Comunicazione e vita quotidiana a Bologna tra Cinque e Seicento
Bologna, Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, Sala dello Stabat
Mater, Piazza Galvani
1, 24 maggio - 31 agosto 2000
Affrontare il tema della comunicazione scritta nei secoli passati significa
in genere focalizzare l'attenzione sul suo strumento principe, il libro,
ignorando materiali spesso ingiustamente considerati 'minori', che hanno
costituito per secoli il mezzo fondamentale di informazione a disposizione
della maggior parte della popolazione.
Per offrire l'opportunità di analizzare tali fonti alternative di comunicazione,
abbinate ai momenti più significativi della vita di tutti i giorni nei
secoli XVI e XVII, è stata ideata questa mostra che intreccia le principali
categorie di documenti informativi prodotti all'epoca:
i bandi, che rappresentano la comunicazione ufficiale del 'palazzo'
rivolta ai cittadini;
i componimenti popolari, il cui autore più efficace fu Giulio
Cesare Croce;
gli avvisi e le gazzette, che nascono e si affermano proprio
in questi secoli e costituiscono i primordi del giornalismo.
La vita quotidiana della città in Antico Regime si palesa attraverso documenti
in cui prioritario è l'intento comunicativo: la comunicazione è infatti
il tema affidato a Bologna nell'ambito delle manifestazioni promosse dalle
nove città europee della cultura per l'anno 2000.
L'antico Studio e gli studenti, i cantimbanchi e i banditori, le processioni
religiose, i tornei e i giochi, il commercio e le corporazioni di mestiere,
l'ordine pubblico, l'alimentazione e le feste, le guerre e le notizie esotiche
sui Turchi compongono un mosaico di voci che rende la dimensione quotidiana
di una città in piazza. Nel '500 e nel '600 Bologna era per importanza la
seconda città dello Stato pontificio. Il governo locale era affiancato nell'espletamento
delle sue funzioni, dal delegato del pontefice.
I bandi costituivano il mezzo attraverso il quale queste due autorità,
simultaneamente e in accordo, comunicavano le loro decisioni alla cittadinanza.
Vi era poi il rappresentante religioso, nella persona del vescovo che si
occupava delle anime ed emanava i provvedimenti di carattere dottrinale
e morale.
Tutti i settori della vita pubblica erano soggetti al controllo e quindi
all'emanazione di norme che li regolavano: le attività commerciali, che
ricoprivano un ruolo di grande importanza per la città - come la produzione
e la vendita della canapa e della seta o la lavorazione della carne suina
- erano soggette a leggi molto severe. I bandi venivano solitamente letti
in pubblico a voce alta dai banditori sulla Piazza grande per essere poi
affissi in luoghi prestabiliti della città: questa usanza risaliva al XII
secolo, quando non esisteva la stampa ed era quindi necessaria per rendere
i provvedimenti di dominio pubblico.
Giulio Cesare Croce, nato nel 1550 "in dì di carnevale" a San Giovanni
in Persiceto, si trasferì nel 1568 a Bologna ove esercitò dapprima sia il
mestiere di fabbro sia quello del cantastorie, per dedicarsi infine solo
a questa seconda attività. Girando per le strade cantava le sue composizioni,
accompagnandosi con la lira, e vendeva i suoi testi impressi in opuscoli
di piccolo formato e quasi sempre composti da quattro carte o addirittura
in fogli da impiegare per le ventarole.
Nella sua autobiografia, stampata da Bartolomeo Cochi nel 1608, Croce afferma
"Due mogli ho avuto, e d'ambo sette e sette/ figli ho fatti saltar fuora
dal sacco,/ e'l ciel sette ne tien, io gli altri sette". Il cantimbanco
abitava con la sua famiglia in via delle Lame, ove morì il 17 gennaio 1609
e fu sepolto alla Badia.
Croce è noto soprattutto come l'autore del Bertoldo e del Bertoldino, anche
se la sua produzione è copiosa e comprende più di 450 titoli.
Nella mostra si privilegiano i componimenti, in lingua italiana e in quella
dialettale, che hanno come fonte d'ispirazione la vita quotidiana della
sua amata città (Adunque il mio pensiero/ E' di starmene quà con rape, e
pane,/ Che mangiar tordi in region lontane) e di cui egli era acuto osservatore
- dalla piazza ai palazzi aristocratici - e diarista con una varietà sorprendente
di forme espressive: canti, proverbi, lamenti, canzonette, contrasti, avvisi
e parodie.
Verso la metà del Cinquecento si afferma, soprattutto a Venezia e a Roma,
una nuova modalità ci comunicazione degli avvenimenti politico-militari
di attualità. Ai tradizionali dispacci e alle relazioni degli ambasciatori
vengono ad affiancarsi lettere di avvisi con una periodicità strettamente
correlata ad un servizio postale ormai sempre più efficiente e collaudato.
Esternamente simili a delle semplici lettere, gli avvisi riportavano,
spesso a cadenza bisettimanale, in uno stile scarno e in genere alieno da
commenti, le notizie pervenute dai principali centri italiani ed europei.
A differenza degli avvisi monografici, che informavano, senza alcuna specifica
periodicità, su singoli e rilevanti episodi (battaglie, trattati di pace,
nascite mostruose, fatti criminali inauditi, terremoti, miracoli) e che
cominciarono ad essere stampati dalla prima metà del XVI secolo, gli avvisi
periodici (quelli che noi siamo abituati a chiamare gazzette) ebbero una
loro versione a stampa in Italia solo a partire dalla fine del quarto decennio
del Seicento.