale della Bologna settecentesca.(131)
Dalla seconda metà del secolo poi andò
aumentando il numero dei musicisti di nazionalità
straniera (il caso più noto riguarda il giovane
Mozart), dei "nobili dilettanti", e di prestigiosi
"accademici d'onore" aggregati all'Accademia.
Vi trovarono infine spazio, seppur marginale, anche
le donne musiciste, venne meno quel totale disinteresse,
fino ad allora predominante, nei confronti dell'attività
teatral-musicale, prese avvio, in altri termini, una
progressiva 'laicizzazione' musicale e la tendenza era
destinata ad accentuarsi nel secolo seguente.(132)
La Filarmonica infatti fu l'unica accademia bolognese
che riuscì a superare il passaggio dall'antico
al nuovo regime quasi indenne, grazie al concorso di
favorevoli circostanze, molteplici trattative e l'autorevole
sostegno del conte Giovanni Aldini,(133)
fratello del Segretario di Stato Antonio Aldini.
In sintesi, essa avrebbe dovuto costituire la 'sezione
musicale' di un Istituto Nazionale delle Scienze e delle
Arti, con sede nell'ex convento agostiniano di S. Giacomo
Maggiore dove, in effetti, tra il 1797 e il 1799 fu
collocato il cospicuo patrimonio librario, documentario
e di strumenti, proveniente dalle congregazioni religiose
soppresse, compresa la celebre biblioteca già
di padre Martini. In seguito alla mutata situazione
politica, il grandioso progetto tuttavia venne ridimensionato
e il Municipio decise di istituire a proprie spese una
scuola di musica pubblica, ovvero il Liceo filarmonico,
inaugurato il 30 novembre 1804 e primo in Italia. Come
concordato, i primi docenti furono tutti accademici
filarmonici ma l'Accademia, per parte sua, oppose strenua
resistenza alla fusione tra le due istituzioni temendo
(forse giustamente) di perdere identità, privilegi
e rendite, ma pagando a caro prezzo la sua anacronistica
pretesa di indipendenza.
Il Liceo filarmonico e l'Accademia rimasero pertanto
entità distinte, anche se interagenti: al primo
spettò il compito propedeutico di formare nuove
leve di musicisti, alla seconda di scegliere i migliori
e distribuire titoli onorifici pur sempre graditi. Durante
il periodo in cui resse il precario equilibrio tra le
due istituzioni, tuttavia, la "Gran Sala del Liceo"
fu il luogo deputato ad eventi musicali e mondani d'eccezione
quali l'avvio dei festeggiamenti per Napoleone e consorte
in visita alla città,(134)
l'esecuzione dell'oratorio della Passione di Stanislao
Mattei nell'aprile del 1806, la serata d'onore per Isabella
Colbran nel 1807, e l'esecuzione successiva (da parte
dell'accademia dei Concordi) di due complessi oratori
di F. J. Haydn, La Creazione del mondo nel 1808 e Le
quattro Stagioni nel 1811, fino ad allora mai sentiti
a Bologna.(135)
Anche in seguito, malgrado i sotterranei contrasti,
che non si placarono con il ritorno di Bologna alla
Santa Sede (dopo il 1815, anzi, la direzione del Liceo
passò sotto la municipale Assunteria di Pubblica
Istruzione), continuò a ripetersi il rito annuale
delle 'Funzioni Solenni' celebrate in S. Giovanni in
Monte dai Filarmonici ed entrate far parte delle consuetudini
cittadine, e pari rilievo cultural-mondano ebbero i
periodici saggi finali e le premiazione degli allievi
tenuti nella sala del Liceo filarmonico.(136)
2. A detta dei contemporanei, l'Accademia Polinniaca,
radunatasi intorno a Maria Brizzi Giorgi e quella chiamata
dei Concordi diretta da Tommaso Marchesi, ebbero un
ruolo importante nel rinnovamento del gusto musicale.
Dell'una e dell'altra si sa poco, a cominciare dalla
durata, dagli intenti e dalle connessioni con l'accademia
Filarmonica. Ambedue comunque arricchirono per alcuni
anni la vita musicale bolognese con le loro frequenti
esecuzioni, più o meno aperte al pubblico, discretamente
documentate per altro mediante avvisi, programmi di
sala, libretti, partiture, e quasi sempre segnalate,
e con parole d'encomio, dalla stampa periodica locale.
Altrettanto poco indagate finora sono state le personalità,
pur di notevole spessore, dei loro due animatori, della
pianista e compositrice Maria Brizzi Giorgi, già
figura di spicco durante il triennio giacobino,(137)
e di Tommaso Marchesi, accademico Filarmonico di vecchia
data e più volte eletto Principe, maestro al
cembalo per decenni nei teatri cittadini e in seguito
apprezzato docente.
Il cenacolo musicale noto col nome di 'accademia' o
'società' Polinniaca, costituito grazie alla
liberalità del conte Carlo Caprara, Gran Scudiero
del Regno, ebbe sede in casa di Maria Brizzi Giorgi.
Qui si tennero alcune accademie vocali e strumentali,
ad una delle quali nel 1806, prese parte, in qualità
di cantante, Gioacchino Rossini, a fianco del suo maestro
Matteo Babini e di Domenico Vaccani.(138)
Sempre nella "sala" di casa Giorgi, cui si
accedeva per invito, si eseguirono i due oratori che
impegnarono l'Accademia Polinniaca negli anni successivi:
La Passione di Paisiello nell'aprile del 1807 e l'oratorio
intitolato Giona in Ninive, espressamente composto da
Domenico Marulli nel 1808.(139) Alla
Giorgi poi fu affidato l'incarico ufficiale di comporre
cantate occasionali e di organizzare intrattenimenti
musicali per il Viceré, ospite sovente di casa
Caprara. La precoce morte di Maria Giorgi, avvenuta
nel gennaio del 1812, decretò la fine dell'Accademia
Polinniaca.(140)
Anche l'Accademia dei Concordi, scelta compagine orchestrale
istruita e diretta da Tommaso Marchesi, ebbe un protettore
illustre nella persona del marchese Massimiliano Angelelli
e si fece conoscere mediante una serie di concerti,
dati a palazzo Orsi, che fu la sua prima sede.(141)
Ottenne quindi l'autorizzazione a far uso della "Gran
Sala" del Liceo filarmonico, per esecuzioni di
notevole impegno come l'inedita "composizione veramente
sublime", secondo la "Gazzetta di Bologna",
intitolata La battaglia di Jena, per forte-piano, orchestra
e voci soliste, composta dall'ufficiale francese Michele
Braun, membro della Legion d'Onore (142)
e l'oratorio della Creazione di Haydn, fino ad allora
mai eseguito come si è detto, entrambe avvenute
entro il 1808. Nei due anni seguenti essa produsse una
serie di accademie vocali e strumentali molto apprezzate
e nel 1811 l'oratorio delle Stagioni in occasione della
nascita del figlio dell'Imperatore.(143)
L'apertura al pubblico di nuovi spazi per la musica
divenne entro breve tempo un'esigenza sentita da più
parti, e ritenuta assai utile soprattutto per i giovani
artisti appena diplomati al Liceo filarmonico e per
i nuovi compositori desiderosi tutti di farsi conoscere.
In tal senso, a poco potevano servire le sale private
gentilmente messe a disposizione, ma alle quali si accedeva
solo per invito, come quella del marchese Sampieri,
compositore dilettante di talento, che nel 1809 aprì
la propria casa per ospitare qualche concerto,(144)
sperimentando così le sue doti di efficiente
organizzatore di trattenimenti musicali che lo portarono
ad essere per più di un quarantennio "direttore
della musica" presso la Società del Casino
di Bologna.
Anche due teatrini che avevano fatto il loro tempo ed
erano ormai prossimi alla chiusura, il Felicini e il
Legnani, servirono come sale da concerto, gestite tra
il 1818 e il 1820 da un ristretto gruppo di orchestrali
diretti da Luigi Bortolotti, che prese il nome di Accademia
degli Armonici e successivamente degli Apollo-Armonici.(145)
In effetti, con la chiusura non solo del Felicini e
del Legani ma anche del Marsigli e del teatrino di via
Saragozza dopo gli anni '20, per tanti gruppi di dilettanti
come per altrettanti giovani cantanti e musicisti venne
meno la possibilità di affrontare la prova del
pubblico. Per tutti costoro fu provvidenziale l'iniziativa
del sig. Emilio Loup, uno dei più ricchi e intraprendenti
possidenti del tempo, svizzero di nascita ma bolognese
d'adozione e residente nell'ex palazzo senatorio dei
Calderini, prospiciente l'omonima piazza.(146)
È probabile che in una delle due grandi sale
di rappresentanza del palazzo esistesse ancora traccia
di un teatrino gentilizio, che il signor Loup fece riattare
per accogliere provvisoriamente l'Accademia Filodrammatica.(147)
A causa della definitiva chiusura del Marsigli, in cui
era solito esibirsi, e della temporanea indisponibilità
del teatro Contavalli, il gruppo più quotato
d'attori dilettanti bolognesi aveva infatti rischiato
di non poter dare il consueto corso di rappresentazioni
previsto per il carnevale 1823-1824, se non si fosse
provveduto alla tempestiva costruzione "d'un nuovo
elegantissimo privato teatro nel palazzo Ghisilieri,
ora Loup, onde non defraudare l'aspettativa del Pubblico
Bolognese".(148)
L'esperienza, pur limitata ad un paio di mesi, fu gratificante
e l'iniziativa ebbe un seguito. Nei primi mesi del 1827
nel palazzo Loup presero avvio i lavori di costruzione
di una vera e propria sala teatrale perfettamente attrezzata;
contemporaneamente Emilio Loup raccolse intorno a sé
un consistente numero di 'sottoscrittori' e costituì,
come si usava, una 'società' che avrebbe dovuto
sostenere e gestire il teatro e fruire dei suoi spettacoli.
Che poi il teatro Loup non dovesse essere considerato
alla stregua di un 'teatrino domestico' ma come sede
di una istituzione di pubblica utilità, lo si
ricava dalla lettera di presentazione (in data 3 dicembre
1827) rivolta al Legato con cui si chiedeva l'apertura
del locale, previo sopralluogo che ne verificasse la
solidità della struttura.
Subito vennero messe in funzione le due 'scuole di perfezionamento' gratuite, quella di recitazione diretta da Carlo Bruera (150) e quella di musica e portamento scenico affidata alla competenza di Tommaso Marchesi, per preparare gli spettacoli d'apertura.
3. Il teatro Loup venne inaugurato la sera del 30 dicembre 1827, alla presenza del Legato card. Albani e di tutte le autorità, con una recita (del Boemondo di Camillo Federici) da parte dei Filodrammatici, cui fece seguito, il 4 gennaio del 1828, la messa in scena de Il matrimonio segreto di Cimarosa. L'evento ebbe notevole rilievo sulle pagine dei giornali e il redattore di "Teatri, Arti e Letteratura" fornì ai suoi lettori una sommaria descrizione del locale, che risulta quanto mai preziosa, stante la scomparsa del manufatto:
Da altra fonte si apprende inoltre che il "comodo
palcoscenico" ebbe un sipario dipinto da Napoleone
Angiolini raffigurante "Il giuramento di Guglielmo
Tell per liberare la patria".(151)
Anche negli anni immediatamente seguenti si alternarono
recite e opere in musica e va detto subito che furono
queste ultime (Giulietta e Romeo di Vaccaj e Semiramide
di Rossini nel 1829, Tancredi sempre di Rossini nell'anno
seguente) a suscitare maggiore interesse da parte del
pubblico (152) e soprattutto l'attenzione
dei critici poiché costituirono un eccellente
banco di prova per il debutto di giovani talenti (Luigi
Pedrazzi, Carolina Ghedini, Marianna Brighenti, Anna
Fanti, ecc.) che poterono contare, il più delle
volte, su immediate scritture nel teatro professionale.
I moti dei primi mesi del '31, e la generale mobilitazione
che li caratterizzò, consentirono solo una fugace
apertura del teatro mentre l'appuntamento con l'opera
venne spostato all'anno seguente. Il 18 gennaio 1832
infatti "gli amatori del teatro corsero in folla
al teatro Loup alla rappresentazione della Cenerentola
data a favore degli emigranti". Nei mesi precedenti
tutti i teatri cittadini, dal Comunale al Corso al Brunetti,
avevano ospitato spettacoli di vario genere finalizzati
alla raccolta di fondi per aiutare coloro che erano
stati costretti all'esilio. A questa generosa gara,
cui avevano partecipato tanti artisti che si erano prestati
gratuitamente, si unì anche il teatro Loup con
una rappresentazione straordinaria appunto della Cenerentola
di Rossini nella quale si esibirono, a fianco degli
esordienti, due quotati interpreti come il basso Zucchelli
e il contralto Clementina Betti degli Antonj.
Anche l'orchestra giovanile (che prese il nome di Società
Filarmonica Felsinea), posta sotto la direzione di Giuseppe
Manetti, aveva acquistato in pochi anni sicurezza e
affiatamento impegnandosi in intermezzi strumentali
e in qualche 'accademia'.(153) Sempre
meno rilievo assunsero invece le recite a causa della
concorrenza di due altre formazioni agguerrite, dei
Concordi che agivano stabilmente al teatro Contavalli
e dei Solerti abitualmente ospiti del Brunetti.
Gli allestimenti d'opera invece proseguirono con una
certa regolarità: durante la Quaresima del 1834
fu la volta di un esilarante Ser Marcantonio, dramma
giocoso di Pavesi rielaborato dall'irresistibile basso
buffo, e compositore, Carlo Cappelletti, in cui si rivelarono
le buone doti di Giacinta Canonici mentre nel 1835,
con la messa in scena de Il turco in Italia, si distinse
Rita Gabussi. Poi, dopo tanti spartiti noti, l'onore
delle scene toccò a una novità assoluta:
il dramma lirico Elisa all'Alpi, su libretto di Quirico
Baratta, posto espressamente in musica da Carlo Badini.
Non risulta che né il compositore né il
librettista abbiano avuto particolare fortuna, per cui
sia nella primavera del 1837 come nell'autunno del '38
si fece ritorno a collaudati successi quali il melodramma
giocoso Il nuovo Figaro di Luigi Ricci e la farsa rossiniana
intitolata L'inganno felice. A questo punto la serie
degli allestimenti operistici tuttavia si interrompe,
forse a causa dell'apertura di un altro elegante ed
elitario teatrino presso la Società del Casino,
o piuttosto per i troppi e gravosi impegni ufficiali
assunti dal Manetti, sulle cui spalle ormai gravava
tutto l'impegno del settore musicale del teatro Loup,
dopo il ritiro del Marchesi. Fu proprio il Manetti ad
utilizzare comunque il palcoscenico del teatrino privato
nel 1845 per dare un pubblico saggio della preparazione
raggiunta dai giovani violinisti suoi allievi, primo
tra tutti Carlo Verardi.
Un altro saggio, magari meno prestigioso, fu quello
dato dalle adolescenti allieve di Amalia Dauché
Longhi "educatrice di fanciulle" e del maestro
di ballo Giuseppe Lucca nel 1847.(154)
È poi necessario attendere vari anni prima di
trovare, nel dicembre del 1855, uno spettacolo di un
certo impegno con la messa in scena della Gabriella
di Vergy di Donizetti, interpretata dagli allievi della
scuola di canto di Luigi Zamboni. Infine nel 1858, anno
della morte di Emilio Loup, il suo teatro chiuse definitivamente
i battenti.
4. Il nome di Francesco Giovanni Sampieri ricorre di
frequente nelle cronache musical-mondane della prima
metà del XIX secolo, come promettente compositore
in gioventù, in seguito, e per un buon quarantennio,
in qualità di 'Direttore della Musica' presso
la Società del Casino di Bologna, al cui prestigio
contribuì in modo determinante. Nobile, ricco,
colto ed elegante, Sampieri può essere considerato
un esponente di spicco di quel dilettantismo ottocentesco
di buon livello, che pure ebbe tanti meriti nella diffusione
della cultura musicale.(155)
Non aveva ancora vent'anni e già si era conquistato
un certo credito nell'ambito cittadino, quando vennero
gettate le basi per la costituzione di una nuova Società
del Casino, ed è probabile che egli partecipasse
alla stesura del regolamento.(156)
Lo Statuto, elaborato sul finire del 1809, contemplava
infatti al capitolo II (Dei concerti e accademie di
musica), la nomina di un Direttore responsabile del
settore, affiancato da sette soci di seconda classe
("professori e dilettanti di musica") e da
cinque signore ("intelligenti di musica"),
cui sarebbe spettato il compito di organizzare ogni
giorno festivo un concerto, e tra i mesi di novembre
e giugno almeno quattro grandi accademie con accompagnamento
di orchestra.(157)
Sampieri naturalmente venne eletto 'Direttore della
Musica' all'unanimità e non appena si entrò
in possesso della nuova sede societaria, collocata al
piano nobile di palazzo Lambertini in Strada Santo Stefano,
diede avvio ai concerti domenicali. Essi non si discostavano
forse dalle esibizioni dilettantesche che imperversavano
nei salotti privati, ma divennero comunque una piacevole
consuetudine. A questi si aggiunsero le 'grandi accademie'
con la partecipazione di professionisti (cantanti o
virtuosi di qualche strumento), supportati da dilettanti
o allievi meritevoli delle scuole di musica, accompagnati
dal piano o dall'orchestra, nonché l'esecuzione
di composizioni a carattere celebrativo, come la cantata
intitolata La nascita del Re di Roma, per voci soliste,
doppio coro e orchestra, data il 5 luglio 1811, o auto
promozionali se vogliamo, in quanto musicate dal Sampieri
stesso, come le cantate Deucalione, del 1813, e Fille,
Licori e Clori, del 1814.(158)
La periodicità e frequenza di questi appuntamenti
musicali venne confermata dallo Statuto steso nel 1823
in occasione del trasferimento della sede del Casino
al primo piano di palazzo Bolognini Amorini in piazza
S. Stefano. In esso si concedeva inoltre sempre più
ampio margine di discrezionalità al Direttore
della Musica sia nella programmazione che nelle scelte,
la facoltà di nominare due collaboratori di fiducia
abilitati a sostituirlo durante sue eventuali assenze
(furono Antonio Zoboli e il marchese Gaetano Conti Castelli)
e di un direttore d'orchestra esterno alla società
e ben retribuito (nell'incarico venne riconfermato Tommaso
Marchesi). Restava inteso che sia i professionisti che
gli strumentisti dell'orchestra sarebbero stati compensati
per le loro prestazioni.(159)
Già in precedenza, per più di un biennio,
Tommaso Marchesi era stato chiamato a sostituire l'assente
Sampieri, e a lui si dovettero le grandiose esecuzioni
di oratori di Haydn, la prima consistente in una ripresa
de La creazione del Mondo nel 1819, la seconda nell'esecuzione,
in prima assoluta per Bologna, de Le sette parole di
Cristo sulla Croce nel 1821.(160)
Non sarà certo il caso di elencare programmi
ed esecutori delle accademie di routine affidate a volonterosi
dilettanti o a solisti più o meno noti, ma vale
la pena ricordare che dal 1824 sfilarono al Casino,
sempre su invito del Sampieri, tutte le celebrità
nazionali e internazionali del bel canto: Giovanni David,
Domenico Donzelli, Enrichetta Meric Lalande, Antonio
Poggi, Giulia Grisi, Cesare Badiali, Giuditta Pasta,
Carolina Ungher, Erminia Frezzolini, ecc., sempre festeggiati
ed accolti spesso con omaggi poetici e medaglie-ricordo.
E si applaudirono con pari entusiasmo virtuosi di vari
strumenti, come i violinisti Rolla, Sighicelli ed Emiliani,
il violoncellista Parisini, il mandolinista Vimercati,
l'oboista Centroni, fino ad arrivare alla fugace apparizione
dell'incomparabile Franz Listz nel dicembre del 1838.
Particolare rilievo ebbero inoltre le successive esibizioni
(dal 1832 al 1835) di Maria Malibran, sempre pronta
a dedicare una serata al Casino ad ogni suo soggiorno
in città.(161)
Fin dal 1829 Sampieri aveva pensato di sostituire di
tanto in tanto le consuete accademie, consistenti in
esecuzioni di brani staccati e oltre a tutto ben noti,
con esecuzioni di spartiti operistici completi, possibilmente
inediti, da darsi in forma di concerto. Fu così
che si udì per la prima volta a Bologna nel 1829
il Mosé di Rossini nella versione parigina (ma
il libretto venne tradotto in italiano per l'occasione)
e nel 1836 il rossiniano Guglielmo Tell, ancora vietato
nei teatri dalla censura papalina a causa del 'libertario'
libretto.(162)
Già nel 1834 nella sala grande adibita ai balli
e ai concerti era stato sistemato un succinto teatrino
che venne sperimentato per la prima volta con una serie
di "trattenimenti filodrammatici", che costituirono
un evento eccezionale in quanto le recite non rientravano
tra le attività promosse dalla Società
del Casino.(163) Solo nel 1841 si
giunse però alla realizzazione "nei magnifici
appartamenti della società del Casino di una
nuova grande sala riservata agli spettacoli musicali,
più elegante per decorazione e per effetto armonico,
di quella comunemente usata come sala da ballo",
come enfaticamente annunciava il redattore di "Teatri,
Arti e Letteratura". Il bel teatrino dunque venne
inaugurato nel giugno dello stesso anno con la messa
in scena della Giovanna di Napoli di Donizetti, cantata
dai celebri principi Poniatowski attorniati da dilettanti.
Chiuse la serata "una festa da ballo riccamente
servita, offrendo ai Principi i loro ritratti e facendosi
dalla Banda Militare, quivi chiamata, intonare un pezzo
di musica di composizione del principe Maestro".(164)
I principi melomani fecero ritorno nel 1843 per cantare
nella Linda di Chamounix, sempre di Donizetti, e il
successo fu anche superiore alla volta precedente, perché
lo spartito era ancora inedito per Bologna.
Fu tuttavia l'ultimo evento musicale degno di nota all'interno
della Società del Casino: negli anni che seguirono,
politicamente sempre più complessi e difficili,
diradarono gli inviti e proseguirono solo le consuete
accademie. Ancora nel 1850 Sampieri venne riconfermato
Direttore della Musica; subito appresso ritenne opportuno
trasferirsi a Parigi, precedendo di poco l'ordine di
scioglimento della Società del Casino.
5. Il bolognese Luigi Ploner fu un bravo attore dilettante
e un prolifico drammaturgo, anche se di modesta levatura.
Ebbe però mano felice nello scrivere farse ed
atti unici con trame semplici, dialogare vivace, ambientazione
realistica.(165) Uno dei suoi atti
unici si intitola Gran serata di beneficio ed ha per
argomento il fanatismo, assai diffuso tra i frequentatori
dei teatri d'opera, nei confronti delle dive del bel
canto. L'azione si svolge infatti all'interno di un
teatro, rimbalza anzi tra due palchetti contigui i cui
occupanti sono in attesa di celebrare il trionfo della
'seratante' prediletta, armati di bouquets di fiori
profumati e di "mazzi di stampa a diverse dimensioni:
canzoni, epigrafi, sonetti" (come specifica la
didascalia originale), con cui inondare, alla fine dello
spettacolo, il palcoscenico.
Sia la tradizione delle 'beneficiate', sia quella degli
omaggi poetici, sono da gran tempo scomparse dai nostri
teatri, ma hanno lasciato di sé ampia testimonianza.(166)
La consuetudine delle 'serate di beneficio', coi suoi
rituali riprodotti efficacemente dal Ploner, vantava
lontane origini legata com'era al mondo della Commedia
dell'Arte ma, oltre a costituire un riconoscimento di
eccellenza, aveva risvolti più prosaici. Ogni
artista di qualche merito infatti, nel corso di una
stagione di recite, per contratto aveva diritto ad una
serata il cui ricavato, dedotte tutte le spese, gli
spettava. In quanto 'titolare della serata' gli era
data poi facoltà di scegliersi, all'interno del
corrente repertorio, le parti o i brani che meglio avrebbero
fatto risaltare le sue doti.
Anche gli 'applausi poetici', componimenti in versi
rivolti ad artisti di teatro e dispensati in occasione
di spettacoli particolarmente ben riusciti, avevano
origini antiche dal momento che la loro comparsa risale
al XVII secolo e coincide con l'affermazione dei teatri
pubblici. Lasciati manoscritti oppure dati alle stampe
per lo più sotto forma di fogli volanti, pieghevoli,
o talora riuniti a formare piccole raccolte, essi occupano
un consistente settore della poesia encomiastica per
così dire di consumo (anche se nessuno ha mai
tentato un seppur parziale censimento). Di valore letterario
per lo più irrilevante, monotonamente infarciti
di metafore, iperboli e di stucchevoli riferimenti al
mondo classico buoni per tutte le occasioni, questi
componimenti possono essere però di grande interesse
documentario, grazie ai dati forniti nelle intestazioni:
risultano utili per ricostruire i curricoli dei singoli
artisti e la cronologia degli spettacoli rappresentati
nei vari teatri di città come di provincia, oltre
che per conoscere gli orientamenti e le predilezioni
del pubblico.
Nel XVII secolo per tessere le lodi dei mitici protagonisti
della scena si fa ricorso in prevalenza alle raccolte
poetiche 'monotematiche' prodotte in ambiti accademici
(167) e i fogli volanti sono ancora
rari, ma nel corso del Settecento la produzione di questi
ultimi cresce in modo considerevole poiché, ai
sonetti dedicati a virtuosi dell'opera in musica (prime
donne e castrati), a ballerini, ad attori di professione
(sempre in netta minoranza), si aggiungono i componimenti
diretti ai dilettanti, nella stesura dei quali anzi
troviamo impegnati tutti i Pastori d'Arcadia.(168)
La produzione aumenta a dismisura entro la prima metà
dell'Ottocento, procedendo di pari passo con l'aumento
del numero degli spettatori, delle tipologie spettacolari
e dei luoghi teatrali, quindi lentamente diminuisce
(169) fino a scomparire.
Il contenuto degli attuali cartoni comprendenti i così
detti 'applausi poetici', ove sono confluiti prevalentemente
materiali della prima metà dell'Ottocento, è
ben rappresentativo al riguardo. Il nucleo più
consistente, come sempre, è costituito dai galanti
omaggi poetici rivolti alle prime donne cantanti, autentiche
dive del palcoscenico, che superano di gran lunga i
colleghi tenori pur ben piazzati. Anche i balli registrano
un buon livello di gradimento e i sonetti premiano equamente
coreografi e ballerine, in attesa queste ultime di diventare,
intorno alla metà del XIX secolo, oggetto di
autentico fanatismo.(170)
Per quanto riguarda gli attori di professione si nota
invece una lieve inversione di tendenza in quanto gli
uomini, cui spettano gli ambiti ruoli di eroi tragici,
superano al momento le attrici tra le quali, anche prima
del predominio scenico esercitato da Adelaide Ristori,
si trovano pure acclamate interpreti come la Marchionni
e la Bazzi.(171) Nell'ambito del
teatro recitato tuttavia la maggior parte degli omaggi
poetici è rivolta alle prestazioni dei dilettanti,
in funzione di sostegno e di incoraggiamento per le
loro fatiche non altrimenti compensate e come premio
per il buon livello di preparazione raggiunto: le lodi
infatti vengono giustamente distribuite tra tutti i
componenti delle varie formazioni, ai loro direttori,
o ai singoli recitanti.
La produzione di sonetti encomiastici, infine, coinvolge
anche tutti coloro che a vario titolo fanno parte del
mondo dello spettacolo, dai proprietari dei teatri ai
decoratori di interni, Basoli in testa, dagli impresari
ai macchinisti, e si allarga democraticamente ai cavallerizzi
e ai marionettisti, senza dimenticare gli amatissimi
giocatori di pallone, ai quali non mancarono sostenitori
dotati di estro poetico.
6. La gentile consuetudine di comporre, stampare e
diffondere omaggi poetici rivolti agli artisti prediletti,
non conobbe limiti né confini, e si ripeté
puntualmente in tutti i teatri pubblici e privati, grandi
o piccoli che fossero. Anche nella presente raccolta
pertanto si trovano alcuni 'applausi poetici' che non
si riferiscono a spettacoli dati a Bologna. La gran
parte di questi tuttavia è dedicata a cantanti
bolognesi di nascita dei quali, anche da lontano e con
comprensibile orgoglio municipale, si seguivano le varie
tappe della brillante carriera conservandone gli attestati
(è questo il caso di alcuni componimenti per
Carolina Passerini, Emilia Boldrini, Antonio Tamburini,
ecc.). Altri sono diretti ai protagonisti di eventi
musicali di particolare rilievo avvenuti in aree limitrofe,
come dovettero essere nel 1812 l'inaugurazione dell'attesissimo
e sfortunato Nuovo Teatro di Imola con il dramma eroico
I riti di Efeso del Farinelli (172)
o l'ottima esecuzione della Sonnambula di Bellini data
a Pieve di Cento nel novembre del 1844, che si meritò
una lusinghiera recensione su "Teatri, Arti e Letteratura",
oppure quella della Lucia di Lammermoor al teatro Maiocchi
di Cento nel '45 con la partecipazione di un nutrito
cast vocale bolognese.(173)
Non mancano del resto, anche tra gli avvisi, documenti
che si riferiscono all'attività dei piccoli teatri
del contando che di quelli cittadini costituirono il
corollario, grazie ai vicendevoli rapporti da sempre
intrattenuti tramite le accademie che li gestirono e
grazie anche all'autorevole interessamento delle famiglie
nobili (Pepoli, Marsigli, Hercolani, ecc.) che avevano
vasti possedimenti e tenute nei dintorni. Valga per
tutti l'esempio dei contatti intercorsi tra la Comunità
di Medicina e il marchese Francesco Albergati che consentirono
a quest'ultimo di fare uso a fini per così dire
personali, tra il 1781 e il 1787, di quel teatrino,
ma che servirono anche ad alzare sensibilmente il livello
qualitativo degli spettacoli medicinesi.(174)
Volendo accennare dunque brevemente ai teatri in funzione
nel contado fin dai primi decenni del Settecento, è
quasi doveroso ricordare la piacevole esperienza toccata
a Charles de Brosses che, giunto a Bologna nel settembre
del 1739, trovò i teatri cittadini inattivi mentre
la 'bella società' (per la quale "il primo
e più essenziale fra tutti i doveri è
quello di andare tre volte alla settimana all'opera"),
impegnata nel rito del 'villeggiare', aveva trasferito
in campagna il trattenimento prediletto dell'opera in
L'opera non sta qui - osservava
con malizia il viaggiatore francese - non ci andrebbe
nessuno, sarebbe troppo borghese; invece siccome si
trova in un villaggio a quattro leghe da Bologna, fa
fino esservi assidui. Sa Iddio se cavalieri e damigelle
potrebbero fare a meno d'attaccare quattro cavalli di
posta ad una berlina e di volare fin là da tutte
le città vicine, come ad un appuntamento [
].
Per essere un'opera di campagna, è più
che decente.
Più che l'opera seria (Odio vinto dalla gelosia)
allora in programma, egli apprezzò la brillante
esecuzione della farsa pergolesiana de La serva padrona
usata come intermezzo tra gli atti, a tal punto che
si diede da fare per procurarsi lo spartito originale
da portare con sé in Francia.(175)
Il 'teatro di campagna' cui si accenna nel passo, pur
senza direttamente menzionarlo, è quello di S.
Giovanni in Persiceto, uno dei pochi invero, assieme
a quello di Cento, in grado di mettere in piedi costosi
allestimenti di opera in musica in occasione della fiera
settembrina (anche se a rischiare in questi casi furono
gli intraprendenti impresari e non le singole comunità).
Ma a prescindere da questo particolare non di poco conto,(176)
va detto che contemporaneamente erano attivi cinque
teatri ubicati in linea d'aria a pochi chilometri di
distanza l'uno dall'altro (a Cento, Pieve di Cento,
S. Giovanni in Persiceto, Crevalcore, S. Agata Bolognese),
cui facevano da contraltare nella pianura di nord-est
quelli di Medicina, Budrio, Castel S. Pietro, e in montagna
quello di Porretta.
Tutti di proprietà più o meno comunale
e di fondazione tardo secentesca, nel corso del Settecento
essi vennero rinnovati secondo canoni estetici analoghi
(con l'adozione cioè del modello bibbienesco),
uniformati nella scelta dei repertori (costituiti ora
in prevalenza da tragedie francesi tradotte e commedie
goldoniane), e fatti oggetto di cure sollecite da parte
delle amministrazioni comunali ma anche di interminabili
contese tra quanti aspiravano ad avervi accesso, possibilmente
gratuito.
Tutti infine furono affidati in gestione alle locali
accademie (dei Candidi Uniti, Indifferenti Risoluti,
Illustrati, Illuminati e Citaristi, ecc.), che direttamente
curavano le recite dilettantesche che si davano a carnevale,
e che avevano facoltà, per il resto dell'anno,
di organizzare trasferte, accettare o respingere le
richieste provenienti da impresari, capocomici o marionettisti
di passaggio, come è possibile constatare dai
documenti conservati nei rispettivi archivi storici
comunali e dalla lettura delle cronache locali.(177)
Con l'arrivo dei Francesi le accademie vennero sciolte,
ma furono subito rimpiazzate da altrettante 'Unioni
di Dilettanti' che intensificarono anzi gli scambi con
i gruppi di filodrammatici di città 178 ed assunsero
il compito di animatrici della vita teatrale locale,
avendo come ambizione massima e obiettivo comune l'allestimento
in proprio dell'opera.
Contemporaneamente al rinnovato impulso che animò
i teatrini 'storici' del contado nei primi decenni dell'Ottocento,
ogni borgata, anche la più defilata, volle dotarsi
di un locale da adibire a teatro, da Molinella a Castelguelfo,
da Poggio Renatico a S. Giorgio di Piano, da Minerbio
a Baricella, dilatando ulteriormente gli orizzonti della
fruizione teatrale.
NOTE:
129 Cfr. NESTORE MORINI, L'Accademia Filarmonica di Bologna (1666-1966). Fondazione e vicende storiche, Bologna, Tanari, 1967; LAURA CALLEGARI HILL, L'Accademia Filarmonica di Bologna (1666-1800). Statuti, indici degli aggregati e catalogo generale degli esperimenti d'esame nell'Archivio, con introduzione storica, Bologna, AMIS, 1991; OSVALDO GAMBASSI, L'Accademia Filarmonica di Bologna. Fondazione, statuti e aggregazioni, Firenze, Olschki, 1992; Accademia Filarmonica di Bologna, a cura di Romano Vettori, Bologna, Alfastudio, 2001. All'atto della fondazione risultavano aggregati cinquanta autorevoli musicisti (maestri di cappella, docenti, virtuosi di vari strumenti), che acclamarono come primo 'Principe' il conte Vincenzo M. Carrati, il quale volle, con disposizione testamentaria, che, dopo di lui, in seno all'Accademia fosse sempre presente un rappresentante della sua famiglia.
130 Cfr. CHARLES BURNEY, Viaggio musicale in Italia, a cura di Enrico Fubini, Torino, EDT, 1987, pp. 196-199. Durante il soggiorno a Bologna, dal 21 al 30 agosto 1770, il Burney ebbe colloqui con il padre Martini e con il Farinello (ma anche con Laura Bassi Veratti), incontrò casualmente il giovane Mozart, fu per una sera al teatro Comunale, assistette alla festa della Porchetta e alla "funzione solenne" in onore di S. Antonio da Padova, di cui lasciò un'ampia descrizione della quale riportiamo i passi salienti: "Il 30 agosto ha luogo, mattina e sera, la pubblica esecuzione annuale nella chiesa di S. Giovanni in Monte [ ]. L'orchestra era assai numerosa, composta di circa cento esecutori, tra voci e strumenti. Vi sono nella chiesa due grandi organi, uno ad ogni lato del coro, ed oltre a questi, ne fu aggiunto per l'occasione uno più piccolo di fronte, proprio alle spalle del compositore e dei cantanti. Gli esecutori stavano in una galleria che formava un semicerchio intorno al coro [ ]. Erano presenti a questa esecuzione tutti i critici di Bologna e delle città vicine, e la chiesa era straordinariamente affollata. Nel complesso godetti assai di questo concerto; la varietà dello stile e il valore delle musiche erano tali da fare onore non soltanto alla filarmonica ma alla società stessa di Bologna che in ogni tempo è stata feconda di ingegni ed ha prodotto un gran numero di uomini di talento in tutte le arti".
131 Cfr. Collezionismo e storiografia musicale nel Settecento. La quadreria e la biblioteca di padre Martini, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1984.
132 Prima donna ad essere aggregata all'Accademia Filarmonica fu nel 1773 la viennese Marianna Martinez in qualità di compositrice, seguita nel 1779 dalla romana Maria Rosa Coccia. Tra il 1789 e il 1800 al novero si aggiunsero Benedetta Ercolani Zagnoni (vedi sonetto in X.47.2), Francesca Montalti Flaviani, Teresa Albergati Checchi, Anna Ponziani, Genoveffa Canevazzi Grenier, tutte dilettanti di canto o di strumenti. Per quanto riguarda i cantanti di professione, oltre all'antesignano Carlo Broschi detto il Farinello, entro la fine del secolo vennero fatti accademici Girolamo Crescentini (1789) e Giacomo David (1790). Sulle tendenze generali, i criteri iniziali e gli orientamenti successivi nelle aggregazioni si veda L. CALLEGARI HILL, L'Accademia Filarmonica cit., pp. 77-89.
133 In riconoscimento dei suoi meriti, nel 1804 Giovanni Aldini venne nominato accademico Filarmonico d'onore. Le vicende di questo periodo sono esposte, non sempre in modo obbiettivo ed approfondito, da N. MORINI, L'Accademia Filarmonica cit., pp. 122-128; 133-137; 141-143 e da PIETRO SANTI, Municipio bolognese, teatro Comunale, Liceo Filarmonico, in Due secoli di vita musicale. Storia del teatro Comunale, a cura di L. Trezzini, Bologna, Alfa, 1966, I, pp. 156-189.
134 Dalla "Gazzetta di Bologna" (n. 50 del 21 giugno 1805) apprendiamo che per l'arrivo dell'Imperatrice a Bologna era stata predisposta al Liceo filarmonico l'esecuzione di una "splendida Cantata" su testo di Paolo Costa e musica di Tommaso Marchesi con la partecipazione di cinquanta coristi ed altrettanti strumentisti collocati davanti ad un arco trionfale posticcio. L'illustre ospite, affaticata per il viaggio, non intervenne ma la cerimonia si effettuò lo stesso.
135 Stanislao Mattei, già allievo prediletto del padre Martini, Principe della Filarmonica nel 1803 (vedi sonetto in X.47.23), 1808, 1818, docente di contrappunto al Liceo filarmonico, era a quel tempo il compositore bolognese più rappresentativo. All'esecuzione della sua Passione (già composta fin dal 1797) prese parte come cantante Gioacchino Rossini, che un paio di mesi appresso ottenne l'aggregazione alla Filarmonica. Un rilievo particolare assunse la 'grande accademia' che ebbe come protagonista il soprano Isabella Colbran dopo il successo riscosso al teatro Comunale, tanto da meritare un lungo resoconto sulla "Gazzetta di Bologna" (n. 32 del 19 aprile 1807). Se poi l'esecuzione de La Creazione nella primavera del 1808 lasciò parte del pubblico un poco disorientata, quella de Le Stagioni fu assai bene accolta e a tutti gli interpreti, dal maestro al cembalo Rossini al primo violino Boschetti ai solisti Manfredini, Pedrazzi e Celli, vennero tributati poetici encomi (vedi ode saffica in X.47.55).
136 Sulle 'feste musicali' per la ricorrenza del santo protettore dell'accademia Filarmonica vedi avvisi in I.1.2-7 e sonetto in X.47.9; sulle cerimonie di distribuzione dei premi agli allievi del Liceo filarmonico vedi III.11.2-3 e l'anacreontica in X.47.83.
137 Maria Brizzi (1775-1812), nata in una famiglia di valenti musicisti, dotata di bella voce, eccelse come suonatrice di cembalo e forte-piano e come compositrice. Diciottenne aveva sposato l'avvocato Luigi Giorgi, ne aveva condiviso le idee liberali e la passione politica. Con l'arrivo dei Francesi aveva offerto il proprio contributo istruendo musicalmente la Guardia nazionale e partecipando alle iniziative del Teatro Civico. In seguito trasformò la propria casa in un cenacolo, venne aggregata all'accademia Filarmonica nel 1806 e la sua fama si estese anche all'estero tanto da essere apprezzata da Clementi e Haydn. L'ammirazione fu reciproca perché alla Brizzi spetta in parte il merito d'aver diffuso in città l'interesse per la musica strumentale fino ad allora poco apprezzata.
138 Cfr. avviso in VIII.31.4.1-2. L'accademia Polinniaca venne aperta quasi certamente nel 1806 perché ne dà notizia la "Gazzetta di Bologna" (n. 95 del 1806), chiarendo che essa era "costituita da Filarmonici". In quello stesso anno in effetti la Brizzi veniva aggregata all'Accademia Filarmonica. Per non ingenerare ulteriori confusioni, va detto che tutte le associazioni culturali ufficialmente costituite e dotate di regolamento interno, venivano dette 'accademie', ed anche i loro intrattenimenti pubblici erano chiamati 'accademie' in quanto costituivano dei 'saggi accademici'. Per estensione, il termine 'accademia' finì per indicare qualunque esibizione pubblica individuale. Erano pertanto dette 'accademie vocali e strumentali', i concerti in cui dei virtuosi di canto si esibivano con accompagnamento d'orchestra.
139 Cfr. La Passione di Gesù Cristo. Componimento sacro posto in musica dal celebre Maestro Paisiello da eseguirsi la sera del 20 marzo 1807 nella Sala dell'accademia Polinniaca di Bologna, Bologna, Masi, s.a. (CMBM, libr. 3876) e Giona in Ninive. Azione sacra espressamente composta per la Società Polinniaca di Bologna per servire di seconda parte alla grande Accademia che si darà nella Sala della Società stessa la sera del 12 aprile 1808. La musica del tutto nuova è del rinomato sig. cav. Domenico Marulli, accademico Filarmonico e membro di detta società Polinniaca, Bologna, Sassi, s.a. (CMBM, libr. 2888).
140 Cfr. Per Lissa sorpresa dalla Marina italiana sotto gli ordini di S.A.I. e R. Eugenio Napoleone. Componimento drammatico in musica eseguito in presenza dell'A.S. nel suo arrivo in Bologna il 29 ottobre 1810, Bologna, Masi, s.a. (CMBM, libr. 2218). Sui festeggiamenti musicali organizzati dalla Brizzi Giorgi si veda di GASPARE UNGARELLI, La festa del Vicerè, pubblicazione per nozze Bianchi-Agostinelli, Bologna, Azzoguidi, 1890.
141 Sull'accademia musicale dei Concordi (da non confondere coll'omonimo gruppo di filodrammatici recitanti al teatro Contavalli), resta una annotazione un poco sfuocata dal tempo, a firma di Augusto Aglenbert comparsa sul periodico "Il Felsineo" (n. 2 del 1844): "Fu dal 1809 al 1812 che l'Accademia detta dei Concordi, primieramente collocata nel palazzo Orsi, ebbe poscia sede, previa annuenza del Municipio, nella grande Aula del Liceo, ed allora egregi professori e dilettanti ebbero campo di sperimentare per la prima volta le classiche opere di Haydn, della Creazione e Le Stagioni. Abbegnaché il rinomato m(aestr)o Tommaso Marchesi ne fosse costituito Direttore, pure Rossini, alunno allora della scuola, poté assecondare il vasto suo genio specialmente nelle su menzionate Stagioni, la esecuzione delle quali venne a lui intieramente commessa. Prosperò l'Accademia specialmente mercé il favore del marchese Massimiliano Angelelli". Sulle accademie vocali e strumentali dei Concordi si vedano gli avvisi in VIII.30.3.1-2. Tra gli autori dei brani strumentali eseguiti spiccano i nomi di compositori come Beethoven e Haydn.
142 La recensione compare sulla "Gazzetta di Bologna" (n. 23 del 1808); la partitura originale de La battaglia di Jena si conserva presso l'Archivio dell'Accademia Filarmonica. L'esecuzione, di grande impatto emotivo (si tratta di 34 numeri musicali descriventi le varie fasi della battaglia, ciascuno dei quali viene introdotto dal suono della grancassa), piacque molto e l'autore, Michele Giovambattista Braun, fu oggetto di poetici omaggi (vedi X.47.40-41). Forse venne ripetuta al teatro Felicini, come lascerebbe supporre la lettura di un altro sonetto (in X. 47.42), rivolto a Gaetano Dalla Noce, nuovo proprietario appunto del Felicini.
143 Cfr. La Creazione del mondo. Oratorio sacro, musica del sig. maestro Giuseppe Haydn, da eseguirsi in Bologna nella Sala dell'Accademia dei Concordi la sera delli 6 aprile 1808, Bologna, Fratelli Masi, s.a. (CMBM, libr. 2516) e Le Quattro Stagioni poste in musica dal sig. maestro Giuseppe Haydn che l'Accademia dei Concordi nella universale esultanza per la nascita del re di Roma festeggiando un sì fausto avvenimento farà eseguire nella grand'aula del Liceo filarmonico nel maggio del 1810, Bologna, tipografia Ramponi, s.a. (CMBM, libr. 2524). Nel caso della Creazione, si tratta della prima esecuzione in Italia, per quanto riguarda Le Quattro Stagioni l'esecuzione bolognese seguì di un anno quella data al Conservatorio di Musica di Milano.
144 Vedi avviso a stampa e relativi inviti in VIII.31.1-3.
145 Dopo il 1815 il palazzo Felicini venne acquistato da Giuseppe Mazzacorati che non parve troppo intenzionato a mantenere in funzione l'annesso teatro limitandosi ad ospitare, per qualche anno ancora, società private di declamazione e di musica come appunto l'accademia degli Armonici (vedi avvisi in VII.20.59 e 61-62; VI.30.14-16, un invito non intestato in IX.44.26, e sonetti per le giovani che vi si esibirono, Teresa Ruggeri e Albina Stella, in X.47.87-88). Luigi Bortolotti fu accademico Filarmonico e più volte eletto Principe; la Ruggeri e la Stella, diplomate giovanissime al Liceo filarmonico, fecero poi carriera come cantanti. A documentare un'attività musicale presso la sala del teatro Legnani, per altro ignorata, restano un avviso e un invito in VIII.30.11.2 e 4).
146 Cfr. G.GUIDICINI, Cose notabili cit., I, pp. 165-166. Per estinzione della famiglia Calderini nel 1786, il palazzo passò in eredità al sen. Francesco Pio Ghisilieri e in seguito fu venduto dal figlio di quest'ultimo ad Emilio Loup. Per notizie biografiche su Emilio Loup (1781-1858), si veda LAZZARO BALDINI,Perché cara ed etera duri la memoria di Emilio Loup, Bologna, Tipi Gov. della Volpe e del Sassi, s.a. [1858]; per il suo contributo al progresso agricolo nel territorio bolognese si rimanda a LUIGI DEL PANE, Economia e società a Bologna nell'età del Risorgimento, Bologna Zanichelli, 1969. Dalla lettura delle cronache ricaviamo non solo che nel corso del XVIII secolo a palazzo Calderini si diedero rappresentazioni ma anche che il senatore Federico Calderini ebbe velleità teatrali come attore (vedi ode in X.47.1).
147 Questa accademia, detta inizialmente Drammaturgica, costituitasi nel 1808, ebbe sede nel teatrino di via Saragozza. In seguito, essendo di anno in anno aumentato il numero degli spettatori abbonati, mutò ragione sociale (vedi VII.23.40-41) e preferì tenere i suoi corsi di recite in locali più capienti come il teatro Marsigli o il Contavalli.
148 Cfr. "Gazzetta di Bologna", n. 44 del 1824, s.v. Accademia filodrammatica bolognese.
149 L'intero fascicolo riguardante l'apertura del teatro Loup si conserva in ASBo, Archivio Legazione Apostolica. Atti generali, tit. XXVI, a. 1827. Il firmatario della lettera, Giuseppe Antonio Ungarelli, uomo di fiducia del Loup, era stato nominato 'presidente' dell'Accademia Filodrammatica. Allegato alla petizione si trova l'elenco degli associati nel quale figurano i nomi di prestigiosi esponenti della Bologna 'restaurata': nobili, possidenti, professionisti, intellettuali, molti dei quali di sentimenti liberali.
150 Carlo Bruera (1768-1840), decano dei dilettanti bolognesi, si era distinto nel periodo giacobino sulle scene del Teatro Civico, si era poi affermato come eccellente interprete in diverse formazioni fino al 1820, anno in cui aveva smesso di recitare ed aveva assunto l'incarico di direttore dell'Accademia Filodrammatica. In questo ruolo istruì una intera generazione di dilettanti, alcuni dei quali passarono al professionismo. In occasione dell'apertura del teatro Loup il Bruera, nella duplice veste di istruttore e regista, ricevette in omaggio un sonetto (vedi XI.48.122).
151 Cfr. "Teatri, Arti e Letteratura", n. 193 del 1828 e "Gazzetta di Bologna", n. 12 del 1828.
152 Di quasi tutte le opere in musica date al teatro Loup vennero stampati i libretti; per il Tancredi (vedi VII.22.1) e per Il nuovo Figaro furono invece distribuiti dei pieghevoli.
153 Fu Emilio Loup a scoprire l'eccezionale talento musicale di Giuseppe Manetti (1802-1858), da lui assunto giovanissimo come aiuto computista. Gli concesse infatti tempo e mezzi per prendere lezioni di contrappunto e violino, quindi gli affidò l'incarico di istruire una orchestra stabile nel suo teatro. Manetti poi partecipò al concorso per l'incarico, rimasto vacante, di docente di violino al Liceo filarmonico e primo violino e direttore d'orchestra del teatro Comunale (i due incarichi erano collegati) e lo vinse nel 1839. Fu ottimo insegnante e dalla sua scuola uscirono violinisti di fama come Cesare Rossi, Carlo Verardi, Leone Sarti ed Elide Cocchi. Certo per sua iniziativa, al teatro Loup si tennero di tanto in tanto accademie vocali e strumentali come quella in cui si esibì Giulia Parravicini "professora" di violino (vedi VII.22.2).
154 Si veda il programma dettagliato dello spettacolo in VII.22.3. Pochi giorni appresso, gli allievi del maestro Lucca eseguirono nuovamente il loro saggio che venne posto a conclusione di una recita, da parte degli Accademici Solerti, del dramma storico Salvator Rosa di Agamennone Zappoli, dato a vantaggio dell'autore da poco rientrato in patria dall'esilio.
155 Per un profilo biografico e l'elenco delle sue composizioni, si rimanda a M. CALORE, Francesco Sampieri (1790-1863), dilettante di musica e amico di Rossini, "Il Carrobbio", XVIII (1992), pp. 84-92.
156 Il 'Casino della Nobiltà' non fu certo una peculiarità bolognese ma un tipo di associazione aristocratica privata assai diffuso nel '700, costituita allo scopo di prendere in affitto e mantenere in funzione (mediante il versamento di una quota da parte dei singoli partecipanti) una sede ove incontrarsi, conversare, giocare a carte, organizzare trattenimenti, al di fuori delle formalità e soprattutto della portata di occhi indiscreti. Nella Bologna settecentesca il primo Casino Nobile ebbe sede a palazzo Casali in via Miola. Durante il periodo giacobino esso venne rimpiazzato da un Casino Civico, che nei primi anni dell'Ottocento assunse il nome, di stampo massonico, di Società degli Amici, dalla quale ebbe origine nel 1809 la Società del Casino. Sulle origini e gli orientamenti politici di questa Società si rimanda a due saggi fondamentali e documentatissimi di GIOVANNI MAIOLI, La Società del Casino di Bologna (1788-1864), "Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia patria per l'Emilia e la Romagna", IV (1939), pp. 61-105, e di SILVIA BENATI, Un affresco politico-sociale: la Società del Casino (1808-1823), "Bollettino del Museo del Risorgimento", XLIV-XLV, 1999-2000, pp. 27-131.
158 La nascita del Re di Roma. Cantata da eseguirsi nel Casino di Bologna il dì V luglio dell'anno 1811, festeggiandosi dalla Società del medesimo l'Epoca Memorabile, offerta al Signore Luigi Querini Stampalia Consigliere di Stato, Prefetto del Dipartimento del Reno [ ], Bologna, Sassi, s.a. (CMBM, libr. 4990). Rientra nella fase degli spettacoli 'auto promozionali' anche la rappresentazione estiva di Oscar e Malvina nella settecentesca villa di famiglia, circondata da vasto parco all'inglese (odierno Parco Talon), posta in altura alle porte di Casalecchio, con cui il Sampieri volle far conoscere ai concittadini il suo primo melodramma che era stato appena rappresentato a Milano. Per l'occasione vennero stampati avvisi e dispensati biglietti d'invito (vedi VIII.34.1-3).
159 Cfr. Statuti della Società del Casino in Bologna, Bologna, Sassi, 1823.
160 Cfr. La Creazione del Mondo, oratorio sacro. Musica del celebre maestro Giuseppe Haydn da eseguirsi nella Società del Casino di Bologna nella corrente quaresima dell'anno 1819, Bologna, Sassi, s.a. (CMBM, libr. 2518). Le voci soliste furono di Carolina Neri Passerini, Tommaso Ricci, Domenico Patriossi con Tommaso Marchesi maestro al cembalo e direttore della musica. Dell'esecuzione de Le Sette parole di Cristo sulla Croce restano entusiastiche recensioni sui periodici ma non venne stampato il libretto.
161 Un ampio panorama degli spettacoli musicali offerti dalla Società del Casino si può vedere nel saggio della scrivente intitolato: Attività musicali alla Società del Casino di Bologna, "Strenna Storica Bolognese", XLIX, 1999, pp. 151-172.
162 Mosé oratorio sacro, musica recentemente composta in Parigi dal celebre Maestro Rossini, da cantarsi come accademia nelle sale della Società del Casino in Bologna l'anno 1829 sotto la direzione del Maestro Francesco Sampieri, Bologna, Sassi, s.a. (CMBM, libr. 4754) e Guglielmo Tell. Melodramma tragico del Maestro Cavaliere Rossini da cantarsi come accademia nelle sale della Società del Casino di Bologna la quaresima del 1836 sotto la direzione del Maestro sig. marchese Francesco Sampieri accademico Filarmonico [ ], Bologna, della Volpe e Sassi, s.a. (CMBM, libr. 4828).
163 Il ciclo di recite (vedi avvisi in III.12.3-4) venne proposto a fine carnevale del 1834 da una formazione composita di dilettanti, alcuni dei quali, come Camillo Querzoli, appartenenti all'Accademia Filodrammatica del teatro Loup, altri scelti all'interno della Società del Casino (Santerre, Zappi, ecc. ).
164 I principi Elisa, Carlo e Giuseppe Poniatowski, originale famiglia di nobili polacchi trapiantati a Firenze e assai benvoluti alla corte granducale, ebbero indubbie doti musicali. I due fratelli Giuseppe e Carlo, si dilettarono di canto e composizione mentre Elisa Montecatino, moglie di Carlo, fu eccellente soprano. Insieme costituirono una società allo scopo di mettere in scena spettacoli melodrammatici il cui ricavato era destinato alla beneficenza (vedi XI. 48.195). Godettero di vasta popolarità ma dilapidarono un patrimonio.
165 Per l'attività di Luigi Ploner (1801-1856) come attore dilettante, direttore della filodrammatica dei Concordi e drammaturgo si rinvia alla nota introduttiva al volume Risorgimento e teatro cit., e in particolare alle pp. 79-82. L'atto unico intitolato Gran serata di beneficio si può leggere nella Raccolta delle opere drammatiche di Luigi Ploner bolognese, Bologna, Società Tipografica Bolognese, 1854.
166 Le 'beneficiate' erano fuori abbonamento, pertanto era necessario stampare di volta in volta degli avvisi straordinari (di cui la presente raccolta offre un'ampia rassegna), riproducenti il programma previsto per la serata, consistente il più delle volte in spericolati assemblaggi.
167 Vale la pena citare almeno tre raccolte bolognesi cui viene attribuito un notevole valore documentario: La scena illustrata (Bologna, Tebaldi, 1634) tutta dedicata ai Comici Affezionati in trasferta a Bologna nel Teatro della Sala; Le glorie della Musica celebrate dalla sorella Poesia, rappresentandosi in Bologna la Delia, e l'Ulisse nel teatro degl'illustri Guastavillani (Bologna, Ferroni, 1640) che attesta l'avvenuta inaugurazione del teatro Guastavillani, meglio noto come Formagliari, con la messa in scena di due prototipi del dramma in musica veneziano; Applausi canori di Pindo alla signora Caterina Porri romana, cantatrice impareggiabile, honore della musica, decoro della scena e gloria dell'Herismena rappresentata da lei in Bologna nel teatro Guastavillani (Bologna, Ferroni, 1656) che costituisce un modello per la trasformazione della virtuosa di canto in fulcro della scena.
168 Fanno eccezionalmente parte della presente raccolta un paio di esemplari di omaggi poetici settecenteschi diretti a nobili dilettanti, gli uni impegnati nelle recita di tragedie francesi in teatrini domestici (vedi X.47.1), gli altri, guidati dall'infaticabile marchese Francesco Albergati, recitanti in teatrini di villa (vedi X.47.3 e 8).
169 Dagli anni '40, la pubblicazione di omaggi poetici rivolti ad artisti di teatro venne delegata sempre più di frequente a periodici specializzati come "Arti, Teatri e Letteratura" e successivamente "L'Arpa".
170 Cfr. RENZO RENZI, Il divismo delle cantatrici, in Due secoli di vita musicale. Storia del teatro Comunale cit., I, pp.191-205. Tra gli omaggi alle cantanti, sono qui quasi del tutto assenti quelli composti in onore di Maria Malibran, che sappiamo invece furono numerosissimi, alcuni dei quali scritti in dialetto sotto forma di 'zirudelle'. Altrettanto assenti risultano quelli diretti ad alcune étoiles della danza come Maria Taglioni, Fanny Cerrito, Fanny Elssler, Amalia Ferraris, Olimpia Priora, intorno alle quali si formarono anche a Bologna opposte fazioni di estimatori. Va ricordato infine che, contemporaneamente alla dispensa nei teatri di questi fogli volanti, andavano a ruba nei negozi di musica i ritratti incisi dei vari beniamini delle scene.
171 Il piccolo nucleo di componimenti poetici rivolti ad Amalia Bettini (vedi XI.48.149 e XI.48.167-170) riveste un particolare interesse locale in quanto testimonia l'affetto e la riconoscenza dei Bolognesi nei confronti di questa grande attrice, ritiratasi anzitempo dalle scene a seguito delle nozze con il bolognese Francesco Minardi, ma disposta ancora a recitare a favore di ex colleghi in difficoltà o a fianco di gruppi di dilettanti impegnati a raccogliere fondi per iniziative benefiche e patriottiche.
172 Cfr. sonetti in X.47.61-63 e 66-67. Il teatro dei Cavalieri Associati di Imola progettato dall'architetto di Cosimo Morelli nel 1779 ebbe vita assai breve poiché un incendio lo distrusse nel 1797. Gli spettacoli proseguirono in locali provvisori per un buon decennio finché non si provvide, utilizzando l'area dell'ex chiesa di S. Francesco, alla costruzione di un nuovo teatro che prese il nome di teatro di Cerere e venne inaugurato nella tarda estate del 1812. Esso rimase in funzione per soli tre anni quindi venne fatto chiudere per decreto di Pio VII in quanto occupante un'area consacrata, e solo nel 1831 poté riprendere l'attività.
173 Cfr. sonetto in XI.48.163. Per l'attività del teatrino della Pieve, ubicato come altri all'interno del Palazzo Comunale si rimanda al volume Il teatro e la musica a Pieve di Cento, a cura di Adriano Orlandini, Bologna, Costa Editore, 2000. Per un approfondimento sull'intensa vita teatrale a Cento si rinvia ai due volumi di ADRIANO ORLANDINI, Cinque secoli di musica nella terra di Cento, Cento, Cassa di Risparmio di Cento, 1989. Alla rappresentazione della Lucia donizettiana nel 1845 si riferiscono i sonetti in XI.48.166-171.
174 Cfr. LUIGI SAMOGGIA, Il teatro pubblico di Medicina nei secoli XVII e XVIII: Francesco Albergati e Carlo Goldoni, "Il Carrobbio", IV (1978), pp. 395-410. Alle recite del marchese Albergati nel teatro pubblico di Medicina allude anche il sonetto X.47.3.
175 Cfr. CHARLES DE BROSSES, Viaggio in Italia, trad.it. di Bruno Schacherl, Bari, Laterza, 1973, pp. 165-167. Il de Brosses, presidente del Parlamento di Borgogna, intellettuale amante delle arti e ben introdotto in società, compì un viaggio in Italia tra il 1739 e il 1740 e ne trasse delle annotazioni che, sotto forma di lettere, formano un volume prezioso per le notizie di prima mano e le spiritose osservazioni che contiene.
176 La programmazione di un'opera in musica durante il periodo della fiera (e il discorso vale per Reggio Emilia come per Senigallia, per Cento come per Lugo di Ravenna, ecc.) fu un espediente molto usato sia per accrescere il prestigio e l'interesse nei confronti della fiera stessa, sia per attirare un consistente numero di 'forestieri' melomani.
177 A titolo d'esempio si suggerisce il saggio della scrivente: Teatro e musica a Crevalcore tra Settecento e Ottocento, in Crevalcore. Percorsi storici, a cura di Magda Abbate, Bologna, Costa Editore, 2001, pp. 291-328.
178 Si ricordino le tournées
compiute dai Dilettanti del Marsigli e del Felicini
al teatro di Budrio tra il 1804 e il 1805, già
altrove menzionate, o ancora nel 1828 quella di non
precisati 'giovani bolognesi' invitati a recitare nel
teatrino di Sant' Agata Bolognese (vedi XI. 48.133).