Il governo di Bologna

IL GOVERNO DI BOLOGNA - XV SECOLO

a cura di Paola Foschi

Introduzione tratta da Andrea Gardi, Gli 'officiali' nello Stato Pontificio del Quattrocento, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», serie IV, Quaderni, 1, Classe di Lettere e Filosofia, Pisa 1997, p. 225-291.

«... In primo luogo, occorre liberarsi dall'idea che lo Stato pontificio sia qualche cosa di particolare: lungi dal costituire un unicum, esso non è infatti che uno dei numerosi principati vescovili sorti, soprattutto in area imperiale, nella tarda età ottoniana [fine del X secolo] e ancora presenti nel XV secolo e oltre nei territori italiani e tedeschi, ove un forte potere statale non sia venuto a spogliare i presuli dei loro diritti signorili, né i ceti produttivi urbani abbiano saputo sostituirsi loro nella guida politica delle città e dei loro contadi. La sua peculiarità... è che il suo principe-vescovo è il vescovo di Roma, il quale dall'XI secolo è riuscito a imporsi come guida incontrastata della Cristianità occidentale e, tra basso Medioevo e prima Età moderna, ha usato questa sua enorme autorità spirituale anche per costituire e rafforzare un proprio dominio territoriale, in un continuo gioco di interferenze, per cui la dimensione religiosa viene chiamata a legittimare il potere temporale e questo diviene una delle componenti annesse al ruolo spirituale del Papa. ...

Se... si esaminano gli esiti concreti cui l'azione di controllo territoriale dei Papi è approdata nel Quattrocento, bisognerà convenire che essi sono piuttosto modesti. Nessuno o quasi, in Europa, contesta l'autorità religiosa del Pontefice (comunque scossa dalla soggezione alla tutela francese prima, dallo scisma e dalla sua soluzione conciliare poi); assai meno riverenza gli viene tributata in quanto principe territoriale. ... Nel XV secolo... il confronto tra le alleanze politiche guelfa e ghibellina è ormai stato sostituito da una lotta tra i maggiori Stati italiani per l'egemonia sulla Penisola. Da qui la scelta forzata, per i vescovi di Roma decisi a liberarsi dal protettorato francese e a costituirsi come potenza autonoma, di incanalare la propria azione politica anche nelle forme della nuova statualità, che gli altri principi loro contemporanei stanno sperimentando: la statualità non esaurisce certo la politica, ma nel Quattrocento assume una rilevanza inedita, come quadro di riferimento in cui gli altri progetti politici si collocano. ... Oltre un secolo di eclissi del potere sovrano ha lasciato spazio all'interno ad un proliferare di forze locali (feudi, Comuni, signorie di fatto o di diritto, vicariati apostolici) che, nel tentativo di mantenere la propria autonomia, hanno stretto legami con le maggiori potenze italiane. Cosicché il territorio papale si riduce ad una sorta di regione semicoloniale, in cui Milano, Venezia, Firenze e Napoli trovano campi di battaglia, soldati, alleati, risorse e mercati: un'area-cuscinetto che, nella momentanea impossibilità di annetterla in tutto o in parte, viene almeno divisa nelle sfere di influenza formalizzate con la pace di Lodi [1454].

... Non va dimenticato che il Papato quattrocentesco dispone, come nessun altro governo europeo, di un'arma importantissima: la capacità amministrativa. Già in epoca avignonese la Chiesa cattolica costituisce l'amministrazione più complessa e avanzata d'Europa, basata su regole certe e procedure scritte e formalizzate, articolata in dicasteri specializzati, estesa su scala continentale e saldamente diretta dal Papa e dai suoi collaboratori... Tale capacità amministrativa nel Trecento viene applicata anche al dominio temporale, trovando una propria codificazione nelle Constitutiones Aegidiane elaborate dal legato Gil de Albornoz. Esse selezionano le esperienze di governo in un modello preciso: il territorio papale viene organizzato secondo uno schema unitario, entro il quale si prescrive una chiara gerarchia delle fonti normative... e si riservano agl'inviati del Pontefice le attribuzioni fondamentali nei settori della sicurezza e difesa, della giustizia, fiscale. ... Il Quattrocento pontificio è dunque caratterizzato dalla tensione tra modello politico assolutista... e difficoltà concrete di realizzarlo, che obbligano ad una serie di compromessi all'insegna dell'elasticità e del pragmatismo. ...

Nel XV secolo, man mano che procede la 'riconquista' dello Stato, viene ripristinata la struttura amministrativa disegnata dalle Costituzioni Egidiane. Queste prevedevano una serie di province, dotate ognuna di una duplice struttura, giurisdizionale e fiscale; un corpo di polizia, agli ordini di un maresciallo o bargello, era incaricato di mantenere l'ordine pubblico; a capo dell'apparato provinciale stava un rettore. Le province che si vanno ricostituendo e riorganizzando sono la Campagna e Marittima, Roma (che dal 1436 ha un proprio governatore), il Patrimonio, Perugia e il ducato di Spoleto, la Marca, Bologna e la Romagna, Avignone (acquisita nel 1433) e il Venassino, nonché tra i510 e 1545 i territori dell'Emilia occidentale, accorpati nella provincia della Gallia Cispadana; accanto a queste circoscrizioni maggiori esiste una serie di unità subprovinciali, che possono essere costituite da un singolo comune col suo contado oppure da aree rurali policentriche (Sabina, Massa Trabaria e cosi via), e che a volte vengono aggregate alle ripartizioni principali, a volte ricevono propri rettori e tesorerie; infine, diversi ufficiali cittadini, tra cui decine di podestà, sono di nomina papale. È questo personale a costituire i veri e propri 'ufficiali dello Stato pontificio' perché, pur essendo in gran parre composto da ecclesiastici, è inserito in una struttura amministrativa che non ha niente a che vedere col reticolo diocesano e con la conduzione delle Chiese locali.

Il rettore ha fondamentalmente un compito di coordinamento politico-amministrativo sul territorio sottopostogli: orientarne le risorse e le scelte a vantaggio del potere papale. A lui spetterebbe, in altre parole, esercitare le prerogative sovrane; nel XV secolo la situazione politica è tuttavia ancora assai fluida, cosicché il rettore dev'essere personalmente autorevole e saper fare uso di notevoli capacità di mediazione, particolarmente nei confronti dei maggiori Comuni dei grandi feudatari e dei principali notabili urbani. In concreto, il rettore riceve i giuramenti di fedeltà dai sudditi, amministra la giustizia tramite i giudici (civile, criminale, spirituale, d'appello) della sua curia, mantiene l'ordine pubblico mediante il bargello, cura il rifornimento annonario, vigila sull'operato degli ufficiali papali e comunali; soprattutto, tiene sotto controllo (e, se necessario, interviene a modificare) gli assetti interni delle comunità e i rapporti tra le diverse aree della provincia affidatagli, per disinnescare tensioni che potrebbero sfociare in disordini interni o in ostilità antipontificie. Il suo ruolo è dunque, come dicono le bolle di nomina, fare tutto quanto gli paia bene per il rafforzamento del dominio papale e la tranquillità dei sudditi, ovvero per mantenere la provincia fedele e tranquilla. Si tratta pertanto d'una figura dotata di larga autonomia e di altrettanto larga responsabilità: se riesce ad agire come terminale di un potere che si presenta quale pacificatore imparziale, diviene un autorevole polo di orientamento per i poteri locali; in caso contrario, viene rapidamente sostituito, se non cacciato da rivolte locali. Funzioni analoghe, su scala ridotta, hanno i rettori occasionalmente nominati per circoscrizioni minori, nei quali peraltro il ruolo tecnico di giudici (che è la manifestazione di base della sovranità) ricopre un maggior peso relativo; lo stesso discorso vale, mutatis mutandis, per i tesorieri di tesorerie subprovinciali. I 15 o 20 rettori, che nel XV secolo vengono ormai detti "governatori", sono dunque necessariamente persone di fiducia del sovrano: si tratta di vescovi o prelati (in qualche rato caso di laici) tratti da quel ceto di politici che si è già individuato nell'amministrazione centrale; di frequente sono sostituiti da cardinali legati i quali, in quanto personalità dotate di maggiori vicinanza al Papa, autorevolezza, rete di legami personali, possono svolgere con più efficacia il loro incarico di mediazione-direzione politica.

... Ciò che contraddistingue l'amministrazione periferica del dominio pontificio è proprio il suo carattere recisamente statuale. La Curia romana nasce infatti come organo di governo della Chiesa universale, e nel XV secolo si occupa ancora promiscuamente di affari spirituali e temporali; donde una travagliosa gestazione di organi che consentano al Papa di aumentare il proprio potere personale e l'efficace trasmissione ed esecuzione della sua volontà. Non così avviene nelle province: l'eredità albornoziana opera qui lasciando un apparato nettamente distinto da quello ecclesiastico, ancorché diretto prevalentemente da membri del clero. I rettori non coincidono di regola con gli Ordinari diocesani (che sono parimente scelti dal Papa, ma espressione della società locale, analogamente a quanto si è accennato per gli uffici comunali), i tesorieri sono distinti dai collettori, che operano qui come in tutta Europa; l'amministrazione temporale dello Stato fa capo al Papa in quanto principe territoriale e al camerlengo come suo ufficiale amministrativo. È ben vero che il rettore provinciale giudica anche le cause degli ecclesiastici e che il tesoriere riscuote imposte sui cleri: ma si tratta appunto di manifestazioni di sovranità politica che il principe-vescovo di Roma, in quanto Papa, può permettersi nei confronti delle diocesi che rientrano nel suo principato.

L'amministrazione periferica dello Stato è quindi un duttile strumento in mano al sovrano, che ne fa un mezzo di controllo politico sui sudditi e sul territorio. Un controllo soggetto certamente a forti condizionamenti politici e assai diverso da luogo a luogo: molto elevato presso quei Comuni le cui entrate sono in tutto o in parte incamerate (Roma, Perugia, Ascoli), assai minore su quelli che mantengono uno spazio di autonomia economico-finanziaria, come ad esempio Ancona e Bologna, pressoché nullo sulle aree concesse in vicariato apostolico o in feudo, nelle quali la sovranità papale si limita alla riscossione di un censo e al diritto, in realtà più che altro teorico, di appellarsi alla corte del rettore provinciale. Inoltre, difficoltà ed esigenze pratiche spingono a trovare aggiustamenti allo schema amministrativo delle Egidiane... Nonostante le numerose limitazioni e gli adattamenti, il potere papale nelle province si rafforza anche grazie all'amministrazione periferica: specificamente dedicata al governo temporale e affidata a personale di fiducia del sovrano, essa assolve al compito articolato di costituire un quadro di riferimento territoriale generale per lo Stato, spegnere i conflitti locali, rendere disponibili le risorse umane e materiali del principato a sostegno della politica papale. Per tutto il XV secolo, tali obiettivi vengono perseguiti ancora attraverso l'ambizioso modello amministrativo albornoziano, che mira a fare dei Comuni articolazioni periferiche dello Stato; e la loro realizzazione è affidata a un personale scelto e competente, costituito prevalentemente da quegli ecclesiastici di stretta fiducia del Pontefice che formano il gruppo dirigente del dominio papale. ...

L'esame del caso bolognese appare ... particolarmente significativo, perché esso costituisce una sorta di compendio della varietà di rapporti possibile tra sovrano e sudditi e consente dunque di cogliere gli elementi più significativi di continuità nell'apparato amministrativo. Tra 1417 e 1530 la presenza del potere papale vi attraversa infatti tre fasi: da Martino V a Eugenio IV, un susseguirsi di cambi di regime e di dominazioni (dovuto alla divisione tra le fazioni capeggiate dalle maggiori famiglie e collegate ai potentati italiani), che si risolve in un dominio diretto papale punteggiato da periodi di autogoverno locale sostenuto dai Visconti; da Nicolò V a Giulio II, una spartizione del potere tra rappresentanti del Papa e partito bentivolesco che, grazie al sostegno dei Medici e soprattutto degli Sforza, porta la città a una condizione di semindipendenza; a partire dal secondo papato roveresco, l'inclusione a tutti gli effetti nel dominio pontificio, salvo un'effimera restaurazione dei Bentivoglio appoggiati dalla Francia.

Malgrado le differenze reali che il mutare di condizioni politiche comporta, è importante rilevare come, per almeno 102 dei 114 anni del periodo considerato, siano presenti a Bologna un rappresentante periferico e un'amministrazione provinciale papali. L'estensione geografica della loro autorità varia: Bologna apparterrebbe teoricamente alla "Romagna", corrispondente all'antico Esarcato bizantino, di cui è il centro principale, e il suo rettore è effettivamente nominato legato o governatore di Bologna e Romagna (occasionalmente anche di Ferrara, altro territorio ex esarcale); tuttavia, la Romagna vera e propria, come del resto la Ferrara estense, è sino al primo Cinquecento sottratta al controllo papale, salvo Forlì tra 1426 e 1438 e Cesena dal 1465; viceversa, tra 1510 e 1524 alla Legazione vengono annessi i territori dell'Emilia occidentale, organizzati poi in provincia della Gallia Cispadana, mentre dal 1524 al 1528 anche la riconquistata Romagna è dotata di un proprio rettore temporale distinto da quello bolognese. Bologna è pertanto capoluogo di un territorio mutevole e policentrico, ove ogni città ha propri governatori e podestà ed ove sono insediati tesorieri distinti per ognuna delle aree principali. ...

I rettori provinciali sono, concettualmente, soltanto di due tipi: governatori e Legati. La differenza è soprattutto di rango e di rilievo politico: il governatore è un prelato, occasionalmente un laico, erede degli antichi rettori del XIII e XIV secolo sistematizzati nelle Costituzioni Egidiane; il Legato, che gode di una retribuzione superiore, è un cardinale particolarmente vicino al Papa, che l'invia ad affrontare situazioni difficili, che superano l'ordinaria amministrazione. Nella pratica, la distinzione nel Quattrocento non è così netta: in diverse occasioni si vedono nominati governatori con poteri di legato a latere (Aleman, Dandolo, M. Condulmer, Scotti, Agnesi, Milà, A. Capranica, Savelli, Sacchi, Lorenzo Fieschi), metà dei quali vengono peraltro promossi a cardinali e Legati già durante il servizio come governatori (Aleman, Agnesi, Milà, Capranica) o in un secondo momento (Savelli); vi sono governatori autorevolissimi, tra cui nipoti di Papi come M. Condulmer, Scotti, Milà, O. del Carretto, o altissimi funzionari di Curia, quali il vicecamerlengo Aleman e il datario e reggente di Cancelleria Sacchi. Seguire le oscillazioni terminologiche e di rango del personale inviato a reggere Bologna significherebbe analizzare puntualmente le circostanze e gli obiettivi politici sottesi dalle singole scelte; in complesso, le tipologie del Legato e del governatore, designati entrambi per bolla pontificia, paiono emergere come quelle di riferimento: il primo è il personaggio più autorevole in quanto dotato di maggiore dignità e più vicino al sovrano, il secondo ha meno prestigio personale; le cariche ibride, concentrate quasi esclusivamente nella prima metà del secolo, sono probabilmente soprattutto sistemazioni provvisorie per prelati importanti che non è ancora politicamente possibile nominare cardinali, e indicano semmai una perdurante incertezza sul grado di controllo cui il Papato riesce a sottoporre la città. Di natura diversa è invece la diffusissima figura del luogotenente: è un uomo di fiducia del Legato (assai raramente di un governatore), cui il prelato delega per patente l'esercizio dei propri poteri in caso di assenza, momentanea o prolungata. In quanto cardinale, il Legato è infatti direttamente coinvolto nella grande politica papale, il che ne comporta frequenti assenze da Bologna: non solo egli deve recarsi a Roma per i conclavi ma, al pari dei governatori, può venire convocato dal Papa per consultazioni (avviene di frequente, ad esempio, ad A. Capranica), può essere incaricato di missioni diplomatiche (è il caso di F. Gonzaga) o politiche (è quello di Sacchi e Alidosi), può lasciare l'incarico per difficoltà ad esercitarlo (lo fanno Conti, Dandolo, Vannucci, Savelli come governatore), può infine scegliere di stare lontano da Bologna e non recarvisi o quasi, sia che ritenga impossibile assolvervi un ruolo effettivo (così i legati Savelli e Giovanni de' Medici), sia che preferisca restare in curia a svolgere la propria politica personale o a collaborare a quella generale della Santa Sede (cosi Della Rovere, Sforza, Borja, Orsini, Franciotti, come poi Giulio de' Medici e Cibo). In questi casi il Legato o governatore, per assicurare la continua presenza di un rappresentante papale, col permesso del sovrano (se v'è il tempo di richiederlo) si sceglie un luogotenente, che ne svolge le funzioni, che egli paga in proprio e che è suo dipendente privato, ancorché ovviamente rivestito di un ruolo pubblico e politico. Il vicelegato, che sembra comparire nel 1512, è inizialmente un luogotenente di nomina papale per Legati che evidentemente non si sarebbero trattenuti in sede; poiché tuttavia almeno sin dall'epoca di Sforza i luogotenenti scelti da Legati assenteisti avevano ricevevano comunque una conferma papale, la figura del vicelegato, più direttamente vincolato al sovrano, finirà in breve per assorbire quella del luogotenente, pur se manterrà necessariamente anche un particolare rapporto di fiducia col Legato. ...

Il fatto è, occorre ancora sottolinearlo, che la scelta su chi debba reggere la provincia ha sempre un carattere squisitamente politico: il sovrano deputa chi ritiene più adatto, a seconda delle situazioni contingenti, ad ottimizzare la presenza pontificia nella regione. Sino alla pace di Lodi, si susseguono dunque nomine di persone giudicate capaci di sottomettere e mantenere stabilmente sotto il controllo papale una città quale Bologna, ricca, grande, autonomista e contesa da Milano, Venezia, Firenze: Martino V preferirà fare ricorso a Legati, Eugenio IV a governatori, Nicolò V a entrambe le figure, pervenendo finalmente, con Bissarion, ad un punto di equilibrio tra autorità papale e autonomia locale. Dall'assestamento del quadro politico italiano e del partito bentivolesco a Bologna, allorché diviene chiaro che cosa il sovrano può realmente ottenere dalla città in termini politici e finanziari, vengono nominati Legati (occasionalmente governatori) che utilizzano la carica principalmente come fonte di lustro, di entrate e di radicamento personale nella società locale. Soprattutto dopo che le capitolazioni di Paolo II (1466) sanciscono di fatto l'alleanza tra partito bentivolesco e regime pontificio, i rettori provinciali si trovano ridotti ad una funzione di basso profilo, che li induce da un lato a restare a Roma, dall'altro ad approfittare della propria posizione personale per aggiudicarsi anche la carica di vescovo della città: tra 1476 e 1511 i legati F. Gonzaga, Della Rovere, Ferreri e Alidosi (nel 1518, per pochi mesi, anche Giulio de' Medici) ottengono il controllo della diocesi, ciò che in precedenza era avvenuto solo in epoca avignonese. ...

Non stupisce dunque che i poteri conferiti ai rettori di Bologna mutino molto, a seconda delle contingenze. È assai rara, in primo luogo, la concessione esplicita di poteri spirituali: il legato Milà ne ottiene, con precise limitazioni, ma dopo di lui bisogna arrivare a Ferreri e Giovanni de' Medici, ovvero a persone incaricate di ripristinare l'autorità papale sulla città, per vedere conferite facoltà che invadono largamente il campo pastorale (assegnazione di benefici, rilascio di licenze di predicazione, visita di luoghi pii, imposizione di pensioni, assunzione di misure disciplinari), ma col dichiarato intento "ut erga personas in locis tue legationis residentes ... te gratiosum reddere possis". In complesso, tuttavia, la tendenza pare quella a rispettare sostanzialmente l'autonomia del foro e della vita ecclesiastica, il che spinge a ripensare i tempi della precoce sottomissione della Chiesa allo Stato ipotizzata da Prodi per l'area pontificia: nel Quattrocento, allorché il controllo politico è ancora aleatorio, essa non pare decisamente avviata, anche se a fine secolo i Legati si accaparrano la sede diocesana; viene invece attivata nel Cinquecento (come conseguenza, non come premessa della sottomissione politica), quando 1'esercizio di poteri spirituali da parte dei Legati contribuisce a consolidare in modo clientelare la fedeltà al Papato. Per converso, almeno dalla seconda metà del Quattrocento ai rettori di Bologna e Romagna viene esplicitamente negata autorità sugli altri governatori di nomina papale esistenti nella provincia (in pratica, quello di Cesena), anticipando cosi la tendenza, che diverrà generale nei decenni seguenti, a frazionare le grandi circoscrizioni a1bornoziane in tanti governatorati scollegati tra loro e in rapporto diretto con Roma. t: difficile svolgere considerazioni quantitative intorno a questo personale, dati i numerosi sconvolgi menti della storia bolognese del Quattrocento: occorrerebbe infatti distinguere tra rettori nominati alla guida della provincia e rettori che tale guida hanno effettivamente assunto (poiché, oltre agli assenteisti, altri non hanno mai potuto entrare in sede, o per l'ostilità del Comune, o perché morti prima di poterlo fare: è il caso di Acciapaccia, Vitelleschi, Rochetaillée, Scarampo, Sanseverino, Isvaglies) e articolare il discorso attraverso un esame dei diversi pontificati, distinguendo il diverso tipo di personale impiegato. Tutto ciò è reso arduo dallo stato delle fonti, piuttosto disordinate soprattutto per il primo Quattrocento e gli anni intorno al 1511-1512. ...

La rapida turnazione dei rettori è... frutto di due fattori: da un lato, lo scarso controllo politico che il Papato esercita sulla regione; dall'altro l'esigenza di assicurare un'amministrazione relativamente impersonale, non legata alla presenza a Bologna questo o quel prelato. Non è forse un caso che nei secoli successivi sarà prassi nominare i Legati per periodi triennali, dunque assai simili a quelli di fato vigenti nel Quattrocento. ... Nel XV secolo lo Stato pontificio è retto da un gruppo scelto di prelati che coniugano e alternano incarichi politico-amministrativi e dignità ecclesiastiche (sia con cura d'anime, sia con incombenze di Curia) attraverso itinerari non formalizzati e poco tipizzabili, all'interno cioè di un servizio complessivo al Papato che si può compiere indifferentemente e intercambiabilmente nella Chiesa o nello Stato. AI livello politico-decisionale sono persone legate all'entourage del Papa in carica, a quello più propriamente tecnico-amministrativo si tratta in buona parte di personale proveniente dal dominio pontificio e gravitante intorno alla Curia; il ruolo dei laici è marginale».
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