EUGÈNE EMMANUEL VIOLLET-LE-DUC,
Habitations modernes, I
Paris, A. Morel, 1875, copertina. Collocazione
18.e.I.38
Gli stilemi degli ordini classici, che ancora si studiavano nelle scuole di Architettura, impiegati peraltro senza alcun controllo delle proporzioni, tendevano a dare dignità al disegno di facciata, mascherando gli interni borghesi. Rubbiani all'opposto propugnava un'architettura decisamente antiaccademica e ispirata all'architettura più nobile e genuina del Medioevo bolognese, che nella sua estetica si identificava con quella di età comunale e bentivolesca.
Così a Bologna, sull'onda dei successi del restauro stilistico di Rubbiani e degli epigoni locali che condividevano posizioni vicine a quelle espresse da Boito, sorsero ville e villette adorne di bifore, colonnine, torrette merlate. Anche nelle case per operai sorte in quegli anni si possono trovare, nelle facciate con mattoni a vista, marcapiani e coronamenti con mattoni disposti a formare motivi neoromanici.
Nel restaurare un edificio, sulla scorta degli indizi ritrovati e con un'analisi stilistica scrupolosa, Rubbiani proponeva il completamento delle parti mancanti o fortemente danneggiate e procedeva al contempo alla totale demolizione di quanto non era consono al disegno d'insieme: l'intento suo era di ritrovare una piena unitarietà all'aspetto del palazzo, del monumento, della chiesa per conferire nuova dignità al contesto della città giunto snervato, sciatto, alterato dopo decenni di incuria. In questo era allineato a quanto si stava facendo in altre regioni italiane o all'estero: basti citare, tra i tanti, due protagonisti di importanti interventi di restauro a lui contemporanei, Luca Beltrami in Milano e Alfredo d'Andrade in Liguria, Piemonte e Val d'Aosta, per ritrovare consonanze di metodo e cura del dettaglio.