Il bulo e la bula: il disegno
è di AUGUSTO MAJANI (NASÌCA).
Collocazione: Palmieri B. 53
I facchini, allora,
divisi nelle così dette balle, erano una vera potenza a Bologna.
Scamiciati, con un cerchio d'ottone al braccio, sdraiati per terra
al sole o seduti attorno a una catasta di legna, che accendevano
in mezzo alle vie per cuocere saracche e abbrustolire polenta,
nei giorni di festa diventavano i buli Portavano calzoni di velluto
color marrone, il giacchetto di panno bleu adorno di bottoni dorati,
una fascia rossa in cintura, il fazzoletto di seta al collo, le
anella d'oro alle orecchie, il bastoncino di bambou fra le mani
e il cappello alto di feltro color nocciola detto èl ratt. Erano
sbarbati e solo sotto il labbro inferiore si lasciavano crescere
un fiocchetto di barba, chiamata mosca, e due lunghi ricci cadere
sulle guancie. Le bule, quasi tutte lavandaie, fabbricanti di
corda ed operaie delle filande di seta, portavano i neri e lucidi
capelli divisi da una parte in modo da formare sulla fronte un
alto ciuffo, detto popla, e raccolti di dietro in treccie messe
a nastro fatte fino di venticinque e trenta capi. Avevano sottane
cortissime; quella di sopra era a vivi colori e aperta sul davanti
in modo da far vedere la bianca mussolina di sotto. Calzavano
stivalini a tacco alto, detti pulacchein, sulle spalle portavano
uno scialle di crepòn bianco trattenuto sulla nuca da un alto
pettine, avevano anelli alle dita, collane di granate al collo
e lunghi pendenti alle orecchie.
Testo tratto da: ALFREDO TESTONI, Bologna che scompare,
Bologna, Ditta Nicola Zanichelli, 1905, pagine 127-128.