1: Bologna e il fascismo nella Rivista del Comune
Bologna e il Fascismo nella rivista del Comune
L'ordinamento comunale fu profondamente trasformato durante
i primi anni del regime fascista.
Tra il 1925 e il 1928 una serie di provvedimenti governativi istituirono
la figura del podestà, crearono la consulta, ridefinirono
la figura del segretario comunale, con lo scopo di indebolire l'autonomia
locale e rafforzare il ruolo centralizzatore dello Stato, trasformando
il Comune da organo di autogoverno a ente ausiliario dello Stato
per la gestione dell'ordinaria amministrazione.
Fu dunque abolita la figura del sindaco e dunque anche la giunta
ed il consiglio comunale.
Il Sindaco fu sostituito dal podestà che veniva nominato
con decreto reale in forza della L. 4 febbraio 1926, n. 237 (Istituzione
del podestà e della consulta municipale nei comuni con popolazione
non eccedente i 5000 abitanti), e del R.D.L. 3 settembre 1926, n.
1910 (Estensione dell'ordinamento podestarile a tutti i comuni del
regno).
La consulta, organo consultivo delle amministrazioni comunali fu
istituita dagli stessi provvedimenti legislativi che istituirono
il podestà. Aveva funzioni esclusivamente consultive, in
quanto solo il podestà poteva deliberare. I pareri della
consulta, a volta facoltativi e in altri casi obbligatori, non erano
mai vincolanti per il podestà e si configuravano come un
elemento ausiliario dell'attività podestarile.
I membri della consulta erano scelti dalle associazioni sindacali
riconosciute e nominati, nelle grandi città come Bologna,
dal ministro dell'Interno.
Sulla consulta cfr. la voce curata da Emilio Bonaudi, in Enciclopedia
italiana di scienze, lettere ed arti, Roma, Istituto della Enciclopedia
italiana, XI, 1949, p.223-224.
Presso l'Archivio storico del comune di Bologna sono conservati
gli atti della consulta comunale dal 26 dicembre 1928 al 16 giugno
1943.
L'ultimo passo per il controllo del Comune da parte dello Stato
fu la nomina prefettizia dei Segretari comunali prevista dal R.
D. L. 17 agosto 1928, n. 1953 (Stato giuridico ed economico dei
segretari comunali).
Da dipendente del Comune il segretario comunale diventava dipendente
dello Stato, ed in sostanza non doveva più rispondere del
suo operato al sindaco e al podestà poi, bensì al
prefetto, con la possibilità di inviare plichi riservati
al prefetto e al ministro senza comunicarlo al podestà.
Sulla politica fascista verso le autonomie locali cfr. Ettore Rotelli,
Le trasformazioni dell'ordinamento comunale e provinciale durante
il regime fascista, in Il fascismo e le autonomie locali,
a cura di Sandro Fontana, Bologna, Il Mulino, 1973, p. 73-155.
Il podestà
I podestà di nomina regia istituiti nel 1926 dal regime
fascista non sono stati ancora oggetto di studi approfonditi e dunque
si sa ancora poco su queste nuove figure di amministratori locali
che per circa 20 anni furono a capo dei comuni italiani.
"Non è stato ancora risolto il quesito se essi rappresentarono
un vero e proprio "ceto politico" o solo uno "strato"-
socialmente ben caratterizzato, ma politicamente più informe
di altre sezioni della "classe politica", per giunta privo
di riconoscimenti reali (sotto forma di reddito o di compenso professionale)
e di unitarietà in termini culturali o di status educativo".
(Cfr. Marco Palla, I podestà di nomina regia nella provincia
di Forlì 1926-1943, "Memoria e ricerca", 1
(1993), p. 70).
Con l'istituzione del podestà, il regime fascista si trovò
nella necessità di nominare varie migliaia di nuovi responsabili
dell'amministrazione comunale.
I criteri di selezione non erano però soltanto quelli indicati
nella L. 4 febbraio 1926, n. 237 (maggiore età, cittadinanza
italiana, almeno il diploma di maturità etc). In realtà
venivano richieste altre specifiche caratteristiche, non sempre
facili da trovare, specialmente nei piccoli comuni (sull'argomento
cfr. M. Palla, I podestà..., cit., p.77).
Bisogna infatti ricordare che il podestà non percepiva un
compenso per lo svolgimento della sua attività, come recita
l'art. 12 della L. 237/1926:
"L'ufficio di podestà e di consultore municipale è
gratuito. In casi assolutamente eccezionali, e compatibilmente con
le condizioni finanziarie dell'ente, il prefetto può assegnare
al podestà una indennità di carica, che grava sul
bilancio del comune [...]."
Era dunque importante che il candidato alla carica di podestà
avesse una solida situazione economica, quale poteva essere quella
di professionisti, proprietari fondiari, industriali. Allo stesso
tempo era ovviamente necessario che la cura dei propri affari lasciasse
comunque spazio per l'attività podestarile. Nel caso di professionisti
costretti a sacrificare parte delle proprie attività lavorative,
era possibile ottenere l'indennità prevista dalla legge.
Oltre al fattore economico, era richiesta possibilmente la giovane
età, la mancanza di imperfezioni fisiche ed avere contratto
matrimonio con rito religioso, ma era vagliata anche la posizione
rispetto al servizio militare, con l'eventuale partecipazione alla
Grande guerra considerata un titolo di merito (cfr. M. Palla, I
podestà..., cit., p. 77-78) e naturalmente la fedeltà
politica, con iscrizione al PNF (Partito nazionale fascista).
La figura del podestà sembrerebbe dunque riflettere la svolta
normalizzatrice voluta da Mussolini dopo gli anni dello squadrismo
e dei proclami rivoluzionari, con l'obiettivo di fornire un'immagine
sociale e politica fortemente rassicurante degli uomini che il regime
metteva a capo dei comuni: volontarietà, benessere fisico
ed economico, famiglia, patria, fede nel fascismo.
La mancanza di esperienza di tipo amministrativo, la scarsa disponibilità
di mezzi finanziari a disposizione della finanza locale (cfr. a
questo proposito Ettore Rotelli, Le trasformazioni
,
cit., p. 118 e sgg.), la ridotta autonomia, i controlli operati
dal prefetto, dal segretario comunale e dal Servizio ispettivo creato
al Ministero dell'Interno, i dissidi politici e l'ingombrante presenza
del partito, non favorirono l'opera dei podestà:
"L'esito della riforma non fu però esaltante. I podestà
che, secondo l'antico carattere notabilare dei sindaci, erano stati
pensati come strumenti di mediazione e di acquisizione del consenso,
non si mostrarono all'altezza del compito - anche per le difficoltà
insorte nel reclutare personale adatto - e, quando non si mossero
addirittura sul piano dell'illegalità, del clientelismo e
della corruzione, manifestarono una sostanziale incapacità
gestionale."( cfr. Piero Aimo, Stato e poteri locali in
Italia 1848-1995, Roma, Carocci, 1997, p. 107).
Una rivista sotto controllo
Dal 1927, con Arpinati podestà, inizia la "fascistizzazione"
della rivista del Comune.
Il fascio littorio viene inserito nello stemma comunale sul frontespizio
della rivista a partire dal numero di gennaio. Nello stesso numero
inizia una nuova rubrica, "Vita fascista", che fornisce
notizie sulle attività del partito e delle varie organizzazioni
fasciste. La svolta non è casuale: le leggi eccezionali della
fine del 1926, seguite all'attentato a Mussolini avvenuto a Bologna
il 31 ottobre 1926, segnano la nascita del regime fascista vero
e proprio (PNF come partito unico, soppressione dei partiti e delle
pubblicazioni contrarie al Regime, confino di polizia, Tribunale
speciale, introduzione della pena di morte ed altri provvedimenti
tesi a liquidare ogni residuo di democrazia).
L'attività municipale
Prosegue, nonostante i profondi mutamenti dell'ordinamento comunale
seguiti all'istituzione del podestà, la rubrica "Attività
municipale". Cambierà nome diverse volte ("Vita
municipale", "Attività del Comune" etc), ma
continuerà a fornire preziose e dettagliate notizie sui principali
aspetti dell'attività del Comune di Bologna, dalle deliberazioni
podestarili ai lavori della consulta municipale.
La rubrica rappresenta dunque una fonte preziosa per la storia dell'amministrazione
comunale dell'epoca.
La prima visita
Il 31 ottobre 1926 Mussolini visitò ufficialmente Bologna
per la prima volta.
Con accanto il fedele Arpinati, non ancora podestà ma federale
di Bologna, inaugurò il nuovo stadio, il Littoriale. La rivista
del Comune dedicò all'evento diverse pagine, corredate da
numerose foto, ma nulla di paragonabile al numero monografico che
fu stampato per la seconda visita, nel 1936.
Nel 1926 il culto del Duce era ancora agli inizi ed il Fascismo
non aveva ancora imposto la dittatura totale. Fu proprio il proiettile
che sfiorò Mussolini all'inizio di via Indipendenza, con
il linciaggio di Anteo Zamboni presunto attentatore, che fu preso
a pretesto per emanare le Leggi eccezionali che dettero il colpo
finale alla democrazia.
Nel 1927 Mussolini definì il Fascio di Bologna fedele
Decima Legione, riferendosi ad un passo del De bello gallico
di Gaio Giulio Cesare:
"
legionarios eo milites legionis decimae, quod ei maxime
confidebat
" (42, I).
La definizione piacque ai fascisti bolognesi, che l'adottarono stabilmente.
Dieci anni di Fascismo
Ben diverso l'impegno profuso dalla rivista del Comune nel 1932,
per il Decennale della Rivoluzione fascista: viene stampato un numero
speciale di 100 pagine, in grande formato, con un ritratto del Duce
in copertina. Il potere di Mussolini è ormai totale, gli
oppositori sempre più isolati e perseguitati. Impressionanti
le definizioni del Duce che compaiono sulla stampa, in una gara
continua nell'adulare e venerare il capo del Fascismo.
Alla fine del 1932, come ulteriore passo verso la completa dittatura,
l'iscrizione al PNF (Partito nazionale fascista) diventa obbligatoria
per essere ammessi ai concorsi della pubblica amministrazione.
La seconda visita
Quando nel 1936 Mussolini visitò Bologna per la seconda volta,
il culto del Duce, fondatore dell'Impero, era al culmine.
Achille Starace, segretario nazionale del PNF dal 1931 al 1939,
è il grande "regista" della propaganda e dell'immagine
del regime, ma è anche, su ordine di Mussolini, il liquidatore
di Leandro Arpinati e dei suoi fedeli, inviati al confino di polizia
o esiliati in altre città.
"La intrepida fedele Decima legione della Rivoluzione fascista",
ormai decapitata ed epurata dagli arpinatiani per infedeltà
al Duce, non sarà mai più "il quadrivio strategico
della Rivoluzione", altra definizione del Fascio bolognese
dello stesso Mussolini.
Gli oppositori
La repressione degli antifascisti fu effettuata con metodi legali
(magistratura ordinaria e Tribunale speciale, controlli e arresti
di polizia, diffide, confino) e con metodi illegali (uccisioni,
bastonature, olio di ricino).
Questi alcuni dati per Bologna, dal 1922 al 1943:
antifascisti uccisi: 110-115
arrestati e processati dal Tribunale speciale: 1005
condannati dallo stesso tribunale: 384
inviati al confino senza processo, fino a 5 anni, con provvedimento
amministrativo: 527
alcune migliaia di antifascisti ebbero il bando, dovettero
cioè emigrare in altre città o regioni, in quanto
accusati di avere resistito alle squadre fasciste
sconosciuto, ma alto, il numero degli oppositori condannati dalla
magistratura ordinaria, arrestati e diffidati dalla polizia
sconosciuto anche il numero delle persone bastonate e costrette
a bere olio di ricino.
Fonte: Nazario Sauro Onofri, Il triangolo rosso : la guerra di
liberazione e la sconfitta del fascismo, 1943-1947, Roma, Sapere
2000, 2007, p. 20-23..
La rubrica "Vita fascista"
La rubrica "Vita fascista" appare per la prima volta
nel gennaio 1927 (dal 1936 diventa "Vita della Decima legio",
poi "Decima legio") fornendo notizie sull'attività
a Bologna del PNF e delle varie organizzazioni fasciste (GIL, Gioventù
italiana del Littorio; OND, Opera nazionale dopolavoro; GUF, Gruppi
universitari fascisti etc).
Il Fascio di Bologna aveva un proprio periodico, "L'Assalto",
fondato nel 1920, ma la rivista del Comune entrava anche nelle case
dei bolognesi che non leggevano "L'Assalto" ed andava
quindi utilizzata come ulteriore strumento di diffusione capillare
della propaganda.
Nella rubrica era dato un grande risalto alla memoria dei 53 "martiri
della Rivoluzione fascista", spesso paragonati ai martiri risorgimentali
ed ai caduti della Grande Guerra, a cui fu dedicato un grande Sacrario
in Certosa, oltre alla cappella dedicata ai caduti fascisti che
si trovava presso la Casa del Fascio, in via Manzoni, 4, attuale
sede del Museo civico medievale.
I Gruppi rionali fascisti, l'occhio del regime
"Vita fascista" riporta molte notizie sull'attività dei
Gruppi rionali fascisti, le sedi circoscrizionali del PNF presenti nei
grandi centri urbani.
Si trattava di vere e proprie Case del Fascio decentrate, ubicate nei
luoghi strategici della città, pensate con l'obiettivo di effettuare
in modo capillare la sorveglianza politica della popolazione (specialmente
in zone "infette" dove vi era ancora una forte presenza di antifascisti)
e diffondere ovunque la propaganda del PNF:
"Il gruppo controlla, con occhio vigile, il quartiere e la contrada,
la famiglia e l'individuo." (Torquato Nanni, Leandro Arpinati
e il Fascismo bolognese, Bologna, edizioni Autarchia, 1927, p. 150).
Svolgevano una intensa attività non solo politica, ma anche assistenziale,
culturale e ricreativa, con l'intento di fascistizzare ogni momento della
vita, anche privata, dei cittadini.
Ogni gruppo (17 nel 1930, 13 nel 1939) era retto da un fiduciario nominato
dal federale di Bologna, ed era intitolato ad un martire della Rivoluzione
fascista, tranne uno, intitolato fino al 1933 a Leandro Arpinati, prima
che cadesse in disgrazia.
Il controllo capillare del territorio era assicurato da ulteriori sedi
decentrate, i Settori, piccoli nuclei dipendenti dal Gruppo rionale della
zona (erano 29 negli anni 1937-38).
I Gruppi rionali fascisti nel 1933
1. Leandro Arpinati, via degli Angeli, 16
2. Celestino Cavedoni, S. Viola (via Emilia Ponente, 131)
3. Filippo
Corridoni, Viale Masini, 5
4. Edgardo Gardi, c/o castello Cassarini, via Castelmerlo, 6
5. Gesù Ghedini, a Corticella
6. Giulio Giordani, via Saragozza, 217
7. Natalino
Magnani, Piazza di Porta S. Stefano
8. Sebastiano Monari, via Toscana, 69-71
9. Clearco
Montanari, alla Pescarola
10. Gian Carlo Nannini, via Luigi Serra, 7
11. Oscar
Paoletti, via P. Muratori, 1/2
12. Andrea
Tabanelli, a Porta Lame
13. Giorgio
Tinti, al Pontevecchio (via Oretti, 21)
14. Augusto
Baccolini, a Monte Donato
(Testi e scelta delle immagini a cura di Maurizio Avanzolini)