Rivista mensile del Comune di Bologna 1915-1939

1: Bologna e il fascismo nella Rivista del Comune

Bologna e il Fascismo nella rivista del Comune
L'ordinamento comunale fu profondamente trasformato durante i primi anni del regime fascista.
Tra il 1925 e il 1928 una serie di provvedimenti governativi istituirono la figura del podestà, crearono la consulta, ridefinirono la figura del segretario comunale, con lo scopo di indebolire l'autonomia locale e rafforzare il ruolo centralizzatore dello Stato, trasformando il Comune da organo di autogoverno a ente ausiliario dello Stato per la gestione dell'ordinaria amministrazione.
Fu dunque abolita la figura del sindaco e dunque anche la giunta ed il consiglio comunale.
Il Sindaco fu sostituito dal podestà che veniva nominato con decreto reale in forza della L. 4 febbraio 1926, n. 237 (Istituzione del podestà e della consulta municipale nei comuni con popolazione non eccedente i 5000 abitanti), e del R.D.L. 3 settembre 1926, n. 1910 (Estensione dell'ordinamento podestarile a tutti i comuni del regno).
La consulta, organo consultivo delle amministrazioni comunali fu istituita dagli stessi provvedimenti legislativi che istituirono il podestà. Aveva funzioni esclusivamente consultive, in quanto solo il podestà poteva deliberare. I pareri della consulta, a volta facoltativi e in altri casi obbligatori, non erano mai vincolanti per il podestà e si configuravano come un elemento ausiliario dell'attività podestarile.
I membri della consulta erano scelti dalle associazioni sindacali riconosciute e nominati, nelle grandi città come Bologna, dal ministro dell'Interno.
Sulla consulta cfr. la voce curata da Emilio Bonaudi, in Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, XI, 1949, p.223-224.
Presso l'Archivio storico del comune di Bologna sono conservati gli atti della consulta comunale dal 26 dicembre 1928 al 16 giugno 1943.
L'ultimo passo per il controllo del Comune da parte dello Stato fu la nomina prefettizia dei Segretari comunali prevista dal R. D. L. 17 agosto 1928, n. 1953 (Stato giuridico ed economico dei segretari comunali).
Da dipendente del Comune il segretario comunale diventava dipendente dello Stato, ed in sostanza non doveva più rispondere del suo operato al sindaco e al podestà poi, bensì al prefetto, con la possibilità di inviare plichi riservati al prefetto e al ministro senza comunicarlo al podestà.
Sulla politica fascista verso le autonomie locali cfr. Ettore Rotelli, Le trasformazioni dell'ordinamento comunale e provinciale durante il regime fascista, in Il fascismo e le autonomie locali, a cura di Sandro Fontana, Bologna, Il Mulino, 1973, p. 73-155.

Il podestà
I podestà di nomina regia istituiti nel 1926 dal regime fascista non sono stati ancora oggetto di studi approfonditi e dunque si sa ancora poco su queste nuove figure di amministratori locali che per circa 20 anni furono a capo dei comuni italiani.
"Non è stato ancora risolto il quesito se essi rappresentarono un vero e proprio "ceto politico" o solo uno "strato"- socialmente ben caratterizzato, ma politicamente più informe di altre sezioni della "classe politica", per giunta privo di riconoscimenti reali (sotto forma di reddito o di compenso professionale) e di unitarietà in termini culturali o di status educativo".
(Cfr. Marco Palla, I podestà di nomina regia nella provincia di Forlì 1926-1943, "Memoria e ricerca", 1 (1993), p. 70).
Con l'istituzione del podestà, il regime fascista si trovò nella necessità di nominare varie migliaia di nuovi responsabili dell'amministrazione comunale.
I criteri di selezione non erano però soltanto quelli indicati nella L. 4 febbraio 1926, n. 237 (maggiore età, cittadinanza italiana, almeno il diploma di maturità etc). In realtà venivano richieste altre specifiche caratteristiche, non sempre facili da trovare, specialmente nei piccoli comuni (sull'argomento cfr. M. Palla, I podestà..., cit., p.77).
Bisogna infatti ricordare che il podestà non percepiva un compenso per lo svolgimento della sua attività, come recita l'art. 12 della L. 237/1926:
"L'ufficio di podestà e di consultore municipale è gratuito. In casi assolutamente eccezionali, e compatibilmente con le condizioni finanziarie dell'ente, il prefetto può assegnare al podestà una indennità di carica, che grava sul bilancio del comune [...]."
Era dunque importante che il candidato alla carica di podestà avesse una solida situazione economica, quale poteva essere quella di professionisti, proprietari fondiari, industriali. Allo stesso tempo era ovviamente necessario che la cura dei propri affari lasciasse comunque spazio per l'attività podestarile. Nel caso di professionisti costretti a sacrificare parte delle proprie attività lavorative, era possibile ottenere l'indennità prevista dalla legge.
Oltre al fattore economico, era richiesta possibilmente la giovane età, la mancanza di imperfezioni fisiche ed avere contratto matrimonio con rito religioso, ma era vagliata anche la posizione rispetto al servizio militare, con l'eventuale partecipazione alla Grande guerra considerata un titolo di merito (cfr. M. Palla, I podestà..., cit., p. 77-78) e naturalmente la fedeltà politica, con iscrizione al PNF (Partito nazionale fascista).
La figura del podestà sembrerebbe dunque riflettere la svolta normalizzatrice voluta da Mussolini dopo gli anni dello squadrismo e dei proclami rivoluzionari, con l'obiettivo di fornire un'immagine sociale e politica fortemente rassicurante degli uomini che il regime metteva a capo dei comuni: volontarietà, benessere fisico ed economico, famiglia, patria, fede nel fascismo.
La mancanza di esperienza di tipo amministrativo, la scarsa disponibilità di mezzi finanziari a disposizione della finanza locale (cfr. a questo proposito Ettore Rotelli, Le trasformazioni…, cit., p. 118 e sgg.), la ridotta autonomia, i controlli operati dal prefetto, dal segretario comunale e dal Servizio ispettivo creato al Ministero dell'Interno, i dissidi politici e l'ingombrante presenza del partito, non favorirono l'opera dei podestà:
"L'esito della riforma non fu però esaltante. I podestà che, secondo l'antico carattere notabilare dei sindaci, erano stati pensati come strumenti di mediazione e di acquisizione del consenso, non si mostrarono all'altezza del compito - anche per le difficoltà insorte nel reclutare personale adatto - e, quando non si mossero addirittura sul piano dell'illegalità, del clientelismo e della corruzione, manifestarono una sostanziale incapacità gestionale."( cfr. Piero Aimo, Stato e poteri locali in Italia 1848-1995, Roma, Carocci, 1997, p. 107).

Una rivista sotto controllo
Dal 1927, con Arpinati podestà, inizia la "fascistizzazione" della rivista del Comune.
Il fascio littorio viene inserito nello stemma comunale sul frontespizio della rivista a partire dal numero di gennaio. Nello stesso numero inizia una nuova rubrica, "Vita fascista", che fornisce notizie sulle attività del partito e delle varie organizzazioni fasciste. La svolta non è casuale: le leggi eccezionali della fine del 1926, seguite all'attentato a Mussolini avvenuto a Bologna il 31 ottobre 1926, segnano la nascita del regime fascista vero e proprio (PNF come partito unico, soppressione dei partiti e delle pubblicazioni contrarie al Regime, confino di polizia, Tribunale speciale, introduzione della pena di morte ed altri provvedimenti tesi a liquidare ogni residuo di democrazia).

L'attività municipale
Prosegue, nonostante i profondi mutamenti dell'ordinamento comunale seguiti all'istituzione del podestà, la rubrica "Attività municipale". Cambierà nome diverse volte ("Vita municipale", "Attività del Comune" etc), ma continuerà a fornire preziose e dettagliate notizie sui principali aspetti dell'attività del Comune di Bologna, dalle deliberazioni podestarili ai lavori della consulta municipale.
La rubrica rappresenta dunque una fonte preziosa per la storia dell'amministrazione comunale dell'epoca.

La prima visita
Il 31 ottobre 1926 Mussolini visitò ufficialmente Bologna per la prima volta.
Con accanto il fedele Arpinati, non ancora podestà ma federale di Bologna, inaugurò il nuovo stadio, il Littoriale. La rivista del Comune dedicò all'evento diverse pagine, corredate da numerose foto, ma nulla di paragonabile al numero monografico che fu stampato per la seconda visita, nel 1936.
Nel 1926 il culto del Duce era ancora agli inizi ed il Fascismo non aveva ancora imposto la dittatura totale. Fu proprio il proiettile che sfiorò Mussolini all'inizio di via Indipendenza, con il linciaggio di Anteo Zamboni presunto attentatore, che fu preso a pretesto per emanare le Leggi eccezionali che dettero il colpo finale alla democrazia.
Nel 1927 Mussolini definì il Fascio di Bologna fedele Decima Legione, riferendosi ad un passo del De bello gallico di Gaio Giulio Cesare:
" …legionarios eo milites legionis decimae, quod ei maxime confidebat…" (42, I).
La definizione piacque ai fascisti bolognesi, che l'adottarono stabilmente.

Dieci anni di Fascismo
Ben diverso l'impegno profuso dalla rivista del Comune nel 1932, per il Decennale della Rivoluzione fascista: viene stampato un numero speciale di 100 pagine, in grande formato, con un ritratto del Duce in copertina. Il potere di Mussolini è ormai totale, gli oppositori sempre più isolati e perseguitati. Impressionanti le definizioni del Duce che compaiono sulla stampa, in una gara continua nell'adulare e venerare il capo del Fascismo.
Alla fine del 1932, come ulteriore passo verso la completa dittatura, l'iscrizione al PNF (Partito nazionale fascista) diventa obbligatoria per essere ammessi ai concorsi della pubblica amministrazione.

La seconda visita
Quando nel 1936 Mussolini visitò Bologna per la seconda volta, il culto del Duce, fondatore dell'Impero, era al culmine.
Achille Starace, segretario nazionale del PNF dal 1931 al 1939, è il grande "regista" della propaganda e dell'immagine del regime, ma è anche, su ordine di Mussolini, il liquidatore di Leandro Arpinati e dei suoi fedeli, inviati al confino di polizia o esiliati in altre città.
"La intrepida fedele Decima legione della Rivoluzione fascista", ormai decapitata ed epurata dagli arpinatiani per infedeltà al Duce, non sarà mai più "il quadrivio strategico della Rivoluzione", altra definizione del Fascio bolognese dello stesso Mussolini.

Gli oppositori
La repressione degli antifascisti fu effettuata con metodi legali (magistratura ordinaria e Tribunale speciale, controlli e arresti di polizia, diffide, confino) e con metodi illegali (uccisioni, bastonature, olio di ricino).
Questi alcuni dati per Bologna, dal 1922 al 1943:
antifascisti uccisi: 110-115
arrestati e processati dal Tribunale speciale: 1005
condannati dallo stesso tribunale: 384
inviati al confino senza processo, fino a 5 anni, con provvedimento amministrativo: 527
alcune migliaia di antifascisti ebbero il “bando”, dovettero cioè emigrare in altre città o regioni, in quanto accusati di avere resistito alle squadre fasciste
sconosciuto, ma alto, il numero degli oppositori condannati dalla magistratura ordinaria, arrestati e diffidati dalla polizia
sconosciuto anche il numero delle persone bastonate e costrette a bere olio di ricino.
Fonte: Nazario Sauro Onofri, Il triangolo rosso : la guerra di liberazione e la sconfitta del fascismo, 1943-1947, Roma, Sapere 2000, 2007, p. 20-23..

La rubrica "Vita fascista"
La rubrica "Vita fascista" appare per la prima volta nel gennaio 1927 (dal 1936 diventa "Vita della Decima legio", poi "Decima legio") fornendo notizie sull'attività a Bologna del PNF e delle varie organizzazioni fasciste (GIL, Gioventù italiana del Littorio; OND, Opera nazionale dopolavoro; GUF, Gruppi universitari fascisti etc).
Il Fascio di Bologna aveva un proprio periodico, "L'Assalto", fondato nel 1920, ma la rivista del Comune entrava anche nelle case dei bolognesi che non leggevano "L'Assalto" ed andava quindi utilizzata come ulteriore strumento di diffusione capillare della propaganda.
Nella rubrica era dato un grande risalto alla memoria dei 53 "martiri della Rivoluzione fascista", spesso paragonati ai martiri risorgimentali ed ai caduti della Grande Guerra, a cui fu dedicato un grande Sacrario in Certosa, oltre alla cappella dedicata ai caduti fascisti che si trovava presso la Casa del Fascio, in via Manzoni, 4, attuale sede del Museo civico medievale.

I Gruppi rionali fascisti, l'occhio del regime
"Vita fascista" riporta molte notizie sull'attività dei Gruppi rionali fascisti, le sedi circoscrizionali del PNF presenti nei grandi centri urbani.
Si trattava di vere e proprie Case del Fascio decentrate, ubicate nei luoghi strategici della città, pensate con l'obiettivo di effettuare in modo capillare la sorveglianza politica della popolazione (specialmente in zone "infette" dove vi era ancora una forte presenza di antifascisti) e diffondere ovunque la propaganda del PNF:
"Il gruppo controlla, con occhio vigile, il quartiere e la contrada, la famiglia e l'individuo." (Torquato Nanni, Leandro Arpinati e il Fascismo bolognese, Bologna, edizioni Autarchia, 1927, p. 150).
Svolgevano una intensa attività non solo politica, ma anche assistenziale, culturale e ricreativa, con l'intento di fascistizzare ogni momento della vita, anche privata, dei cittadini.
Ogni gruppo (17 nel 1930, 13 nel 1939) era retto da un fiduciario nominato dal federale di Bologna, ed era intitolato ad un martire della Rivoluzione fascista, tranne uno, intitolato fino al 1933 a Leandro Arpinati, prima che cadesse in disgrazia.
Il controllo capillare del territorio era assicurato da ulteriori sedi decentrate, i Settori, piccoli nuclei dipendenti dal Gruppo rionale della zona (erano 29 negli anni 1937-38).

I Gruppi rionali fascisti nel 1933

1. Leandro Arpinati, via degli Angeli, 16
2. Celestino Cavedoni, S. Viola (via Emilia Ponente, 131)
3. Filippo Corridoni, Viale Masini, 5
4. Edgardo Gardi, c/o castello Cassarini, via Castelmerlo, 6
5. Gesù Ghedini, a Corticella
6. Giulio Giordani, via Saragozza, 217
7. Natalino Magnani, Piazza di Porta S. Stefano
8. Sebastiano Monari, via Toscana, 69-71
9. Clearco Montanari, alla Pescarola
10. Gian Carlo Nannini, via Luigi Serra, 7
11. Oscar Paoletti, via P. Muratori, 1/2
12. Andrea Tabanelli, a Porta Lame
13. Giorgio Tinti, al Pontevecchio (via Oretti, 21)
14. Augusto Baccolini, a Monte Donato

 

(Testi e scelta delle immagini a cura di Maurizio Avanzolini)

Biblioteca comunale dell'Archiginnasio - Data di creazione: 21 luglio 2006 - Data di aggiornamento: agosto 2019
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