LUDOLFO DI SASSONIA,
De Vita Christi, Liber II
Membranaceo (cartacee le carte di guardia) , sec. XV prima metà,
mm 373x258, cc. II, 309, II (numerazione moderna a matita nell'angolo superiore
destro sul recto, ogni dieci carte), scrittura proto-umanistica. Legatura
moderna a tutta pelle con intestazione sul dorso »RODULPHUS CHARTUSIENSIS
- DE Vita Christi». Collocazione: A.121
Il codice è il secondo di due volumi con la
Vita Christi
composta da
Ludolfo di Sassonia, monaco domenicano poi certosino,
nato verso il 1295 e morto a Strasburgo nel 1377. Il primo volume è
il ms. 1379 della Biblioteca Nazionale di Vienna. Il codice bolognese, splendidamente
decorato (presenta ben 174 carte arricchite da miniature), è entrato
a far parte delle collezioni della Biblioteca dell'Archiginnasio nel 1847
con il fondo librario
Matteo Venturoli. Venne realizzato dopo il
1433 per la biblioteca dei Gonzaga. Lo si deduce dallo stemma gonzaghesco
con le aquile nere in campo d'argento (concesse dall'imperatore Sigismondo
ai marchesi di Mantova nel 1433) dipinto sul margine inferiore della prima
pagina del volume conservato a Vienna.
I due codici furono trascritti da
Michele Salvatico, notaio di origine
tedesca al servizio della magistratura dei Capi Sestiere a Venezia, poi
monaco benedettino a Praglia dal 1456. Il Salvatico appartenne alla vasta
categoria dei notai-copisti, molti di origine germanica, attivi nel panorama
dell'Umanesimo italiano e contraddistinti dalla padronanza di sistemi grafici
diversi: la scrittura di questo codice, pur essendo una umanistica, risente
di un'originaria educazione grafica al sistema della gotica. La sua attività
di copista lo vide attivo nel secondo decennio del Quattrocento nella cerchia
di Guarino e di Francesco Barbaro e, negli anni successivi, per committenti
e destinatari di grandissimo prestigio, come l'imperatore Sigismondo, Leonello
d'Este, papa Eugenio IV e, appunto con la
Vita Christi, i Gonzaga
di Mantova.
Anche l'artista che lavorò alla ricchissima decorazione miniata del
manoscritto,
Cristoforo
Cortese, il maggior miniatore veneto in età tardogotica,
vedeva il suo prestigio ampiamente affermato negli anni Trenta del Quattrocento,
tanto da essere chiamato a lavorare per gli stessi illustri committenti
e dedicatari. In particolare, nella decorazione di questo manoscritto ritroviamo,
quasi fosse una sigla di questo miniatore, la raffigurazione nei fregi e
nei capolettera, caratterizzati da colori limpidi e preziosi, di una fauna
multiforme e variata, ma anche di figure che confermano il confluire nella
sua maniera di diverse esperienze maturate fra Veneto ed Emilia.
Il testo di Ludolfo di Sassonia, che narra la vita di Cristo attingendo
dai quattro Vangeli ed è arricchito da molte citazioni di Padri e
Dottori della Chiesa, fu per molti secoli uno dei libri di meditazione più
famosi.
(Scheda a cura di Anna Manfron)
Il ricco apparato decorativo appare straordinariamente coordinato e funzionale
allo svolgimento testuale. 156 iniziali figurate (tipo A) introducono ognuno
degli 89 capitoli e i paragrafi relativi ai vari momenti della Passione
di Cristo (dal ritiro nel giardino del Getsemani alla deposizione nel sepolcro)
presenti nei cap. 59-66; le scene contenute in queste iniziali sono tutte
strettamente correlate agli episodi descritti nel testo. La presenza di
ognuna di queste figurate implica sempre un fregio decorato sui margini
superiore, inferiore e sinistro, se l'iniziale si colloca nella colonna
di scrittura sinistra, o nell'intercolumnio se nella colonna di destra.
Le tipologie sono molto diversificate: fregi a barra, racemi vegetali con
foglioline dorate, volute fogliacee più corpose, piccoli fiori convenzionali,
cardi, fiordalisi, spighe di grano, piume di pavone e molti altri repertori,
popolati spesso da animali fantastici, uccelli, lepri, cani, cerbiatti e
figure antropomorfe.
Da segnalare, per importanza e ricchezza degli interventi decorativi, il
frontespizio
miniato (c. 1r) nel quale è inserita l'iniziale F (Fundamentum)
con la raffigurazione dell'autore, in abito domenicano, nell'atto di ricevere
ispirazione da Cristo. La scena, a cui assistono alcuni angeli musicanti,
si svolge su uno sfondo mosaicato ed è inquadrata dalla grande iniziale
di tipo vegetale. Completa il frontespizio un fregio a motivi fogliacei
e floreali sui quattro margini e uno pseudo-cartiglio nel lato sinistro
e inferiore che, intrecciandosi, forma dei polilobi in cui sono inserite
le allegorie delle quattro virtù cardinali, alcuni cherubini e, nel
bas-de-page, tre stemmi abrasi, di cui uno sormontato da un cimiero
a forma di aquila nera e circondato da quattro putti. Un ulteriore stemma,
anch'esso abraso, campeggia nel margine superiore. 157 iniziali figurate
(tipo B) segnalano l'inizio delle
orationes con le quali terminano
sistematicamente i vari capitoli e i momenti della Passione di Cristo. Queste
iniziali - di dimensioni più ridotte rispetto a quelle di tipo A
- contengono figure oranti, ora a mezzo busto ora a figura intera. La grande
pagina incipitaria mostra nel
bas-de-page tre scudi, purtroppo erasi,
dei quali quello centrale è sormontato da un cimiero a forma di aquila;
fortunatamente gli stessi sono ancora visibili nel codice viennese, permettendoci
così di riconoscere nella famiglia Gonzaga, in particolare di Gian
Francesco primo marchese di Mantova, la committenza dell'opera.
L'apparato decorativo, che nella sua preziosità e complessità
non può che confermare una committenza di alto livello, è
certamente da attribuirsi ad uno dei principali protagonisti della cultura
figurativa veneziana del primo Quattrocento nonché uno dei più
importanti e prolifici miniatori del periodo: Cristoforo Cortese.
Inizialmente assegnate a una non meglio precisata scuola lombarda (
Tesori
delle biblioteche d'Italia, 1932, p. 21), le miniature sono state efficacemente
ricondotte alla mano del miniatore veneziano da Ilaria Toesca (1952, pp.
52-53), senza da allora incontrare alcuna opposizione da parte della critica.
La vicenda artistica del Cortese ci rivela una personalità complessa,
fedele a moduli iconografici e a scelte decorative di stampo tardogotico,
tuttavia sempre sensibile a condizionamenti provenienti dall'esterno e caratterizzato
da una grande volontà di rinnovamento. Nelle sue opere più
rappresentative l'artista sembra muoversi su un doppio binario apparentemente
contrastante: da un lato le sue figure energiche e robuste tradiscono un
indirizzo figurativo di stampo emiliano; dall'altro le decorazioni dei fregi,
leggere e fantastiche, costituite spesso da nervosi tralci abitati da un'infinità
di elementi zoomorfi, lo avvicinano alla corrente così squisitamente
elegante ed immaginativa del tardogotico lombardo.
Volendo collocare cronologicamente la
Vita Christi all'interno del
percorso artistico del Cortese, bisogna dire che disponiamo di un importante
termine
post quem: come rivelatoci da H.J. Hermann (1931, pp. 59-74),
negli stemmi ancora visibili del "gemello" viennese compaiono
le aquile nere in campo argento (stemma Gonzaga quarta maniera) concesse,
unitamente al titolo di primo Marchese di Mantova, dall'Imperatore Sigismondo
a Gian Francesco Gonzaga nel 1433. In passato sono state espresse alcune
perplessità su tali stemmi, avanzando l'ipotesi che fossero stati
sovrapposti successivamente (
Mostra dei codici gonzagheschi, 1966,
p. 79).
A mio modo di vedere non c'è ragione di dubitare della loro originalità,
in quanto l'impianto compositivo della prima pagina, con questo cartiglio
geometrizzante, pare studiato appositamente per ospitare nel bas-de-page
scudi e cimiero; inoltre quest'ultimo ha i risvolti trattati allo stesso
modo dei risvolti del cartiglio, il che testimonia che è stato sicuramente
dipinto dalla stessa mano responsabile dei fregi a margine. Una collocazione
così tarda, d'altra parte, pare confermata dall'agilità con
cui viene risolto il complesso programma decorativo e da una tale varietà
di repertori da far quasi pensare ad un'ostentazione virtuosistica dell'artista,
giunto nella sua piena maturità e magari coadiuvato da una bottega
ben avviata.
Il prestigio acquisito in questi anni lo porta ad illustrare testi, oltre
che per i Gonzaga, anche per altre illustri signorie dell'Italia padana,
come la
Divina Commedia (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms.
Ital. 78) dedicata a Nicolò III d'Este, rimasta incompiuta per la
morte del destinatario (1441) o del miniatore stesso. Una serie di evidenze
stilistiche riconducono anch'esse al periodo tardo dell'artista, in particolare
ad opere che più direttamente hanno subìto l'influsso dell'esperienza
maturata dal Cortese nel campo della xilografia, come l'iniziale ritagliata
con Due Santi ispirati da Dio della Fondazione Cini a Venezia, il Graduale
miniato per la Certosa di Sant'Andrea del Lido (Venezia, Biblioteca Marciana,
ms. Lat. III, 18 = 2283-2284) ed alcune iniziali ritagliate da un Corale
miniato per il monastero benedettino di Santa Giustina in Padova ed ora
incollate su un Corale posteriore (Padova, Biblioteca Nazionale di Santa
Giustina, Corale II).
Queste miniature rivelano spesso una raffinatezza di esecuzione tutta fondata
sulla linea guizzante e marcata, che è la stessa che ritroviamo in
alcune xilografie attribuite al Cortese, ora conservate nel Germanisches
Nationalmuseum di Norimberga: stringente ad esempio è il confronto
fra il Cristo nella scena di Pilato che si lava le mani di Norimberga, il
Cristo fra due soldati del graduale marciano (ms. Lat. III, 18 = 2283, c.
140v) e il Cristo con personaggio inginocchiato del codice dell'Archiginnasio
(c. 113r), dove del tutto evidenti sono le somiglianze nei capelli a ciocche
ricciolute, nelle sopracciglia sottili e nella bocca ad angoli pendenti.
Non tutte le scene miniate della
Vita Christi, tuttavia, paiono partecipi
di questa temperie stilistica: in un certo gruppo di iniziali, infatti,
le figure non sembrano rivelare la stessa corsività lineare, anzi,
vengono risolte con quel consueto
plumage che siamo abituati a vedere
in certi uccelli esotici nell'ornato marginale; altre ancora sembrano un
po' sommarie. Certamente questa situazione di mutato registro qualitativo
è in parte dovuta alle diverse circostanze di scala, ma in parte
potrebbe derivare da un più che plausibile intervento di collaboratori
all'interno di un lavoro lungo e complesso come quello del presente manoscritto.
La collocazione cronologica intorno alla metà del quarto decennio
del XV secolo, pur se avvalorata dalle evidenze già citate, pone
dei problemi più generali che vanno a coinvolgere gli ultimi anni
della produzione del Cortese, soprattutto se confrontiamo il manoscritto
in esame con quelle opere, attribuite ultimamente al miniatore veneziano,
connotate dal motivo di gusto umanistico dei bianchi girari; la situazione
diviene ancor più problematica se si pensa che la maggior parte di
queste miniature sono state riferite agli stessi anni della
Vita Christi.
Questa brusca sterzata in senso pseudo-rinascimentale sembrerebbe in stridente
contrasto con quelle formule che il Cortese è andato faticosamente
elaborando nel corso della sua attività miniatoria, e che si rivelano
efficacemente assestate entro i più felici canoni tardogotici nel
manoscritto bolognese; se è vero inoltre che l'artista ci ha abituati
a frequenti aggiornamenti stilistici, è anche vero che questi si
collocano tutti in direzione di quello stile elegante e fantastico di cui
proprio la
Vita Christi è la più completa, quasi manieristica,
manifestazione.
A mio avviso una convincente spiegazione di questo mutato indirizzo stilistico
è da ricercarsi nella collaborazione, tutt'altro che occasionale,
consolidatasi nel quarto decennio del secolo fra Cristoforo Cortese e il
copista Michele Salvatico. È molto probabile che questa sorta di
sodalizio col Salvatico, avvicinando il Cortese a quegli stessi ambienti
d'avanguardia che avevano già condotto il copista ad accostarsi alla
littera antiqua, abbia prospettato al miniatore veneziano la possibilità
di sperimentare anch'egli motivi più aggiornati provenienti dai circoli
umanistici. In quest'ottica, essendo il manoscritto bolognese uno dei primi
esempi della loro collaborazione, forse i tempi non erano ancora maturi
affinché si decorasse la
Vita Christi con i nuovi repertori,
o forse la vastità degli interventi miniati richiesti e l'importanza
della committenza non consentivano nessun tipo di sperimentazione.
(Scheda a cura di Diego Angelo Galizzi)