Il giacobino Federico Zardi commediografo, scrittore,
giornalista (1912 - 1971)
LE RAGIONI DI UNA MOSTRA di Cristina Nesi
Per trent'anni il silenzio è caduto come una cortina di bruma sul lavoro
di Federico Zardi, privato dei meritati riconoscimenti da chi, a giudizio
di Carlo Terron, non aveva tollerato il suo teatro dell'indignazione e solo
oggi ci sembra possibile seguirne la parabola artistica con quel distacco
impensabile nell'atmosfera turbolenta e rissosa degli anni in cui i suoi
drammi vennero rappresentati al Piccolo Teatro di Milano. Di qui le ragioni
della mostra.
Uomo di picaresca e sanguigna vitalità, facile preda della malinconia (non
certo della flebile, quanto di quella spavalda dello sberleffo), Zardi è
sempre stato un personaggio scomodo, per la ruvida schiettezza che lo distingueva
e per la dote innata di regalare fulminee sintesi definitorie, capaci di
stupire ma anche d'imbarazzare profondamente gli interlocutori. Forse sarebbe
stato più giusto considerarlo uno scettico votato alla goliardia, che puntava
come un'arma tagliente nei confronti della realtà più sgradevole, o un moralista
convinto, a suo modo, che per captare l'attualità, anche nei suoi caratteri
e aspetti più effimeri, fosse necessario ispirarsi al proprio ambiente,
al proprio milieu culturale. E dato che non si preoccupava di schivare le
reazioni furiose dei malcapitati che si riconoscevano dileggiati sulle scene,
ogni giorno vedeva allungare la lista dei suoi detrattori, tanto che di
lui ci restano nelle cronache del tempo le immagini di un esibizionista
con il freno del candore, di un fustigatore sociale che non disdegnava le
frequentazioni mondane, di uno spirito intransigente votato però alla contraddizione.
Molti intellettuali comunque, fra cui Giorgio Strehler, Vittorio Gassman,
Edoardo De Filippo, Eugenio Ferdinando Palmieri, Salvatore Quasimodo e Carlo
Terron, avevano intuito già nell'immediato dopoguerra il valore di quella
penna intrisa d'ironia e incline al paradosso, sabotatrice d'illusioni e
pronta a intorbidare ogni idillio con massicce dosi di realtà: "Le commedie
di Federico Zardi, grottesche, piene di foga, corrosive - sostiene nella
sua testimonianza Isabella De Filippo - costituivano una vera e propria
boccata d'aria fresca nell'Italia ipocrita e bacchettona degli ultimi anni
Cinquanta." In effetti, come notava Nuccio Lodato "il tema centrale dell'intera
opera teatrale Federico Zardi, che è probabilmente il drammaturgo italiano
di questo secolo a necessitare più di ogni altro di pronti ed energici studi
rivalutativi, è quello del conformismo come corruttore delle coscienze:
esso congiunge i lavori satirici dell'anteguerra a Emma e a I tromboni,
straordinari ritratti dell'adeguarsi della società italiana della ricostruzione
al centrismo, in un quadro di sostanziale continuità addirittura col prefascismo"
("Giacobini" e "Camaleonti" a prova di riflusso, "Cineforum", 283 (1989),
p. 53).
La mostra, inaugurata in anteprima al Teatro Giorgio Strehler di Milano
l'8 ottobre 2001, per poi migrare, arricchita di alcune sezioni, all'Archiginnasio
di Bologna e al Teatro Fraschini di Pavia, ha cercato di seguire la produzione
drammatica del commediografo nei suoi ciclotimici percorsi artistici, accostabili
agli itinerari altalenanti di quella nevrosi, che lo avrebbe obbligato a
ricorrenti ricoveri. Così ad opere di grande pregio come Emma e I Giacobini,
che portano ancora oggi impresse le stigmate degli irregolari d'ingegno
e che furono rappresentate sulle scene da Giorgio Strehler nel 1952 e nel
1957, si alternarono negli anni i testi appositamente cuciti sull'istrionismo
di Gassman, come I tromboni, Alla periferia o Il mattatore e altri purtroppo
di latitanza inventiva che lo convinceranno ad allontanarsi dal teatro.
Con svariati esiti, s'intersecano a partire dagli anni Quaranta anche gli
impegni nel giornalismo, con varie collaborazioni a quotidiani, e alla neonata
televisione, prima con "Radio Sera", poi con la curatela di un ciclo di
commedie in dialetto, infine con sceneggiati che hanno fatto storia, come
I Giacobini e I grandi camaleonti.
Per ricordare le esperienze teatrali e gli incontri culturali abbiamo sollecitato
gli amici registi, scrittori, attori e giornalisti a regalarci le loro generose
testimonianze (Lydia Alfonsi, Enzo Biagi, Luciano Bergonzini, Isabella De
Filippo, Raul Grassilli, Massimo Rendina, Renzo Renzi, Lamberto Sechi, Luigi
Squarzina e Sergio Zavoli), cui abbiamo aggiunto quelle già edite di Enzo
Biagi, Vittorio Gassman, Paolo Grassi e Indro Montanelli.
Quasi tutto il materiale esposto e riprodotto nel catalogo proviene dal
Centro di ricerca sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei
dell'Università di Pavia (dove le carte di Zardi sono giunte per dono di
Clara Beccato, dopo anni di amorevole conservazione a Cetona), nonché dall'Archivio
del Piccolo Teatro di Milano, dalla Biblioteca dell'Attore e dal Teatro
Stabile di Genova, dall'Archivio Generale dello Stato di Roma. A ognuna
di queste istituzioni e a tutte le persone che hanno collaborato alla realizzazione
del catalogo va il mio ringraziamento, con una menzione particolare per
i maestri Ezio Frigerio e Luciano Damiani, che senza esitazione hanno accondisceso
a esporre 22 degli 87 figurini, realizzati dal primo con filologica attenzione
ai dettagli storici per i costumi de I Giacobini, e 7 bozzetti di scenografie,
studiate dall'altro insieme a un rivoluzionario sistema di carrelli mobili,
che consentiva di cambiare in modo rapidissimo le numerose scene de I Giacobini.
Concludiamo segnalando il tentativo di ricostruire la Bibliografia di e
su Zardi con ricerche e spogli presso la Biblioteca Nazionale di Firenze,
la Biblioteca dell'Archiginnasio e la Biblioteca del Burcardo di Roma, dato
che i continui traslochi del commediografo da Bologna a Roma e da una casa
in affitto all'altra nella capitale hanno determinato la perdita di quasi
tutto il materiale anteriore agli anni Cinquanta e rivelato consistenti
lacune anche nel resto della documentazione. L'assenza di alcune locandine
ha inoltre imposto una loro ricostruzione attraverso i riferimenti reperiti
nelle recensioni o in altri documenti.
Il nostro più grande rimpianto è che Maria Corti, cui dobbiamo l'ideazione
stessa della mostra e la realizzazione di questo catalogo, ci abbia lasciato
pochi mesi prima dell'inaugurazione bolognese. A lei dedichiamo questo volume,
a lei e al suo pervicace pragmatismo, alla sua curiositas verso tutte le
sorprese della vita, alla sua ricerca costante e utopica della Felicità
mentale. Senza la sua generosità intellettuale molti di noi non avrebbero
imparato ad ascoltare gli umori, le passioni e i racconti nascosti fra le
carte degli autori scomparsi e si sarebbero arresi davanti agli ostacoli
che spesso si frappongono alla realizzazione dei progetti.